Giulio Gasperini
AOSTA – Il mercato editoriale italiano è, evidentemente, da alcuni anni ingolfato di ricettari. Tutti si improvvisano (o esagerano) cuochi e propongono ricette spesso senza neanche un elemento comune o un’idea originale. Non è così il ricettario di Roberta Pieraccioli, edito in un’ottima veste grafica da Ouverture Edizioni (2015). La Resistenza in cucina, come recita il sottotitolo, è un insieme di “Ricette del tempo di guerra per resistere al tempo di crisi”, e trova le sue ragioni in un omaggio alla madre dell’autrice.
Sono ricette, quelle di Roberta Pieraccioli, che partono da alcuni comportamenti tipici dei periodi di guerra e di grande crisi: il risparmio, il riutilizzo, l’evitarsi di sprechi, in particolare. Sono tutte ricette, pertanto, che richiamano un periodo storico preciso, che formano un collage anche familiare di ricordi e tradizioni. L’autrice stessa, nella sua introduzione, fornisce la chiave di lettura per poter comprende al meglio questo ricettario che non è soltanto raccolta di ricette, ma anche “ricostruire attraverso la cucina un piccolo spaccato della vita quotidiana di settant’anni fa proponendo un breve percorso storico seguendo i ricettari del tempo di guerra”. C’è anche un po’ di storia, in questo libro (con una ricchissima bibliografia finale), infatti, perché la cucina è una delle manifestazioni, come direbbe Massimo Montanari, di vera cultura e pertanto imprescindibile. Ecco che Pieraccioli scrive di carta annonaria, di mercato nero, di orti di guerra (che così tanto di attualità sono tornati). Perché la cucina si basa sugli ingredienti che le persone hanno a disposizione; nient’altro.
Non ci sono, di proposito, alcuni famosissima piatti tradizionali maremmani, della cosiddetta cucina povera. Ne compaiono, invece, altri, meno noti ma non per questi meno saporiti e appetitosi, in una lunga lista di 50 ricette sfiziosissime. Si inizia coi primi piatti, quasi tutti della nonna Argia, dalla farinata alla zuppa di castagne (abbondanti in Maremma), ai tortelli ripieni di carne avanzata, al brodo di guerra. I secondi spaziano dalla trippa finta alla fiorentina, allo sformato di lesso, alla frittata di ortiche senza uova e con farina di ceci. Un abbondante spazio è destinato alle frittelle dolci e salate, che al tempo non venivano di certo fritte con l’olio (ma con lo strutto).
“La Resistenza in cucina” è un ricettario unico, che accompagna il lettore su un doppio binario, complementare. Da una parte la scoperta di un periodo della nostra storia moderna; dall’altro, la possibilità di reinventarsi in cucina seguendo nuove (ma vecchie) regole e assecondando il momento storico, così simile per certi versi, a quello appena trascorso e ricordato nel testo.
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