Giulio Gasperini
AOSTA – La scrittura del Dio. Discorso su Borges e sull’eternità, edito nel 2015 da Edizioni Spazio Interiore, è un saggio di Igor Sibaldi che affronta una questione importante della poetica di Borges: ovvero, la scrittura del Dio. Il testo di partenza è il racconto La escritura del dios, che lo scrittore argentino compose negli anni Quaranta: il tema è l’invenzione di un enigma, una frase (la sentencia mágica) che contiene quattordici misteri, come quattordici sono le parole apparentemente casuali che la compongono. Igor Sibaldi le passa in rassegna tutte, cercando di dare loro una spiegazione che permette al lettore di arrivare a disvelare, se non tutto, almeno parte del mistero che sta dietro questa visione.
Così che Sibaldi conduce il lettore, guidandolo tra i difficili meandri delle interpretazioni, attraverso le quattordici parole, dal personaggio di Alvarado all’Orbis Tertius, da El tercer tigre (ovvero il giaguaro nelle cui macchie è cifrata tutta la sentencia mágica) a il Dio della scrittura (“Un uomo a un certo punto lo narrò”), sostenendo che se un uomo (nello specifico Mosè) non avesse scritto su Dio, Dio non sarebbe mai esistito.
Questa antica sentencia mágica si ricollega anche al mito biblico della Torre di Babele, quando una comunità umana aveva a sua disposizione un’unica lingua che dava un “potere illimitato”; la stessa Babele che lo stesso Borges descrive in un altro suo racconto, La biblioteca de Babel, il luogo dove tutto è contenuto perché è contenuto tutto il linguaggio: “I suoi scaffali archiviano tutte le possibili combinazioni dei simboli ortografici, cioè tutto ciò che è dato di esprimere, in tutte le lingue”.
È un testo, questo di Sibaldi, che, se anche breve e con uno stile chiaro e accessibile, non è semplice né agevole, perché introduce il lettore a una serie di questione complesse e composite, non immediatamente penetrabili. E lui stesso ne è consapevole: “Io trovo soltanto pseudoproblemi, cioè questioni che non possono venire risolte”. Una sicurezza c’è, ovvero che l’approccio di Borges sia poetico e senza dubbio nell’atteggiamento di Borges stesso di non fornire risposte ai suoi quesiti profondi c’è anche una “inclinazione, propria a tutti gli scrittori onesti, ad assumersi solo il compito di descrivere uno stato di cose: cioè di ampliare il più possibile l’elaborazione delle domande”.
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