Marianna Abbate
ROMA – Come nasce un romanzo? Si scrive da solo sulle pagine bianche? Le idee si sviluppano spontaneamente, seguendo il naturale scorrere del tempo, o sono frutto di una complessa, scientifica operazione? Ebbene entrambe le ipotesi hanno un po’ di ragione.
Con la Lettera all’Editore di Gianna Manzini, pubblicata per la prima volta da Sansoni nel 1945, ci troviamo in una posizione privilegiata: possiamo spiare l’autore nel momento più intimo della creazione. Possiamo seguire i suoi ragionamenti, le sue disquisizioni e conoscere le richieste dell’editore stesso. Scopriamo però che a volte la situazione può sfuggire di mano.
A volte i personaggi decidono per se stessi e assumono un vita propria. Come Pinocchio scappano dalla retta via che gli indica Geppetto, e compaiono come sconosciuti o vecchi amici davanti agli occhi dell’autore, chiedendo soltanto di raccontare la loro storia.
Gianna Manzini ci invita con grazia nel suo mondo, ci mostra i suoi segreti e il travaglio della produzione letteraria. Possiamo conoscere i suoi ragionamenti e i mille problemi che sorgono durante la stesura di un romanzo. L’autrice trova un percorso innovativo, ricavandosi un posto nella storia della letteratura italiana grazie alla sua particolare originalità. Gli intellettuali a lei contemporanei, suoi amici dai tempi di Solaria, prevedevano che avrebbe avuto un’importante carriera; tuttavia, seppure i suoi libri ottennero un discreto successo, per il loro lessico complesso, lo stile raffinato della Manzini è rimasto a lungo sconosciuto ai più. Un peccato, dal momento che si tratta di una letteratura estetica e piacevole, così adatta alle fredde serate invernali.
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