Salani, “Una rivoluzione sentimentale”: intervista a Viola Ardone

una-rivoluzione-sentimentale_salani_chronicalibriGiulia Siena
PARMA – Quando un libro non è solo una storia, ma in quella vicenda si immerge, ne sviscera i personaggi, i pensieri, i cambiamenti, le sfide, i luoghi e i limiti, quel libro diventa un mezzo. Un tramite per conoscere chi scrive, la sua sensibilità, il suo desiderio di narrare, la sua voglia di raccontare. Un pretesa da puro lettore, certo, quella di immergersi in un volume e da lì trovare tracce dell’autore, eppure è sempre uno dei più forti motivi che spinge a leggere. Questa volta è Viola Ardone (nella foto in basso), autrice di Una rivoluzione sentimentale (Salani) a sospingere quella curiosità: innesta curiosità verso la storia e verso quello che c’è oltre la storia, dall’altra parte, dalla parte dell’autore.
Questa intervista vi svela un po’ di lei, della sua rivoluzione.

La rivoluzione è cambiamento, sconvolgimento, novità. Oggi di che tipo di rivoluzioni abbiamo bisogno?
Oggi abbiamo bisogno di pensare che sia ancora immaginabile una rivoluzione. Concederci la possibilità del cambiamento, anche solo come ipotesi. Sia a livello personale che sociale, politico. Spostare di un millimetro più in là il confine di una giornata, di un amore, di una decisione. Immaginare che dentro una scelta ce ne possa essere anche un’altra e un’altra ancora, come in un gioco di scatole cinesi. Darci un’altra possibilità. Decidere, ogni tanto, di non voler vincere. Scegliere di arrivare tardi. Di perdere un’occasione. Anche questo è rivoluzionario, nel nostro mondo fatto di traguardi da raggiungere e di record da infrangere.

In “Una rivoluzione sentimentale”, Zelda, la protagonista, arriva in una scuola e inizialmente non si lascia coinvolgere dal quotidiano, dalle vite degli altri, dalle piccole storie di ognuno. Zelda è una donna a parte, un mondo diverso, un’aliena rispetto alla semplicità del contesto: come nasce questo personaggio?
Zelda all’inizio della storia è incapace di guardare la realtà in cui vive. Un po’ come tutti quelli che, la sera dell’8 novembre, sono andati a dormire con Hillary Clinton presidente e si sono risvegliati con Donald Trump alla Casa bianca. Al mattino ci guardavamo stupiti, increduli, come se ci avessero fregati, durante il sonno, come se qualcuno avesse cambiato le carte mentre dormivamo. Ecco: forse stavamo dormendo già da prima, perché non siamo stati capaci di vedere quello che era sotto gli occhi di tutti. E cioè che gli intellettuali avrebbero votato per la Clinton mentre la massa aveva già fatto la sua scelta, aveva scelto Trump. È stato un risveglio da incubo, ma anche una grande lezione di realtà.

È possibile diventare insegnante, insegnare qualcosa a qualcuno quando ancora non si è imparato del tutto a stare al mondo, a vivere, a conoscere il confine tra il bene, il male, a distinguere tra necessità e bisogno; volersi bene e volere bene?
Sono diventata insegnante nella mia seconda vita, otto anni fa. Prima facevo un altro lavoro, in una casa editrice, dalle 8 alle 5 alla mia scrivania, a tu per tu con bozze, progetti grafici e refusi da correggere. Poi, in maniera un po’ inaspettata, proprio come Zelda, la protagonista del romanzo, sono stata immessa in ruolo e ho fatto il mio primo ingresso in una classe. L’ultima volta che ci ero stata, ero dall’altra parte della cattedra, come alunna di terzo liceo classico, un po’ secchiona e piena di progetti per il futuro. Sono entrata in aula con la mia lezioncina già preparata, pronta a filare dritta fino alla fine dell’ora, e così via, ora dopo ora, giorno dopo giorno, fino alla fine dell’anno. Ad un certo punto, però, subito dopo l’appello iniziale, ho alzato lo sguardo verso i miei alunni e ho visto le loro facce, i loro occhi. Ho capito che cercavano qualcosa in me. Risposte, consigli, un esempio da seguire… Volevano che io indicassi loro un direzione. Ricordo che pensai: “come faccio a insegnare loro qualcosa che nemmeno io conosco? Finché si tratta della consecutio temporum o della differenza tra metonimia e sineddoche, va bene. Ma poi? Che cosa so io della vita? Che esempio potrei essere per loro?”. Per fortuna non ci è voluto molto a capire che a scuola non si va solo per insegnare, ma anche per imparare. E questo vale sia per chi si trova davanti sia per chi si trova dietro la cattedra. Non c’è giorno che io non impari qualcosa dai miei alunni. E loro, spero, qualcosa da me.

viola-ardone_intervista-chronicalibriZelda, però, è una donna vera, forte, determinata, una ragazza per bene, una ricercatrice che per caso e per necessità arriva all’insegnamento. La sua vita privata è un’altalena di emozioni distaccate: lei e Marcello sono una non coppia, emblema di una nuova concezione di amore?
Zelda e Marcello hanno un rapporto di amicizia e di amore molto libero. Sono una “coppia aperta”, come si diceva negli anni Settanta. Ognuno dei due ha le sue storie, sempre passeggere e mai definitive, ma ciascuno sa di essere l’unica persona veramente importante per l’altro. Questa però si rivela un po’ un’illusione. Sono convinti di essere “rivoluzionari” nel loro rapporto, ma in realtà hanno una concezione un po’ snob e in qualche modo “stilizzata” dell’amore. E se oggi la cosa più “rivoluzionaria” in amore fosse stare con qualcuno e restarci? Accettare e giocarsi fino in fondo la sfida della vita a due?

Dal silenzio emotivo a una crescita di sensazioni. Nel romanzo arriva anche Nadia, i suoi capelli rosa e le sue convinzioni. Due donne dal carattere differente: le donne, oggi, sono alleate nella rivoluzione o combattono in schieramenti opposti?
Le amicizie femminili, per quanto mi riguarda, sono un fatto anagrafico. Da ventenne e poi da trentenne cercavo sempre amicizie maschili, mi davano più sicurezza. È da pochi anni che ho scoperto il valore della complicità e della solidarietà al femminile. Questa forma di “sorellanza” è un mondo da scoprire, da ricercare e da creare. Quando le donne impareranno a combattere nella stessa squadra e non in schieramenti opposti diventeranno invincibili.

Il tuo libro parte dalla periferia di Napoli e di quella periferia racconta le sfide e gli svantaggi, i sogni e i limiti. Ma questo libro poteva nascere ovunque o ha un legame indispensabile con il territorio campano? 
C’è un capitolo, nella parte finale del romanzo, dove la protagonista paragona la periferia in cui si è trovata a lavorare a tutti i Sud del mondo. Forse perché le periferie sono tutte uguali nel loro essere lontane dal centro, dall’interesse dei media, lontane da dove succede qualcosa di nuovo. E, se qualcosa succede, è invariabilmente qualcosa di brutto. Il mio romanzo è ambientato a “Scogliano”, un nome di fantasia che però riassume metonimicamente molte periferie del napoletano. Paesi e paesi che si susseguono senza soluzione di continuità su uno stesso lungo stradone. Ci passi in auto, guardi distratto e dici: “qui non c’è niente”. E invece non è vero: c’è la vita, ci sono dei ragazzi, ci sono mamme, anziani, uomini e donne, i loro figli, le loro case, le loro vite. E questo è vero per tutte le periferie.

Le pareti bianche della camera di Zelda sono coperte di libri: puoi dirci qualche titolo che hai immaginato tra quelle pile confortanti e protettive? (e cosa ti dicono quei libri visto che li hai resi “parlanti” per le orecchie di Giacomo NDR)
Giacomo sceglie, o meglio viene scelto da un libro, uno dei tanti che foderano la camera di Zelda. È “Il giovane Holden”, di Salinger. Mi divertiva l’idea che il primo romanzo letto da quest’uomo, non più ragazzo, avesse la voce narrante di un “giovane”. E poi in fondo Holden potrebbe starci benissimo tra gli alunni della VQ del liceo scientifico di Scogliano, dove Zelda è andata a insegnare. E questo è il primo motivo. Il secondo è che, per espressa richiesta di Salinger, la copertina di questo romanzo è sempre stata bianca. Un libro bianco è un libro dal quale incominciare la propria carriera di lettore, in ogni età. E quindi Giacomo sceglie lui, mentre tutti i libri in coro gli sussurrano “prendi me, prendi me, prendi me…”.
Sulle pareti della camera di Zelda, poi, crescono libri di ogni genere. Più che sul loro contenuto, però, mi sono interrogata sull’ordine in cui fossero messi. Perché si sa, l’ossessione del bibliofilo è l’ordine da dare ai libri. Alfabetico, per materia, per editore, per formato, colore, anno…
E ho pensato che, in fin dei conti, Zelda avrebbe fatto come me: avrebbe adottato il principio del “vicino illustre”, che consiste nel sistemare ogni autore accanto a quello che gli è più affine, per tematica, corrente, sensibilità, grafica di copertina, protagonista e così via. Questo metodo ha l’indubbio vantaggio di permettermi sempre di trovare quello che sto cercando, in ogni momento e senza il minimo dubbio, e di far dialogare piacevolmente i libri tra loro. Lo svantaggio, evidentemente, è che si tratta di un ordine non esportabile né replicabile, perché è solo mio e lo posso interpretare solo io.

Quali sono le tre parole che preferisci?
Libertà, desiderio, stupore. In quest’ordine.

Informazioni su Giulia Siena

Direttore. Per gli amici: il direttore di ChrL. Pugliese del nord, si trasferisce a Roma per seguire i libri e qui rimane occupandosi di organizzazione di eventi e giornalismo declinato in modo culturale e in salsa enogastronomica. Fugge, poi, nella Food Valley dove continua a rincorrere le sue passioni. Per ChrL legge tutto ma, come qualcuno disse: "alle volte soffre un po' di razzismo culturale" perché ama in modo spasmodico il Neorealismo italiano e i libri per ragazzi. Nel 2005 fonda la rubrica di Letteratura di Chronica.it , una "vetrina critica" per la piccola e media editoria. Dopo questa esperienza e il buon successo ottenuto, il 10 novembre 2010 nasce ChronicaLibri, un giornale vero e proprio tutto dedicato ai libri e alle letterature, con occhio particolare all'editoria indipendente. Uno spazio libero da vincoli modaioli, politici e pubblicitari. www.giuliasiena.com
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