Alessia Sità
ROMA – Qualche mese fa ho letto e recensito il romanzo di Francesco Rago, “Dolce come il piombo” pubblicato da Edizioni Montag nella collana Le Fenici. La storia di tre ragazzi di provincia che lottano, con ostinazione, per farsi spazio in un mondo che troppo spesso ha delle regole crudeli, mi ha veramente tenuta sospesa fino all’ultima pagina, spingendomi a riflettere molto sull’ineluttabilità del destino. La vicenda di Lepre, Fuoco e Saetta e la scrittura di Francesco Rago mi hanno decisamente conquistata. Oggi ChronicaLibri vi propone l’intervista all’autore.
“Dolce come il piombo”, se non sbaglio è una sinestesia? Qual è il significato profondo di questo titolo?
A un certo punto del libro c’è una frase: “Lucia continuava a vivere nei suoi pensieri, alcuni dolci come il miele, altri pesanti da digerire, come il piombo”. Il romanzo è costruito sulla linea sottile che scorre fra la dolcezza dell’amicizia e della gioventù, e l’amarezza della separazione e della perdita, fino al punto in cui le due cose si mischiano fra loro e non si distinguono più.
Cosa ha ispirato la storia di Ivan, Fabrizio e Carlo?
Avevo voglia di raccontare l’amicizia, quella vera, e per farlo mi sono ispirato a una provincia e a un’epoca in cui forse c’era più spazio per sognare.
Quanto di Francesco Rago c’è nella storia di Lepre, Fuoco e Saetta? Qual è il personaggio a cui ti sei legato di più?
Nella storia di Lepre, Fuoco e Saetta direi che ci sia poco e niente del mio vissuto, nel senso che i personaggi appartengono a un periodo storico e a un microcosmo che non sono i miei. Durante la scrittura mi sono legato in egual misura a ciascuno di loro, nella mia visione è un po’ come se tutti e tre fossero un unico personaggio, una sorta di tre di uno.
Il tuo libro oscilla fra dolcezza e amarezza. Dalla spensieratezza infantile alla consapevolezza della maturità adulta. Possiamo dire che il tuo romanzo è una lucida riflessione sullo scorrere del tempo e sull’ineluttabilità del destino?
Credo che quelle cui fai riferimento siano senz’altro tematiche centrali. Nel corso della vicenda i protagonisti crescono e si evolvono, e a un certo punto si crea una distanza fra ciò che diventano e ciò che invece avrebbero dovuto e potuto essere. Ma com’è possibile stabilire e misurare questa distanza? Non è possibile, ed è in questa sorta di buco nero che si concentra la loro storia.
Mi ha colpito molto la tua straordinaria capacità introspettiva. Nel tuo libro, descrivi accuratamente personaggi e particolari di ogni tipo con estrema precisione. Ogni dettaglio è funzionale al racconto e permette al lettore di affezionarsi ai protagonisti. Quanto conta l’intreccio narrativo in un libro?
In un romanzo come il mio, che abbraccia un arco di tempo di quasi trent’anni, mantenere un coerente intreccio narrativo è fondamentale, altrimenti c’è il rischio che la storia si sfaldi e il lettore si smarrisca in corso d’opera. La difficoltà in questo caso era di gestire tre protagonisti contemporaneamente, cercando di mantenere ritmo e interesse nelle vicende di ognuno. Penso che venga spontaneo affezionarsi a Lepre, Fuoco e Saetta perché sono caratterizzati da una forte umanità.
Cosa rappresenta per te la scrittura?
Mi rivedo molto in questa affermazione di Salgari: “Scrivere è viaggiare senza la seccatura dei bagagli”. Per me la scrittura rappresenta anche e soprattutto un viaggio mentale, un momento di evasione, di libertà.
Attualmente stai lavorando a qualche progetto particolare?
Ho concluso un nuovo romanzo, per certi aspetti molto diverso dai miei lavori precedenti. Ora sono in attesa di trovargli una sua collocazione editoriale.
Da scrittore quali sono le 3 parole che preferisci?
Non mi pare di avere delle parole preferite, ma queste mi piacciono: zazzera, limaccioso, anfitrione.