Giulio Gasperini
AOSTA – Le Edizioni Gruppo Abele si distinguono per la loro attenzione chirurgica al sociale e alle sue problematiche: attraverso documenti, che sono cocenti testimonianze, le Edizioni permettono di sondare le questioni più scottanti e finanche fondanti e offrono ricerche accurate e documentate per non dover commettere errori di giudizio. Con la pubblicazione de Il manicomio dei bambini si confermano in questa coraggiosa linea di documentazione, contribuendo a creare una collettiva coscienza sociale. L’autore, Alberto Gaino, apre di nuovo i cancelli di Villa Azzurra, situata a Torino, tra Grugliasco e Collegno, al termine di Viale Lombroso, che per anni, tantissimi, troppi, è stata il “manicomio dei bambini”, anche se in alto, sulla sua facciata, continua a troneggiare la definizione di “Sezione medico-pedagogica”.
Ovviamente, di pedagogico, in queste detenzioni dell’orrore non c’era nulla. E le testimonianze raccontano di violenze, torture, decessi provocati dalle cure ai limiti, tra presunta scienza sperimentale e stregoneria: come quella di Ignazio, morto legato nudo al letto, o come la storia dei gemelli Grazia e Valter. Partendo proprio dalle testimonianze dei sopravvissuti all’orrore istituzionalizzato, Gaino squaderna l’immagine di un’istituzione, lo stato, che aveva abdicato al suo compito di cura e di assistenza, nel tentativo di giustificare scientificamente una sistematica rimozione dei problemi e delle questioni, anche umane, più complesse e difficili da gestire. Si fanno, in questo modo, apparire solo come gravose, particolarmente nella dimensione economica, e si asporta coscienziosamente tutto il portato squisitamente umano e sociale.
Gaino è puntuale e dettagliano nel suo racconto, offrendo fonti precise, citazioni attente, statistiche meticolose, dettagliando anche il quadro storico e medico nel quale Villa Azzurra era collocata e operava, senza aver paura di mostrare quadri troppo crudi e drammatici: perché il pudore della vergogna oramai è un sentimento col quale fare i conti ma abbandonare. A nulla serve più, adesso, evocare la decenza del ricordo, perché ai tempi fu quasi un sistematico e istituzionale sterminio. Il suo racconto è dettagliato anche lessicalmente, con un’attenzione meticolosa ai termini corretti, quelli dal giusto significato: perché ampliano la portata del documento narrativo e ne squadernano integralmente la potenza.
Al di là, comunque, della testimonianza, storicamente e geograficamente circoscritta, che permette a tanti volti e tante storie di riprendersi un corpo un’identità una visibilità, il testo di Gaino, nella sua complessa scommessa emotiva, consente di capire come le “fabbriche della follia” continuino costanti e caparbie; magari sotto altre forme, ma per questo ancora più difficili da capire e, ancora, da contrastare e disinnescare.
Il manicomio di Villa Azzurra e la violenza sull’infanzia
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