La Natura che si crea tra le sillabe di Antonia Pozzi

Nel prato azzurro del cieloGiulio Gasperini
AOSTA – La poesia di Antonia Pozzi è passata attraverso un percorso critico feroce. Dalle prime violazioni del padre stesso a una critica letteraria che l’ha sempre trattata come una voce minore e addirittura trascurabile. Ma Antonia Pozzi è vivace potenza di parola e di suono, ha la capacità di dar vita a scene, rappresentazioni umane e naturali gravide di vita, di pulsazioni, di vibrazioni creatrici. Come quelle che si trovano nella nuova pubblicazione di Motta Junior, che ChronicaLibri recensisce in anteprima: Nel prato azzurro del cielo vede protagoniste le poesie di Antonia Pozzi e le splendide illustrazioni, leggere come acqua, di Gioia Marchegiani.Si scopre, così, che le poesie di Antonia Pozzi sono perfette anche per un pubblico giovane, “poesie per bambini” com’è scritto in “Canzonetta”. Così troviamo la poesia “Infanzia”, che illumina la stagione felice per eccellenza (“A mezzogiorno / dal balcone del palazzo / una campana chiamava a riva / la tua gioia assolata / di bambino”). La Pozzi aveva un rapporto strettissimo con la Natura, in ogni sua manifestazione: adorava la montagna e immergersi in quel mondo che cambiava costantemente e che mostrava ogni volta aspetti diversi, mutanti e mutevoli, sorprendendo la vista e stupendo l’immaginazione di una bambina che tutto registrava come sorprendente (“Mascherata di peschi”). È l’odore del verde che così diventa il profumo della sua infanzia, di quel momento perfetto, mai più riproducibile, in cui il dolore non esisteva e c’era soltanto qualche vago sentore di un disagio che sarebbe a breve esploso: “Odor di verde – / mia infanzia perduta – / quando m’inorgoglivo / dei miei ginocchi segnati”. La Natura è fonte di gioia, di un riso perenne, di una condizione che si ricerca persino disperatamente, in fuga da un’angoscia che altrimenti dominerebbe ogni nostra decisione: “Gioia di cantare come te, torrente; / gioia di ridere / sentendo nella bocca i denti / bianchi come il tuo greto; / gioia d’essere nata / soltanto in un mattino di sole / tra le viole / di un pascolo; / d’aver scordato la notte / ed il morso dei ghiacci”. È la montagna la scenografia privilegiata di tanto immaginario della Pozzi: le rocce, i nevai, i fiori che caparbi fioriscono e splendono di colori dove l’aria è più fina, le acque ribelli; ogni angolo, ogni taglio di roccia, ogni sperone, ogni ombra spezzata sono correlativi oggettivi di un abisso interiore che sprofonda fino alle più intime essenzialità: “Il taglio / delle rupi più eccelse / era il disegno / della mia forza – in cielo”. E la voce poetica si scioglie nella natura, confondendosi, immedesimandosi nei suoi processi, nei suoi gorghi e scoprendosi poi diversa ma simile, differente ma complementare: “Ninfee – / con le radici lunghe / perdute / nella profondità che trascolora – / anch’io non ho radici / che leghino la mia / vita – alla terra – / anch’io cresco dal fondo / di un lago – colmo / di pianto”. Ma Antonia Pozzi è una scrittrice di una profondità inedita e inattesa. Pochi anni ha vissuto, decidendo a soli ventisei di porre fine al suo cammino. Ma già aveva visto. Aveva visto e ne aveva fatto esperienza, sapendo trasformare questa poetica in potenza in un atto delizioso, compiuto, estremamente efficace. Come nella poesia “Confidare”, dove coglie, in un attimo dimesso e quotidiano, tutta la potenza di un istante lungo un infinito: “Ho tanta fede in te. Son quieta / come l’arabo avvolto / nel barracano bianco, / che ascolta Dio maturargli / l’orzo intorno alla casa”.

Informazioni su Giulio Gasperini

Laureato in italianistica (e come potrebbe altrimenti), perdutamente amante dei libri, vive circondato da copertine e costole d’ogni forma, dimensione e colore (perché pensa, a ragione, che faccian anche arredamento!). Compratore compulsivo, raffinato segugio di remainders e bancarelle da ipersconti (per perenne carenza di fondi e per passione vintage), adora perdersi soprattutto nei romanzi e nei libri di viaggio: gli orizzonti e i limes gli son sempre andati stretti. Sorvola sui dati anagrafici, ma ci tiene a sottolinare come provenga dall’angolo di mondo più delizioso e straordiario: la Toscana, ovviamente. Per adesso vive tra i 2722 dello Zerbion, i 3486 del Ruitor e i vigneti più alti d’Europa.
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