ROMA – “E più sono intelligenti più sono pericolosi, creda a me che li conosco. Quello che è successo a Villa Ada si spiega solo così”.
A differenza di tutti quelli che a Villa Ada ci vanno solamente per la corsa mattutina, Vasco Sprache nella villa ci vive e lo fa come un barbone. Nonostante sia un poeta conosciuto e un uomo di bell’aspetto, Sprache ha fatto del parco la sua casa e personalizza i viali appendendo agli alberi le sue poesie. Un giorno, però, viene ritrovato morto. Da questo delitto partono le indagini del commissario Sperandio, figlio di professori universitari e ultra quarantenne con il pallino per la poesia. Sperandio, infatti, è tra coloro che tutte le sere, dopo lavoro, si dedicano a comporre versi e la mattina, prima di recarsi a lavoro, con qualsiasi clima, si reca a Villa Ada per correre. E Sperandio conosce bene il parco e i suoi anfratti e, attraverso gli interrogatori per scoprire il colpevole del delitto, conosce anche tutti coloro che corrono e hanno un qualche rapporto con la poesia. Tra questi c’è Giorgio Manacorda, il professore universitario in “odore di nobel” che ha ritrovato il cadavere di Vasco Sprache.
Giorgio Manacorda in “Delitto a Villa Ada” – pubblicato da Voland – diventa personaggio, maggior indiziato per l’omicidio e forse vittima anche lui di un mistero che si gioca sul filo del verso poetico.
La trama del racconto è avvincente e il libro si dipana fino all’ultima pagina arricchendosi di colpi di scena e rimandi letterari (i nomi degli indiziati sono i cognomi di poeti italiani celebri, l’amicizia dell’autore con Pasolini, il ruolo “banalizzato” della poesia e lo scontro perenne tra ispirazione poetica e qualità letteraria). Autoironico e irriverente è Manacorda che scrive una favola noir dalle sfumature linguistiche e stilistiche degne del suo nome e del suo personaggio anche fuori dal romanzo.