VerbErrando: Costruzioni – Viaggio tra lego e surrealtà

Veruska Armonioso
ROMA
– Finalmente anch’io possiedo i Lego.
Sembrerà sciocco provare piacere nel possedere qualcosa di tanto infantile, solo che in trentaquattro anni non ne avevo mai posseduto nemmeno un pezzo e invece io lo desideravo tanto. Quando ero piccola, mia madre si era sempre rifiutata di comprarmi palloncini pieni di elio e Lego. Dei primi detestava il rapporto costo/vantaggio, sostenendo che cinque mila lire per un palloncino che si sarebbe sgonfiato in meno di dodici ore fosse uno spreco; dei secondi riteneva che, come gioco, fossero ben al di sotto delle loro pretese. Di fatto, tutti i miei compagni di classe e amichetti ne possedevano almeno una scatola. Tutti li avevano, tranne me. Io non riuscivo a capire come fosse possibile che mia mamma non capisse quanto fossero importanti i Lego per un bambino, quindi le chiedevo spiegazioni di continuo, ma lei sosteneva che ero vittima di una moda e che, se proprio avessi voluto costruire, lo avrei potuto fare con il legno o gli stecchini, i cerini o gli stecchi di ghiacciolo o di gelato cremino. Allora giocavo, di tanto in tanto, con qualche Lego della mia vicina di casa, sempre di nascosto da mia madre e sempre più anelante di pezzi miei. Di fatto, negli anni, sviluppai altri modi per imparare a costruire. Delle costruzioni imparai ad apprezzare la perfezione degli incastri, la consapevolezza che, se avessi seguito le istruzioni, tutti i tasselli, con un’estrema facilità, sarebbero andati al loro posto e che il disegno sarebbe stato completato. Solo che diventai quella che io definisco una figlia dell’Ikea, una costruttrice capace di alzare palazzi solo disponendo di un libretto delle istruzioni. Giocando ieri sera con i lego, ho scoperto che non sono capace di costruire niente affidandomi alla fantasia, niente che non esista, senza seguire delle indicazioni. Strano, se si pensa che, da scrittrice, creo di continuo, ma in realtà costruisco emozioni, pensieri, suggestioni, sentimenti, storie che conosco, assortendole a mio piacere e con funzionalità; ma in questo non c’è niente di inesistente, niente di puramente fantasioso. Ho capito, allora, che tutto era dipeso proprio da quei Lego. Da piccola non avevo avuto l’occasione di esercitarmi a creare, a costruire affidandomi solo alla mia immaginazione.

Ora che possiedo i Lego intendo giocarci per tutta l’estate. Sarà il mio esercizio di stile e, insieme a questo esercizio, leggerò. Leggerò storie di fantasia, di fantascienza, surreali, perché voglio recuperare quel gusto, voglio essere capace anche io di vedere ciò che non c’è e metterlo su, come un aereo senza ruote che atterri su un cuscinetto cibernetico invisibile. Questo lungo cappello per augurarvi buone vacanze con una selezione letteraria a voi dedicata al gusto di costruzione fantastica.
“La casa del sonno” di Jonathan Coe è una delle mie prime scelte, per invitarvi a perdere il libretto delle istruzioni. Un saggio di spettacolare ricostruzione realistica affiancata a una costruzione di pura immaginazione. “Il linguaggio è un traditore, un agente segreto doppiogiochista che scivola inavvertito tra un confine e l’altro nel cuore della notte. E’ una pesante nevicata su un paese straniero, che nasconde le forme e i contorni della realtà sotto un manto di nebuloso biancore. E’ un cane azzoppato, che non riesce mai a eseguire correttamente gli esercizi richiesti. E’ un biscotto allo zenzero che, lasciato a inzupparsi per troppo tempo nel tè dei nostri auspici, si sbriciola, si dissolve, diventa niente. E’ un continente perduto.”


“L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello” di Oliver Sacks, una raccolta di racconti basati su storie di pazienti neurologici visti come figure archetipe, “viaggiatori diretti verso terre inimmaginabili, terre in cui altrimenti non avremmo idea, che non potremmo raffigurarci”. Questi personaggi e le loro storie possiedono una connotazione così tanto fiabesca da portare naturalmente il lettore a scegliere come epigrafe l’immagine di Osler di Mille e una notte, facendo perdere la consapevolezza che si tratta di casi clinici, facendoli percepire come vere e proprie storie, favole, una sorta di “scienza romantica” come la definiva Lurija.
“Che cosa c’è che non va?” gli chiesi infine.
“Che io sappia niente” rispose con un sorriso “ma secondo gli altri avrei qualcosa gli occhi”.
“Ma lei non accusa nessun problema alla vista?”.
“No, direttamente no, ma a volte faccio un po’ di confusione”
. Uscii un istante dalla stanza per parlare con la moglie, quando rientrai il dottor P. era tranquillamente seduto vicino alla finestra, e più che guardare fuori, ascoltava attento “Il traffico…” disse “… i rumori della strada, i treni in lontananza…Formano una specie di sinfonia, non le pare? Conosce Pacific
Di Honegger?” […] Gli avevo tolto la scarpa sinistra e sfregato la pianta del piede con una chiave, poi mi voltai ad avvitare l’oftalmoscopio, in attesa che lui si rimettesse la scarpa. Dopo un minuto mi accorsi con sorpresa che non l’aveva ancora fatto. “Posso aiutare?” chiesi.
“Aiutare chi? A fare cosa?”
“Aiutare lei a mettersi la scarpa”
“Oh…” disse “…avevo dimenticato la scarpa” e aggiunse sotto voce “La scarpa?” con aria sconcertata.
“La sua scarpa, non deve rinfilarsela?”
Lui guardava sempre in basso, non la scapra però, con una concentrazione intensa ma male indirizzata. Infine il suo sguardo si posò sul piede: “E’ questa la mia scarpa, vero?”
“I miei occhi…” spiegò, e si mise una mano sul piede “… è questa la mia scarpa, no?”
“No, quello è il suo piede. La sua scarpa è lì”.
“Ah! Credevo che quello fosse il mio piede…”


“Scacciata dal paradiso” di Gianna Manzini, una raccolta degli articoli più belli scritti da questa autrice e intellettuale del Novecento che ci regala uno spaccato culturale e sociale dell’Italia degli anni sessanta con un linguaggio e una leggerezza che rende questo libro un piccolo gioiello di ovatta. Perfetto per tutte le donne che hanno voglia di leggere le parole di una saggia e meravigliosa donna che dell’eleganza e del garbo fece la sua bandiera.
“Alaim dichiarava che l’educazione ss’impara con la danza. Chi non sa ballare crede che la difficoltà consista nel conoscere le regole della danza e nel sottomettere ad esse i movimenti. Ma il segreto consiste nell’arrivare a ballare senza rigidezza, senza impaccio, e per conseguenza senza paura. Così per le ormai sancite e spesso derise regole di buona educazione:: conoscerle significa appena  trovarsi alle soglie d’una superiore disinvoltura.A riscontro dell’affermazione di Alaim, mi piace ricordare quella di un grande pittore: Chardin. A un poeta seccante e mediocre, che vantava la propria meticolosità nella cura e nella scelta dei colori, disse a bruciapelo: “Perché lei, scusi, dipinge con i colori?”
E l’altro, sbalordito: “E lei, con che dipinge?”
“Col sentimento: dei colori, io, me ne servo”.


Infine, un libro per gli appassionati di immagini. “Monsieur Cent tetes” di Ghislaine Herbera.Un libro di maschere, un viaggio antropologico dentro la poesia e la magia della metafora, dove la fantasia delle immagini (tutte rigorosamente tratte da maschere tradizionali esistenti, provenienti da tutti i paesi del mondo) viene messa a servizio di Signor Senza Testa che cambia Testa/Maschera a seconda dello stato d’animo che lo anima.

 

Che queste vacanze siano un tempo di riposo, il tempo per  recuperare tutto quello che da bimbi avete perso o mancato, costruendo con fantasia e audacia i vostri giorni, e mantenendo sempre noi di ChronicaLibri tra le vostre pagine.
Buone vacanze!

Informazioni su Giulia Siena

Direttore. Per gli amici: il direttore di ChrL. Pugliese del nord, si trasferisce a Roma per seguire i libri e qui rimane occupandosi di organizzazione di eventi e giornalismo declinato in modo culturale e in salsa enogastronomica. Fugge, poi, nella Food Valley dove continua a rincorrere le sue passioni. Per ChrL legge tutto ma, come qualcuno disse: "alle volte soffre un po' di razzismo culturale" perché ama in modo spasmodico il Neorealismo italiano e i libri per ragazzi. Nel 2005 fonda la rubrica di Letteratura di Chronica.it , una "vetrina critica" per la piccola e media editoria. Dopo questa esperienza e il buon successo ottenuto, il 10 novembre 2010 nasce ChronicaLibri, un giornale vero e proprio tutto dedicato ai libri e alle letterature, con occhio particolare all'editoria indipendente. Uno spazio libero da vincoli modaioli, politici e pubblicitari. www.giuliasiena.com
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