“Una vita sottile”: convivere con le ombre.

Dalila Sansone
AREZZO – Alcuni abissi sono insondabili, non possono essere presi e incasellati in una qualche categoria. Perché capita, in quei casi che non sono fatti ma vite incrociate, di accorgersi che le categorie siano insufficienti e comportino un prezzo troppo alto da pagare: dimenticarsi ciò che cercano di definire. L’anoressia è una nebulosa oscura senza astri che la trapuntano, nessuna fonte di luce, solo il’ripiegarsi su se stesse di infinite sfumature di nero, dove nero non è colore, nero è il condensarsi di tutto in niente. Chiara Gamberale scrive “La vita sottile” (Marsilio Editore, 1999) un passo oltre il bordo insidioso di quella nebulosa e l’incertezza del movimento si avverte tutta tra le righe.
La vita sottile è diario e racconto, una raccolta di pensieri e frammenti di vita vissuta a metà strada tra lo scritto privato e il testo da condividere. Non è un libro sulla malattia ma neppure il tentativo di ricostruire o definire cosa essa sia stata nel percorso personale dell’autrice. Anche il racconto si veste bene dentro quell’aggettivo “sottile”: tocca, arriva a dire e lasciare intravedere una dimensione che è stata singola e singolare. Chiara racconta un modo di sentire la vita, una percezione di sé in qualche misura fuori dalla propria storia: il corpo, la fisicità come una cassa di risonanza delle emozioni, capace di un’amplificazione assordante, talmente assordante da risultare insopportabile. È questa la ragione che spinge a scegliere una vita sottile che “scivola nei jeans e ti permette di non sentire addosso la loro tela ruvida […] scivola nel mondo e ti permette di non sentire addosso la sua imperfezione”. Il titolo cattura con l’immediatezza di un’istantanea questo dualismo tra la dimensione materiale e l’espressione reale di sé: ridurre alle estreme conseguenze la prima per rendere trasparente l’altra. È un libro che si muove su uno sfondo triste ma che non riesce ad esserlo, di una semplicità disarmante che rende il dolore ombra strappandolo alla malattia. Dalle ombre non è possibile distaccarsi completamente, perché se è vero che la proiezione sul muro cambia in base alle condizioni di illuminazione, ci si può anche giocare avvicinandosi o allontanandosi.
L’anoressia deforma e trasforma ma si riduce a una lotta impari tra il proprio senso di inadeguatezza e il bisogno disperato di vita e nel libro c’è soprattutto vita, nonostante lei, nonostante le sue ombra. L’ultima parola del libro è chiusa tra due punti: una soltanto, come una parentesi con i puntini di sospensione; se ne sta lì a separare un prima da un dopo che non importa conoscere ma che esiste. Le parole quando usate per “significare” bastano senza doverne usare altre per spiegare: Bentornata.