Marianna Abbate
ROMA – Per tal ragione nasciamo senza esperienza, moriamo senza assuefazione. E’ morta senza assuefazione, senza routine, la poetessa polacca premio Nobel alla Letteratura. Wislawa Szymborska, Lei che della morte non aveva paura e la sfidava in poesie ironiche e sorridenti. Che in un museo, guardando gli oggetti esposti, ricordava le persone cui erano appartenuti. Perché delle persone rimangono piatti, fedi, corone e guanti- ma non rimane la fame, la fiducia, il potere e la sfida. Io vivo, credetemi, diceva mentre continuava a lottare contro un vestito a fiori che voleva necessariamente sopravviverle. Se non avete letto le sue poesie, fatelo ora. Non vi annoierete, ma magari potrete scoprire un granello di sabbia in un paesaggio.
Quel vestito probabilmente finirà in un museo, ma le sue poesie non varcheranno mai quella soglia. Staranno lì poggiate sui vostri scaffali, in attesa di vivere ancora ogni qual volta sfoglierete quelle pagine- ogni volta che cercherete su Google il suo nome. Guadagnarsi l’eternità non è cosa da poco, di questi tempi.
E così per non lasciarvi affamati senza sapere dove cercare vi lascio dei consigli su come compilare un curriculum. Consigli da premio Nobel.
Scrivere un curriculum (Wislawa Szymborska)
Che cos’e’ necessario?
E’ necessario scrivere una domanda,
e alla domanda allegare il curriculum.
A prescindere da quanto si e’ vissuto
e’ bene che il curriculum sia breve.
E’ d’obbligo concisione e selezione dei fatti.
Cambiare paesaggi in indirizzi
e malcerti ricordi in date fisse.
Di tutti gli amori basta quello coniugale,
e dei bambini solo quelli nati.
Conta di piu’ chi ti conosce di chi conosci tu.
I viaggi solo se all’estero.
L’appartenenza a un che, ma senza perche’.
Onorificenze senza motivazione.
Scrivi come se non parlassi mai con te stesso
e ti evitassi.
Sorvola su cani, gatti e uccelli,
cianfrusaglie del passato, amici e sogni.
Meglio il prezzo che il valore
e il titolo che il contenuto.
Meglio il numero di scarpa, che non dove va
colui per cui ti scambiano.
Aggiungi una foto con l’orecchio in vista.
E’ la sua forma che conta, non cio’ che sente.
Cosa si sente?
Il fragore delle macchine che tritano la carta.