“Senza rete” per affrontare le nuove epoche.

Giulio Gasperini
AOSTA – La parola poetica è un grimaldello: forza le serrature e apre nuovi orizzonti. Nella silloge di Fiorella Carcereri questo compito è evidente: seppur con significanti quotidiani, semplici e piani (“La mia parola è chiara / ma il tuo cuore la rifiuta”), si cerca di far perno sul significato per scardinare quello che altrimenti rimarrebbe serrato. In “Senza rete”, edito da Edizioni Ensemble, palese è il tentativo di dare importanza e vigore alle parole, anche tramite figure retoriche di ripetizione e ridondanza, soprattutto anafore (“Angelo”), ma anche tramite un continuo confrontarsi di piani temporali diversi e consecutivi (“Ieri, oggi e domani”) e la contrapposizione di opposti aspetti che sottolineano lo stridore e innestano il dubbio: “Decelerazione, / accelerazione, / decelerazione, / accelerazione…”.
Le due parti in cui è divisa la silloge danno l’immediata cifra interpretativa dell’esperienza della Carcereri: “Tu ed io” e “Io e il resto”, in un chiasmo a distanza, stabiliscono il punto centrale della sua ricerca – l’Io – (come in ogni tradizionale ispirazione poetica), mentre i due poli opposti ma complementari rimangono “l’altro”, un interlocutore col quale sempre ci si rapporta e ci si confronta, e “il resto”, dalle varie e complesse accezioni e declinazioni.
Il rapporto col “tu” è altalenante, fatto di avvicinamenti e di allontanamenti, di richiami e di separazioni: “Sembrava un altro addio, / sembrava l’ennesimo addio, / ma le nostre due anime / sono legate / da un moto perpetuo / di andata e ritorno, / di alta e bassa marea”. Il tu esiste, quasi carnale nella sua prospettiva di futuro, nella sua analisi del presente, nel suo ricordo del passato, (“Dimmi come riusciremo / a non essere / uno di questi amori sbagliati”) ma spesso si allontana, se non addirittura fugge, disertando il campo di battaglia e scomparendo nella latitanza: “Ora so che alcuni ricordi / sbiadiscono / o scompaiono del tutto.. / Penso sempre a te, / per saperti con me”. E il poeta rimane in bilico tra rimpianti, rimorsi e la sicurezza di aver ben agito, in ogni caso: “Basta / un’incomprensione / a farci capire / cosa sarebbe la vita / senza di lui. // Fiamma mai spenta. / Solo sopita”.
Il confronto con “l’altro”, invece, nell’esperienza della Carcereri, sancisce l’opportunità di dar vita a una poesia sociale che, com’è evidente negli ultimi tempi, ha oramai perso la sua identità e non riesce più a trovare una chiave espressiva valida e importante. Nel prevalente ripiegamento erotico-amoroso della poesia contemporanea, la carica sociale della poesia si riscopre, in questa silloge, ancora interessata a emergere. Sicché ecco comparire poesie dalle immagini rassicuranti e conosciute, come “Armadio di vita” o “Fari e lucciole”, che si caricano soprattutto di una tensione umana e universalistica: “E poi compro tre calle ad una bancarella, / ne osservo incantata / l’assurdo candore / e mi chiedo / come sia possibile / tanta bellezza / in altrettanta semplicità”.
Non sempre è agevole, né esaustivo, il tentativo di perforare la superficie e di approdare al “porto sepolto” di ungarettiana memoria: il movimento discendente è la somma aspirazione di tutti coloro che con la parola poetica si confrontano e giocano anche se non tutti raggiungono il punto estremo, l’approdo definitivo. La Carcereri sceglie la via della parola piana, dell’immagine rassicurante: quasi una forma di contrappasso per il nostro mondo frenetico e inquietante.