Dall’ordalia di parole all’afasia, anatomia di un’evoluzione.

Giulio Gasperini
AOSTA – 
Le tribolazioni dell’ultimo Sijilmassi, il nuovo romanzo di Fouad Laroui (edito in Italia da Del Vecchio Editore e tradotto da Cristina Vezzaro) lascia subito senza fiato, fin dalle prime righe. “Un giorno, mentre si trovava a trentamila piedi di altitudine, Adam Sijilmassi si fede all’improvviso questa domanda: – Che ci faccio qui?”. Un incipit sensazionale per una storia che, fiorendo di pagina in pagina, conduce il lettore in una discesa vorticosa e chirurgica dentro la mente e l’anima di un uomo apparentemente “normale” e “comune” (sempre che questi due aggettivi significhino realmente qualcosa). Da quel momento, comodamente seduto su un Boeing della Lufthansa, mentre sorvola le Andamane, inizia un cammino di cambiamento e di travaglio interiore che porterà l’ultimo dei Sijilmassi all’unica scelta possibile in questo mondo nervoso e feroce: l’afasia.

L’ultimo dei Sijilmassi inizia a riflettere sulla sua vita, il suo senso – comportamento null’altro che straordinario – ma l’interesse peculiare si focalizza su quella che Sayad definì “la doppia assenza”, ovvero un’identità incompiuta e incompleta del migrante, diviso tra due mondi, uno al quale non appartiene più completamente e l’altro al quale non appartiene ancora. Così pure l’ultimo dei Sijilmassi si trova dilaniato tra una cultura (particolarmente francese ma occidentale in senso ampio) che gli ha riempito la testa di una “purea di parole”, di autori testi citazioni, che trasformano la sua mente in un labirinto di pensieri, e tra una cultura di partenza che sente il bisogno di tornare a cercare e sperimentare, per ricomprenderla e (forse) risignificarsi lui stesso, nel momento in cui ha compreso che il presente, le sue sicurezze e i suoi idoli, non poteva bastare per vivere compiutamente (“la vera vita è altrove”).

La vorticosa discesa nella mente in fermento dell’ultimo Sijilmassi (“l’ordalia delle parole continuava”) viene resa sapientemente da Laroui attraverso un uso incalzante e spregiudicato delle parentali, che si incastrano l’una dentro l’altra, in una sorta di flusso di coscienza che si aggrappa al segno paragrafematico, affinché il discorso rimanga ancorato all’esperienza del lettore e non si trasformi in qualcosa di eccessivamente astruso e spersonificato.

Alla fine, dopo esser penetrato attraverso le mille insidie della catalogazione dell’Islam (come religione e come istanza politica e costruzione statale) e aver tentato di ricostruire un senso al caos della crisi, in fuga da “bande di fonemi [che] gli devastano il cervello come branchi di oritteropi che attraversano il Kalahari” e da umani che di danni ne fanno altrettanti, non si arrende comunque, l’ultimo Sijilmassi, ma decide che l’unica soluzione possibile, per lui (ma, come exemplum, per tutti), sia quella di restarsene con la voce ferma, con il corpo “nudo come il primo uomo”; per rinascere, in un nuovo battesimo.

Informazioni su Giulio Gasperini

Laureato in italianistica (e come potrebbe altrimenti), perdutamente amante dei libri, vive circondato da copertine e costole d’ogni forma, dimensione e colore (perché pensa, a ragione, che faccian anche arredamento!). Compratore compulsivo, raffinato segugio di remainders e bancarelle da ipersconti (per perenne carenza di fondi e per passione vintage), adora perdersi soprattutto nei romanzi e nei libri di viaggio: gli orizzonti e i limes gli son sempre andati stretti. Sorvola sui dati anagrafici, ma ci tiene a sottolinare come provenga dall’angolo di mondo più delizioso e straordiario: la Toscana, ovviamente. Per adesso vive tra i 2722 dello Zerbion, i 3486 del Ruitor e i vigneti più alti d’Europa.
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