Marianna Abbate
ROMA – Era l’ormai lontano 1998. La radio trasmetteva a rotazione “My heart will go on” e si faceva a gara su chi avesse visto più volte il Titanic al cinema. Frequentavo le scuole medie presso delle suore acide e rotonde, mi mancavano almeno due denti davanti e la mia faccia era tempestata di pustole acneiche, che (io non lo sapevo ancora) mi avrebbero perseguitato per lunghi anni.
Ero in possesso di qualunque supporto cartaceo contenesse l’immagine, per me mistica, del bel Leonardo; compreso un album di figurine Panini dal quale appresi inquietanti notizie sulla vita privata, e con mio immenso sgomento ed emozione, anche sulle esperienze sessuali dell’attore. Ora non voglio discutere sull’incoscienza dell’editore che ha messo queste informazioni dentro ad un prodotto dedicato principalmente alle bambine, e non saprei dirvi se queste notizie mi hanno bloccato la crescita o semplicemente raggiunto il metro e 80 il Signore ha pensato bene di non farmi crescere ulteriormente. Sono qui per parlarvi del libro preferito di uno dei più grandi divi della mia infanzia, accanto ai Take That e alle Spice Girls.
Quando appresi che il mio mito era innamorato del Vecchio e il mare di Hemigway, feci praticamente di tutto per procurarmene una copia. Mi ricordo che lo lessi di nascosto da mia madre, che mi perseguitava dicendo che l’autore era un ubriacone e che nulla di quello che aveva scritto mi sarebbe stato utile. Ma io ero incredula, convinta che in quelle pagine si celasse chissà quale segreto del successo internazionale di Leo, e che quel libro mi avrebbe consentito di raggiungere con lui una fratellanza spirituale- che mi avrebbe inevitabilmente portato a diventare la signora Di Caprio.
Leggevo, leggevo, leggevo e non capivo. Cosa c’era da amare in quel libro? Ad un certo punto ho addirittura sospettato che il mio Amore non l’avesse visto neanche da lontano, e che fosse tutto un’invenzione dei giornalisti per screditarlo ai miei occhi.
Un povero vecchio solo in mare a mangiare pesce crudo col sale, a bruciare al sole giornate intere, per poi tornare a riva con null’altro che una carcassa inutile e sanguinolenta.
Dov’era il senso? Come in un trans rimediai ogni libro disponibile di Hemingway, cercando una risposta concreta alla mia domanda. Soffrivo ad ogni pagina di Fiesta e Per chi suona la campana, a volte mollavo la lettura- ma qualcosa mi spingeva a riprendere in mano quei libri. A voltare le pagine e raggiungere la parola fine.
Oggi ripenso a quel Vecchio, al sapore del whisky di una taverna in riva al mare. Al calore del sole su quella pelle vecchia e dura, al sale nella carne cruda. All’emozione della pesca, al successo e alla caduta.
Ho letto quel libro quasi quindici anni fa, senza capirlo. Ma ancora oggi mi ricordo praticamente ogni parola.
Forse io e Leonardo siamo destinati a stare insieme.