Fouad Laroui e i bracconieri di storie.

Del Vecchio: La vecchia signora del riad

Giulio Gasperini
AOSTA – Cosa facciamo delle storie degli altri? La narrazione personale è forse il dono più grande che riceviamo nel nostro interagire con le alterità; ma anche una responsabilità gravosissima che difficilmente sappiamo gestire nel modo più corretto ed efficace, particolarmente nella nostra contemporaneità, così sovrabbondante di racconti e di storie. Il romanzo La vecchia signora del riad, di Fouad Laroui, pubblicata da Del Vecchio Editore con la traduzione di Cristina Vezzaro, è un’avventura entusiasmante su vari livelli di lettura e indagine.

Laroui è un narratore immenso, che abbiamo da tempo imparato ad apprezzare: in questo romanzo, scorrevolissimo alla lettura ma dalla complessa architettura, ci troviamo di fronte al magistrale compimento di uno dei campi di indagine più amati dall’autore: quello del linguaggio, in un quadro di postcolonialismo che è presenza fissa e salda in ogni sua prova narrativa. Due francesi, Cécile e François, approdano in un Marocco moderno, totalmente ignari e colpevolmente ignoranti della sua storia, e decidono di comprare un bellissimo riad, nella città di Marrakesh. L’esplorazione di questa loro nuova proprietà è l’espediente narrativo che Laroui ingegna per scontornare la visione e spingerla fino a orizzonti remoti e inesplorati. Una seconda narrazione, in una superba costruzione di meta-romanzo, squarcia la vicenda dei due benestanti francesi, alle prese con un’umanità marocchina che, da parte sua, ugualmente non ha fatto fino in fondo i conti con il proprio passato di colonia: la storia di Tayeb è la completa realizzazione di un’indagine che assume valore compiuto nel momento in cui si manifesta l’urgenza del raccontare per ricordare.

Un’artificio? Una presunzione? Una bugia? Poco importa quale sia il vero motivo per il quale Tayeb, l’uomo dalle tre madri, entra in scena; quel che conta è che il dipanarsi della sua storia, la ricerca tra verità e finzione, tra fiction e non fiction, è ciò che permette di rompere un incantesimo centenario, e far capire la verità più dirompente: raccontare è salvare (e liberare). Ci sono due movimenti principali, tra Europa e Marocco: spostamenti che creano e significano una storia forse fin troppo poco esplorata, ma appassionante. “I francesi sono in Marocco. Il Marocco è dei francesi. Tayeb si chiede dove si situi lui, tra queste due frasi di cui capisce male la sintassi. Qual è la posizione geografica che ne deriva per lui?”.

Dal mondo caricaturale dell’inizio del romanzo si penetra, con una serie di artifici retorici e narrativi, in una spirale vorticosa, dove una saga familiare, dalle dimensioni e dalla passione di quelle sudamericane, abbatte i limiti asfittici della narrazione cronacistica ed esplode in un romanzo di formazione che riguarda non solo i personaggi ma un’intera comunità di viventi, dentro e fuori dalle pagine del romanzo.

Laroui, con la sua lingua ironica e densa di riflessioni di forma, struttura e cultura (sapientamente rese in traduzione italiana), ci fa immergere in una storia appassionante, una ghost story dalle sfumature esotiche ed esoteriche, che riequilibra non solo i rapporti umani ma anche quelli coloniali e storici, finendo, per l’ennesima volta, per farci sbarcare su una spiaggia, anonima (ma la fisicità, qua, non è più fondamentale), “perché una spiaggia, tra la terra e l’acqua, è fra due mondi, non è né l’uno né l’altro”.

Informazioni su Giulio Gasperini

Laureato in italianistica (e come potrebbe altrimenti), perdutamente amante dei libri, vive circondato da copertine e costole d’ogni forma, dimensione e colore (perché pensa, a ragione, che faccian anche arredamento!). Compratore compulsivo, raffinato segugio di remainders e bancarelle da ipersconti (per perenne carenza di fondi e per passione vintage), adora perdersi soprattutto nei romanzi e nei libri di viaggio: gli orizzonti e i limes gli son sempre andati stretti. Sorvola sui dati anagrafici, ma ci tiene a sottolinare come provenga dall’angolo di mondo più delizioso e straordiario: la Toscana, ovviamente. Per adesso vive tra i 2722 dello Zerbion, i 3486 del Ruitor e i vigneti più alti d’Europa.
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