La supposta modernità di Annie Vivanti.

Giulio Gasperini
AOSTA – Fu scrittrice notevole e famosa, ai suoi giorni. Nella sua figura Annie Vivanti concentrò aspetti diversi e mutevoli: si rese catalizzatrice e caleidoscopio allo stesso tempo di spinte femministe e globalizzanti. La sua storia fu già romanzo e lei se ne rese conto presto, trasformando ogni suo gesto e ogni suo scritto in una rivendicazione o in un manifesto. Fu prodotto di culture diverse, di lingue distanti, di geografie agli antipodi e con risolutezza si assunse la responsabilità di scelte coraggiose e anticonvenzionali, diventando ben più di altre acclamate femministe (un nome su tutti, Sibilla Aleramo), una figura di riferimento (e, per certi versi, di scherno) di chi timidamente stava cominciando a rivendicare un ruolo di maggior importanza e significato. Fu donna dalla scrittura asciutta e dal piglio sicuro, distante da certa enfasi dannunziana ma non completamente esente da ricadute nel sentimentalismo e nella liricità eccessiva d’una certa prosa d’inizio Novecento. Tanto che i generi dove il suo talento brilla con più chiarezza son la novella e il romanzo breve, mentre oramai pare tramontata la fiducia nei suoi versi, attraverso i quali si impose a fine Ottocento all’attenzione della società culturale. I racconti di “Perdonate Eglantina!” testimoniano in maniera paradigmatica i nuovi orizzonti verso i quali la fantasia e la disinvoltura narrativa della Vivanti si spinsero: compare una visione del mondo intercontinentale, con setting e comparse forse mai accolte prima in un testo italiano; si sente prepotente l’influenza della sua cultura britannica e inglese, anche a livello di lingua e utilizzo di lessico; non c’è timore, ma anzi orgoglio, di parlare di donne, descriverle in ogni loro declinazione, offrirle al lettore in vesti e situazioni diverse e complesse, senza mai svilirne l’importanza ma, all’opposto, offrendoci soluzioni alternative di considerazione.

L’agenda del Carducci: il 26 marzo compose la poesia in onore di Annie Vivanti

 

Divertono anche le buffe confessioni di una signorina che si impegna all’inverosimile per “Trovar marito”; affascina e meraviglia lo scambio di identità di due donne che trascorrono le vacanze nel medesimo albergo di montagna in “Celebrità”; non si può che ammirare il coraggio, non sempre sostenuto dalla riuscita narrativa, di un racconto ferocemente autobiografico ambientato nelle desolate terre del West americano, dove Annie si era trasferita col marito John e la figlia Vivien; si nota un po’ d’iniziale satira di “Mrs. Dalloway” nel racconto “Impegni”, che però termina in una prospettica agli antipodi, chiudendosi con un richiamo all’Italia a non dimenticarsi dei suoi veterani residenti all’estero; si cimenta la Vivanti anche con un genere noir, dai risultati non esaltanti, in “Distinta famiglia cerca istitutrice”; interessanti e innovativi sono i racconti “Visita ad una penitente” dove la scrittrice racconta la sua visita a un carcere femminile, descrivendo la condizione delle detenute, e il racconto “Giosuè Carducci”, una rievocazione dolce e malinconica della sua amicizia col poeta, dal giorni in cui si conobbero all’ultimo loro incontro.
Scrittrice trascurata, se non proprio dimenticata; sottovalutata, deve pagare lo scotto di non aver forse mai pubblicato un’opera di estremo impatto ma una serie di contributi che la rendono una scrittrice certo importante alla storia della letteratura italiana. Adesso, un distico di Carducci suggella il suo risposo: “Batto alla chiusa imposta con un ramoscello di fiori / glauchi ed azzurri come i tuoi occhi, o Annie”.