La bella favola di “Un asino a strisce”.

Asino_a_strisceGiulio Gasperini
AOSTA – La storia è gonfia di un’umanità così sconcertante e potente come solo in situazione di estrema difficoltà capita di incontrare. A Gaza esisteva uno zoo, lo Zaitun. Il custode era il signor Nidal, un anziano palestinese che si prendeva cura dei suoi animali, nonostante tutte le difficoltà patite dalla sua terra. Sa che per i bambini il suo zoo è un’oasi di pace, un luogo divertente dove poter scordare fischi di pallottole, detonazioni, qualsiasi altro rumore o fantasma di violenza. Ma la guerra divampa, l’offensiva israeliana “Piombo fuso” si rovescia con violenza sui territori martoriati della Striscia. E non risparmiano lo zoo. Quasi tutti gli animali muoiono: rimangono oramai solo cani e gatti. Muoiono anche le due zebre che sono la più gradevole attrazione. Allora il guardiano ha un’idea: una specie di contraffazione della realtà, ma per un fine altamente importante. Prende due asini, denutriti ma pur sempre vivi, le rasa e li dipinge a strisce. Li maschera da zebre. Così i bambini potranno ugualmente divertirsi con gli animali, e sognare che tutto sommato possa esistere un po’ di pace.
Giorgio Scaramuzzino ha raccontato questa storia in “Un asino a strisce. La storia di un’amicizia più forte della guerra”, edito da Salani Editore nel 2013, con i disegni dalle linee emozionanti di Gek Tessaro. L’amicizia è quella tra la zebra Aidha e un bambino di nome Talal, di otto anni, uno dei più assidui frequentatori dello zoo. E dell’amicizia dei due con Nidal, il guardiano. Tutto si consuma in poche pagine ma la magia del sentimento, la commozione dell’incontro, il bisogno senza nome e senza età di un modo che sia in pace, senza più guerre, senza più rumori molesti, senza più cieli e futuri preclusi, durano e perdurano attraverso le pagine e anche a libro chiuso.
Non importa la differenza, non importa se la realtà è stata un po’ contraffatta, un po’ camuffata. Quello che importa è il senso profondo, il valore intimo. Perché tutti i bambini hanno dei poteri magici. E con questi si inventano un mondo che è migliore di quello feroce degli adulti.

“Due zebre sulla Trentesima Strada” sorprendono il mondo.

Due zebre sulla Trentesima StradaGiulio Gasperini
AOSTA – Due zebre che in realtà non sono zebre, ma proprio per questo riescono nel loro compito meglio che se lo fossero. Parrebbe un assurdo se non fosse che la storia è di cronaca; quella vera. Per sopperire alla morte dei due animali africani, tra le tante vittime dell’embargo, il direttore dello zoo di Gaza nel 2009 dipinse due asini. A strisce, nere. Tutti, ovviamente, si resero conto della mistificazione, ma la magia prodotta da un tale gesto bastò per convincere tutti a non smascherare la verità e a continuare nella finzione. Lo zoo è per antonomasia il luogo del divertimento soprattutto per i più piccoli, che lì dentro possono sognare e divertirsi alle prese con i tanti e strani animali: nessuno si assunse il compito di spezzare questo magico incantesimo in una delle zone più martoriate della Terra, di venire meno a un tacito accordo di pacifica omertà. Da questo spunto di cronaca parte il romanzo di Marc Michel-Amadry, la sua prima fatica letteraria edita in Italia da Elliot edizioni nel 2012: “Due zebre sulla Trentesima Strada”.
È un fotoreporter molto famoso quello che, per caso, si imbatte in una zebra che zebra non pare. La sua vita è in una fase critica, delicata. In uno di quei momenti che spesso accadono quando niente dà più un senso e quando tutto pare inutile, senza ragione. Quella zebra gli cambia la vita: capisce quanto basti poco per migliorare la condizione degli altri, e persino di sé stessi. E decide di assumersi una missione: fare in modo che lo zoo di Gaza possa avere tutti gli animali che occorrono per il benessere e la felicità dei bambini e di tutti gli altri abitanti. A questa storia se ne lega un’altra: quella di una coppia, che vive un momento di separazione consensuale. Ma entrambi hanno il pensiero rivolto all’altro, nella convinzione che, prima o poi, torneranno a stare insieme. Ed è proprio sulla Trentesima Strada di New York che il miracolo, originato da quelle due zebre che zebre non sono, avviene e scocca la scintila.
La trama del romanzo è l’architettura robusta alla quale si aggrappano le figure e i personaggi che popolano i tanti setting: Berlino, New York, Gaza. Ed è proprio la trama l’aspetto più solido e consistente, perché il romanzo si incentra sulla casualità degli avvenimenti che non è casualità ma definito destino; racconta le sorprese che l’uomo si può meritare, della speranza di poter trovare un orizzonte felice anche se potrebbe sembrare che la violenza sia eccessiva e la morte inevitabile. Il tono da commedia rosa stanca e alla lunga sfinisce: lo stridore tra il destino martoriato della Striscia di Gaza e il futuro radioso che, quasi senza meriti, i protagonisti si sorprendono a meritare è persino irritante. Resta comunque un piccolo ricamo, effettivamente una pausa rilassante in un contesto dove gli orizzonti sono meno placidi.