Giulia Siena
PARMA – “Incavare. Questo tempo non è stato vuoto, ma è servito per creare vuoto. Avevamo la necessità di mettere una distanza per poter dare nuova forma alle cose, ai rapporti – il nostro –, agli eventi – quel viaggio. Gutta cavat lapidem, dicevano gli antichi. Avevamo bisogno di un’occasione solida per ripartire da quello spazio, per riempircene di nuovo, ma questa volta insieme. Due passi in Molise nasce così. Il progetto vero e proprio è venuto parecchio tempo dopo”.
Maria Clara Restivo è una viaggiatrice, non di professione, certo, ma una di quelle persone che vivono il viaggio come parte integrante della propria vita. Il viaggio è un altrove che si vuole raggiungere e apprezzare, un silenzio da ascoltare, meditare e da cui lasciarsi accudire. La Restivo ama percorrere i luoghi e raccontare gli odori che ha attraversato, i visi e le emozioni che ha incontrato. L’andare è scritto nelle sue vene: il colore olivastro della pelle ricorda la Sicilia, mentre il suo accento è emiliano e la sua città attuale è Torino. Da quando, a nove anni, suo padre le ha insegnato a fare lo zaino è partita sempre per percorrere i binari e raggiungere un luogo. Però, La strada da fare. In cammino nella regione che (non) c’è – pubblicato da NEO Edizioni – è un libro che narra di un “cammino in un dove”, non per raggiungerla ma per attraversare e sviscerare una sola terra, il Molise.
Dopo qualche sfida e qualche titubanza Clara e Giulia Rabozzi decidono di accettare la sfida lanciata da FuoriRotta e nasce Due passi in Molise; partire alla volta della regione più piccola d’Italia per tentare di rovesciare quello stereotipo che ripete immotivato che questa è “la regione che non esiste”. “Camminare qui è il nostro modo per cambiarne la percezione” – scrive Maria Clara Restivo in una sorta di noi corale che racchiude anche la voce di Giulia, amica spigliata e indispensabile in questo viaggio nella terra che c’è. Camminare, infatti, è manifestare la bellezza e la ruvidità di un territorio storicamente determinante, attraversato da tratturi e strade sterrate, simbolo di un cammino cominciato secoli fa e che oggi viene interrotto a causa dei bisogni che cambiano. Il Molise c’è, ma non funziona, è fermo. Da questi piccoli paesi arroccati sulle montagne e dalle piazze di pietra partono i giovani verso la Capitale, verso altre regioni perché il Molise è bello, ma è aspro, è ospitale, ma scontroso.
Clara e Giulia, in un mese, percorrono queste strade – possibilmente non asfaltate – camminano per oltre 200 km; partono da Isernia per arrivare a Campobasso attraversando Bojano, San Giuliano del Sannio, Oratino, Torrella, Civitanova, Agnone, Trivento, Montenero di Bisaccia, Termoli, Larino e altri paesi ancora. Incontrano le persone, quelli che da quando attraverso il web hanno saputo che due ragazze avrebbero percorso la loro regione con uno zaino in spalla, si sono offerte di ospitarle, aprire le loro case e raccontare il loro quotidiano. Con alcuni condividono un pezzo di strada, con altri sguardi, silenzi e pietanze. Clara e Giulia camminano, arrivano ogni volta sul punto più alto del borgo e si guardano attorno: il verde delle valli, il grigio delle rocce, la freschezza dell’acqua, la ruvidità delle mura, l’azzurro del cielo e l’oro delle dune di sabbia sono colori vividi che si stagliano negli occhi e sulla pelle delle ragazze; sensazioni che vengono condivise e narrate.
Descrivere La strada da fare come un viaggio sarebbe riduttivo; questo libro è una scommessa, un atto catartico, un esercizio di miglioramento costante; è una possibilità che ci si dà per ricominciare, per dare un senso, per ridarsi senso.
“Forse i tratturi sono come le onde per i surfisti: bisogna imparare a conoscerli, a intuirli, a ritrovarli. Anche quando, in campagna come in mare, affiorano i rifiuti: ci imbattiamo in un divano appoggiato al bordo del bosco, una catasta di vestiti, flaconi maleodoranti, un cartello che indica pericolo di amianto. Incontriamo dunque un pezzo d’Italia anche qui. Chissà come, abbiamo creduto di essere altrove finora. Abbiamo pensato i tratturi come torrenti immacolati, avulsi dal contagio dell’incuria e del tempo; li abbiamo immaginati come sentieri partigiani, combattenti di una guerra asimmetrica al di fuori delle mappe, nascosta fra le fronde, senza segnavia, oltre le regole, li volevamo feroci e ruvidi, autentici, intatti insomma. Non è così”.