“Destinazione Freetown”: il ritorno all’inizio dell’orizzonte.

Giulio Gasperini
AOSTA – Le persone si spostano, da ogni angolo di mondo sino al prescelto altrove. O anche ad uno casuale. Ma da secoli, da millenni, gli uomini e le donne si incamminano verso altri orizzonti, cercando di indovinare cosa la cura della Terra nasconda al loro sguardo; immaginando per sé stessi, per i propri figli, per le proprie famiglie, una possibilità di cambiare la propria condizione di vita, di migliorare la propria esistenza, di concedere un futuro meno feroce e crudele ai loro discendenti. In “Destinazione Freetown”, l’ennesima pubblicazione nella deliziosa collana “Quartieri” della Becco Giallo, Marta Gerardi e Raul Pantaleo, del progetto Tamassociti, disegnano e narrano la storia di un migrante, Khalid, che deluso dall’Italia, dalla mancanza di lavoro e di prospettive, da una società soffocante e razzista, decide di ripercorrere a ritroso il suo cammino, tornando nella sua terra, coltivando la fiducia e la speranza che soltanto con il lavoro e la presenza sia possibile migliorare una terra e le persone che la calpestano. Decide di affrontare di nuovo quel mare a cui miracolosamente era sopravvissuto, rotta che sempre più spesso, ai giorni nostri, tanti migranti stanno riprendendo, spinti da una crisi irrisolta e da una società che sempre più si rende sorda e cieca ai loro bisogni; decide di lasciare il Vecchio Continente, che sempre più invecchia, e di tornare in un’Africa che si sta svegliando e si sta scoprendo affamata di tutto, dalla cultura al cibo, dal futuro al suo eterno passato.
Ma il cammino di Khalid offre anche la possibilità di incrociare tante umanità eroiche, tanti uomini e tante donne che, nei semplici gesti del quotidiano, rivendicano (più o meno consapevolmente) il loro stato d’esistenza, il loro orgoglio di esser presenti e di poter comunicare qualcosa, di poter imporre un’idea, di poter imprimere una direzione, di poter pretendere di essere – almeno una volta, per un breve istante – ascoltati e considerati ben più del nulla. E nel suo cammino, ancora, Khalid ha modo di incontrare una realtà che riempie d’orgoglio l’Italia: Emergency, con i suoi ospedali, i suoi ambulatori, i suoi centri di alta chirurgia cardiaca in mezzo al deserto furioso e alla devastazione cieca. Khalid ce li spiega, uno per uno: dal Centro Pediatrico di Port Sudan al Centro di cardiochirurgia di Khartoum, dal Centro pediatrico di Nyala al Centro Pediatrico di Bangui al Centro chirurgico di Freetown; sono queste le pietre miliari che accompagnano il cammino contromano di Khalid, e in loro il ragazzo trova la speranza per continuare a sperare in una rinascita dell’Africa e degli africani. Una rinascita che non è assistenzialismo né pietà per assolvere le coscienze e concedere riposi tranquilli e sereni; è un primo passo nella maturazione e nella presa di coscienza di uno stato d’esistenza che nessuna guerra, nessuno sfruttamento, nessun esodo, nessun tiranno potranno mai soffocare. È sempre lì, fremente, palpitante: pronta a rialzare il capo, a risollevarsi e a tentare di rendere l’orizzonte sempre più vicino; così vicino da non sentir più la necessità di partire per non sfiorire.