Odoya: “Storie straordinarie di italiani nel Pacifico”, i precursori di Corto Maltese

CuzziPacifico_odoya_chronicalibriGiorgia Sbuelz 
ROMA – Approfittando dell’imminente cinquantesimo anniversario dell’opera di Hugo Pratt, Una Ballata del mare salato, Marco Cuzzi e Guido Carlo Pigliasco omaggiano i viaggiatori italiani che dal 1850, e per un secolo, salparono da quella che era una “una mera espressione geografica” prerisorgimentale verso l’ignoto dei mari del Pacifico del Sud.
Storie straordinarie di italiani nel Pacifico, edizioni Odoya, è una raccolta di biografie di quegli italiani meno noti che non hanno fatto la storia, ma che senza dubbio aggiunsero un contributo alle cronache; persone che si lanciarono letteralmente alla grande avventura. Parliamo di eroi ignari, alla Stevenson o alla Conrad che esplorarono terre come le Hawaii, la Nuova Guinea, il Borneo o l’Australia. Utopisti in fuga dai sogni infranti del Risorgimento e bisognosi di ricrearne gli ideali, inguaribili avventurieri, ricercatori spinti dalla sete di conoscenza oltre che, semplicemente, gente in fuga dalla fame: la gamma degli italiani disposti ad affrontare le intemperie dei viaggi per mare fu cospicua e gli esiti non sempre positivi.

Emblematica è la storia di 263 emigranti della zona pedemontana del Veneto e del Friuli, che nel 1880 abboccarono all’esca lanciata dal truffatore Charles Marie Bonaventure du Breil. Quello che si presentava come un rispettabile nobiluomo bretone, promise a ciascun contadino affamato una casa con quattro stanze e venti ettari di terra negli appezzamenti della Nuova Irlanda (nell’arcipelago delle Bismarck, l’attuale Papua Nuova Guinea).
Lì i coloni non trovarono la terra del latte e miele, ma paludi malariche non confacenti all’esercizio delle loro agricolture, mentre il caldo e le febbri micidiali mietevano tra di loro ben tre vittime al giorno. Cibo non ce n’era e quello imbarcato era marcescente. Non potendo far altro, ripartirono per l’Australia passando per la Nuova Caledonia, dove incrementarono il numero dei decessi e aggiunsero altra disperazione; e pensare avevano lasciato il loro paese “a catàr fotuna”, in cerca di fortuna, che invece voltò loro le spalle!

Diversa la sorte toccata a John Dominis, nato Girolamo e figlio di un conte e una marchesa. L’uomo aveva disertato la Marina austriaca per combattere per l’Italia a Lissa, fuggendo poi per la California. Spostatosi a Boston e acquisita la cittadinanza, divenne comandante del brigantino Owhywee e il primo americano a navigare le acque insidiose del Columbia river nell’Oregon. Commerciò abilmente con gli indiani chinook, ma il bello arriverà dopo: a seguito della grave crisi americana, si trasferì con la sua famiglia a Honolulu e qui fece edificare un sontuoso palazzo che venne chiamato Washington Palace. Suo figlio, John Owen, ebbe la possibilità di studiare nelle migliori scuole della città, divenendo poi il principe consorte di Lili’uokalani, l’ultima regina delle Hawaii, l’unico regno costituzionale del continente americano.
Nella raccolta figura anche l’esperienza, amara a dire il vero, di una gentildonna torinese, Gina Sobrero, che sposò il politico hawaiano Robert William Wilcox, conosciuto in Italia, ma che seguì nel suo ritorno in patria. Il soggiorno alle Hawaii fu per la donna talmente alienante da indurla a scrivere un diario pubblicato sotto lo pseudonimo di Mantea e intitolato “Espatriata”. Pregna di un’ideologia fortemente patriottica, questa caratteristica aveva aumentato la sua percezione negativa dell’estraneo, facendole rimpiangere quanto lasciato alle spalle, proprio all’indomani dell’unificazione del territorio italiano. Nulla reggeva il paragone col “bel sole d’Italia”, così come la popolazione autoctona veniva considerata “barbara” a confronto della colta élite europea che era solita frequentare. Mentre il marito veniva considerato un eroe dai suoi compatrioti, difensore del potere hawaiano dai complotti dei missionari e le mire imperialistiche statunitensi, Gina chiedeva l’annullamento del matrimonio e faceva finalmente ritorno a “casa”.

Queste solo tre delle dieci storie riportate a galla dai curatori dell’antologia, Marco Cuzzi, professore di Storia contemporanea all’Università di Milano, e Guido Carlo Pigliasco, professore di Antropologia all’Università delle Hawaii, che a loro volta hanno coinvolto altri accademici, ma anche i pronipoti degli stessi protagonisti, nella stesura di queste storie presentate come brevi romanzi.
“Cinquant’anni dopo la celebre Ballata, la nostra antologia adotta uno stratagemma narrativo simile a quello sperimentato da Pratt in Avevo un appuntamento. La differenza è che qui i personaggi, anziché “incontrare” Corto Maltese, lo annunciano, in un certo senso lo anticipano”: questo quanto affermato da Pigliasco nell’epilogo dell’opera, sensazione che convaliderà il lettore che ha amato Corto, “lo svelto” in andaluso, l’antieroe che si proclama il “re degli imbecilli”, il malinconico che però non è mai il perdente, il protettore degli oppressi e l’emblema dell’uomo libero che ha dissolto i propri vincoli sciogliendoli nell’acqua salata dei mari del Sud.

Storie intense, di rischio e drammi, che “Pratt avrebbe letto con piacere”, così conclude nella postfazione la fumettista Laura Scarpa. Certo è che, in questa raccolta, come nei lavori di Pratt, chi alla fine fa da egemone è il mare. Quel mare “salato” della sua Ballata, che non è semplice scenario, ma protagonista vivo del racconto almeno quanto Corto; un mare carico di promesse e a volte di morte, generoso quanto insidioso, eppure irresistibile, per tutti coloro che, come il nostro, non poterono far altro che vivere la propria personale avventura.

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