Giulio Gasperini
AOSTA – La morte si aggira sempre tra di noi. Riempie tutti gli spazi della nostra vita, persino quelli più quotidiani, meno solenni e ufficiali. La si trova sul divano, sulle scale, appoggiata agli stipiti delle porte; come un’ombra, saldamente cucita ai limiti del corpo. Le fotografie di Los respiros del Alma, di Donatella D’Angelo e Josè Lasheras, danno un concreto riferimento visivo al potere delle parole delle liriche della stessa Donatella D’Angelo, a comporre Memento vivere, edito da Edizioni del Foglio Clandestino nella collana Square 17.
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“Doppia esposizione” per una Berlino in costruzione
Giulio Gasperini
AOSTA – Berlino è, per paradigma, la città del cambiamento; una città che si è dovuta reinventare, ricostruire, riunificare dopo un destino beffardo e grottesco. In particolare, dagli anni Ottanta e dalla caduta del Muro di Berlino la riconquista di spazi, luoghi, frammenti di urbanità che avevano intrapreso direzioni e comportamenti troppo distanti e divergenti. Natascia Ancarani, in Doppia esposizione. Berlin 1985-2015, splendido volume arricchito da 134 fotografie della città tedesca edito da Edizioni del Foglio Clandestino, accompagna per mano il lettore alla scoperta dei cambiamenti che hanno caratterizzato la città simbolo della divisione e della riunificazione dell’Europa intera dopo le follie e gli stravolgimenti epocali della Seconda guerra mondiale.
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Una Parigi riconosciuta con altri sguardi.
Giulio Gasperini
AOSTA – È una Parigi diversamente riconosciuta, quella descritta con parole e immagini in On s’est reconnus, Paris, taccuino fotografico di Giuseppe Varchetta, edito da Edizioni del Foglio Clandestino. Gli scatti, rigorosamente in bianco e nero, sono legati come perle in una collana da una storia chissà quanto vera o fantasticata, di Nerina Garofalo: ma saperlo non cambia la potenza di questo viaggio, nel quale una bambina curiosa ci accompagna, sfogliando un portfolio caduto distrattamente in un cinema d’essai. Continua
Con l’editore tra gli editori: una visita indipendente al Salone del Libro
Luca Vaudagnotto
TORINO – “Sono venticinque anni che vengo al Salone, ci sono sempre venuta; è un’esperienza imprescindibile, fonte di riflessioni, non sempre positive però”. L’auto si mette in moto e partiamo: iniziamo così il nostro viaggio alla volta del Salone del Libro di Torino 2015 chiacchierando con Viviana Rosi di End Edizioni, che ci dà un passaggio e uno sguardo attento sulla manifestazione. “È un evento particolare – continua l’editrice – Ti permette di percepire dove sta andando l’editoria ed è una bella vetrina per i nuovi editori; spesso però si incontra anche chi approccia il libro solo in quell’occasione, anche per tutto il contorno che c’è, o che frequenta solo gli stand delle grandi case editrici”. Ed è proprio questo che ci interessa e ci preme raccontare. Una volta dentro gli immensi spazi del Lingotto, andiamo a caccia di editori indipendenti e delle loro esperienze: insomma, vogliamo capire “il Salone dei piccoli”. Continua
Gli omuncoli e altre storie: tutto l’azzurro della Russia
Luca Vaudagnotto
AOSTA – “Gli omuncoli e altre storie” va letto in una luce azzurra, perché azzurre sono la Russia di questi racconti e San Pietroburgo; azzurro come l’impermeabile che indossava l’autrice, Elena Schwartz (1948-2010), in visita ad Anna Achmatova (di cui leggiamo nelle brevi memorie qui presenti), azzurro come la pelle dell’angelo che chiude uno dei sogni narrati. Basterebbero due elementi per fermare in un’immagine la particolare raccolta di racconti, sogni, ricordi, edita dalle Edizioni del Foglio Clandestino: la presenza dei grandi nomi della letteratura russa (ritroviamo, infatti, Gončarov, Gogol’, la Cvetaeva, Puškin, per riportarne solo alcuni), a volte ingombranti, ma confronto imprescindibile per l’autrice, e l’elemento soprannaturale, il gusto per il bizzarro, il grottesco, l’extra-ordinario, così tipico della cultura popolare russa e che permea tutta la raccolta.
La Schwartz, lungo il filo di questi racconti quasi aneddottici, summa di un modo tutto russo di vivere e concepire l’esperienza umana, sembra condurre il lettore attraverso i diversi stadi di maturazione della sua critica al regime comunista e alle sue derive successive: si inizia con la lucida analisi degli anni settanta, presente nel primo racconto (non dimentichiamo che la poetessa ha frequentato per lungo tempo gli ambienti intellettuali sotterranei, non allineati di San Pietroburgo) e che ha come modello evidente Gogol’, anch’egli fortemente critico verso la Russia del suo tempo (possiamo leggere, infatti, gli “omuncoli” del titolo come epigoni delle “Anime morte” gogoliane). Si prosegue con il recupero della tradizione popolare attraverso l’elemento paranormale, definito dalla Schwartz «il vecchio tessuto dell’esistenza reale», che il regime sovietico aveva tentato di sradicare, ma che con tenacia è resistito nella cultura russa: tutti i racconti-tableau della seconda parte ne sono intrisi, tanto da poter essere considerato una forma di resistenza alla dittatura. Si giunge infine alla dimensione onirica, che appare quasi un rifugio, per chi ha vissuto sia l’oppressione del totalitarismo, sia la finta libertà del capitalismo dei “nuovi russi”, per non occuparsi più delle faccende di questo mondo («I sogni, come l’ispirazione, discendono dal flusso della vita, non sono la vita, ma intanto che c’è di più importante dei sogni per la nostra anima, che c’è di meglio dell’ispirazione per essa?»).
In mezzo alla raccolta, composta da racconti talmente brevi da somigliare ad un album di istantanee, troviamo una sorta di diario, che permette di comprendere come questa evoluzione del pensiero nella Schwartz non sia altro che uno specchio delle sue esperienze di vita: si ripercorre, infatti, il suo vissuto di poetessa “underground” ante-litteram, poi di voce narrante nota solo all’estero e di poetessa, infine, riconosciuta ed apprezzata in patria.
“Le regole della rosa” in una poesia naturale.
Giulio Gasperini
AOSTA – La poesia di Emilio Paolo Taormina è una poesia del silenzio: i suoi sono componimenti brevi, schegge di immagini che esplodono in una manciata di parole e rompono la superficie, come fa un sasso con l’acqua di un lago. In “Le regole della rosa”, edito da Edizioni del Foglio Clandestino nel 2014, la poesia di Taormina si concreta in tanti frammenti di scenari, in brevissimi nuclei di significati e significanti che spesso partono e gemmano da un’esplosione naturale, da una componente vegetale o animale, o anche solo cosmico-astrale, che rischia di configurarsi come correlativo oggettivo di un interiore e non espresso sentimento.
I rumori si placano nella poesia di Taormina, lasciando spazio all’occhio che si spinge in profondità, fino a cercare di cogliere i significati più profondi e complessi: “All’alba / la luna è una / medusa / un tamburo / senza suoni”. Anche quando vengono evocati aderiscono alle immagini, saldandosi assieme e creando un’evocazione unica: “Per le scogliere / all’alba / i gridi / dei gabbiani / sono grigi / affilati / come lame”. Più che suoni sono messaggi, si concretano in immagini estreme, audaci e feroci: “In questo freddo / di neve / i tocchi / delle campane / sono freddi / come coltelli”. La bocca si secca, le parole sono vuote, prive di significato, il vocabolario perde la sua funzione e non rimane che rimanere muti: “Le parole / dei marinai / seccano al sole / odorano / di alga e di sale”.
È la Natura il metro di tutto, è lei che dà cadenze e ritmi, è lei che dà il valore e che amministra i ruoli. Può essere persino la misura di una solitudine umana: “È cresciuta / l’erba / sul viottolo / che porta a casa / nessuno / viene più / a cercarmi”. La Natura diventa persino ricordo, fragile reliquia dell’illusione del tempo che inesorabile trascorre e accelera: “Resta appena / l’aroma dei limoni”. È persino vettore di emozioni tra il poeta e il tu di riferimento, figura non definita e sfumata che è musa e destinataria delle sue parole: “Il cielo del mattino / azzurro cenere / sorge / dai tuoi occhi”. Fino ad arrivare al massimo di uno straordinario panismo, un’identificazione totale tra umano e naturale: “Tu sei donna / e stella marina”. È la Natura l’entità suprema contro la quale ci si trova a combattere per salvare ogni singolo aspetto del noi; ma è anche una battaglia già persa, una sconfitta irrimediabile: “Giocheremo / con la sabbia / e le foglie morte / del giardino”. Perché la Natura è anche ferina, animata da uno spirito selvaggio che non rinuncia alla vita, non depone mai le armi senza lottare all’ultimo respiro: “La volpe / azzannata dai cani / è venuta a morire / sotto il noce / nella bocca serrata / ha dell’ultima lotta / un respiro gelato / è sempre difficile / capire / dove finisce la vita / e inizia la morte”.
Ma l’uomo, ovviamente, la Natura la ferisce, la strazia, la viola: “Sacchetti / di plastica / lattine / accartocciate / una bottiglia / su una panchina / il silenzio / è una piaga / dolorosa”. L’uomo cerca di trasformare la Natura in un suo possesso, in uno strumento e arma per alimentare le sue bassissime pretese: “Ho seminato / semi di ortica / sul tuo corpo / in modo / che nessuno / possa abbracciarti”. Ma ogni uomo torna nella Natura, a compimento del suo naturale destino: “Ora siamo / polvere di rose / cenere di radice / anche una piuma / rema l’aria / varca la porta / del tempo”. Nello stesso modo, alla fine, in cui si consuma la poesia, destinata a estinguersi: “Il vento storce / la pioggia / scudiscia gli ulivi / mansueti / dentro di me / un fuoco / brucia / parole e versi / come quaderni / sulla brace”.
“Poesie d’amore per un anno”, Daniele Gennaro e la poesia che non si vergogna
Giulia Siena
PARMA – La poesia d’amore vive da sempre una certa inflazione. Poeti, drammaturghi e scrittori, nei secoli, hanno dedicato a questa tematica ogni parola, facendo risultare, con i tempi e i periodi, questa poesia un po’ troppo smielata, pedante e ripetitiva. C’era poi la Poesia d’amore, quella forte, vigorosa e invincibile – uno degli ultimi esempi è quella di Giovanni Raboni – che come altre manifestazioni di classicità, vivrà nei secoli. Oggi, la poesia d’amore – spogliandola di rime e parole già sentite – forse è morta. Forse. Lo penso quando scettica apro Poesie d’amore per un anno, il libro di Daniele Gennaro pubblicato nella collana Quercus Suber delle Edizioni del Foglio Clandestino. Ma così non è. La poesia contenuta in questo libro non è semplicemente poesia d’amore. Sarebbe riduttivo, infatti, catalogare la poesia di Daniele Gennaro come poesia d’amore. Gennaro parte da una poesia carnale fatta di sensazioni tattili ed emotività coinvolgente (“Semplicemente per dire che resti / in me tutto il giorno / anche quando non sei dentro / allora c’è sempre un oltre che ricalca / il contorno del tuo viso […] oppure “Vorrei abitare le tue mani, i tuoi angolo, / come se fosse sempre possibile entrare / nell’alveo spinoso della tua bellezza. […]) per approdare a una lirica quotidiana che nella sua quotidianità non dimentica il pathos e una forte componente emozionale-descrittiva (“Nel risveglio, corti segmenti del giorno, / nel mattino la nobile fragranza del pane, / il profumo della lana, lo specchio, / la riflessione muta della neve”). Si approda, così, a una poesia nuova, diversa: la poesia qui non ha remore, non si vergogna dei dubbi, del rossore, della mancanza, dell’appartenenza. Qui la poesia è verità, forza e vita, speranza, sogno e realtà (“Tornare a casa è l’estensione d’ali che / ogni libertà trattiene“).
La poesia qui, in Poesia d’amore per un anno vive la sua naturale essenza. Si incontra, poi, con i magnifici volti ritratti da Andrea Stra per completare un viaggio poetico che con sei scritti interpreta sei immagini.
La poesia di Daniele Gennaro non è solo poesia d’amore. E noi aspettiamo, curiosi, anche la poesia che verrà; Poesie d’amore per un anno non può già finire qui.