Stefano Billi
Roma – Intervistato da ChronicaLibri, lo scrittore cagliaritano Paolo Maccioni racconta ai lettori la sua passione per l’Argentina e alcune curiosità legate al suo romanzo “Buenos Aires troppo tardi”, pubblicato da Arkadia editore.
Cosa ha ispirato questo tuo libro “Buenos Aires troppo tardi” e, più in generale, queste pagine dedicate all’Argentina?
Mi ha ispirato principalmente la passione per la letteratura argentina, che ho sempre coltivato e che nel tempo è diventata una passione per l’Argentina in generale, rafforzata da un legame sentimentale che ho avuto in passato e dai ripetuti viaggi in Argentina.
Esiste un legame particolare tra te ed Eugenio, protagonista di questo romanzo? Tale legame rispecchia il rapporto che Eugenio ha con Eleuterio, il personaggio inventato dal protagonista di “Buenos Aires troppo tardi”?
Be’, direi che Eugenio è il mio alter-ego, quel me stesso che tempo fa ignorava la storia recente d’Argentina; l’ho tratteggiato volutamente sprovveduto e ignaro e all’inizio spensierato per poter farlo crescere nel corso del libro e renderlo sempre più consapevole.
Ma ovviamente, come sempre accade ai personaggi fittizi, anche Eugenio comincia a camminare con le sue gambe e ad affrancarsi dal modello originario.
Quanto ad Eleuterio a sua volta è l’alter-ego letterario di Eugenio, nel quale Eugenio proietta un se stesso idealizzato, ma viene abortito presto, perché irrompe la storia d’Argentina, quella vissuta, più urgente e dolorosa, a spazzar via la finzione.
“Buenos Aires troppo tardi”, tra le sue pagine, richiama la storia dell’Argentina della seconda metà del secolo scorso: in sottofondo si percepisce, in maniera assolutamente profonda, la volontà di ricordare un passato che, soprattutto per le popolazioni estere, rischia di essere dimenticato. Dunque, “Buenos Aires troppo tardi” vuole essere principalmente un romanzo storico?
Devo premettere che non era nelle mie intenzioni, né alla mia portata, scrivere un saggio. Tuttavia la storia recente dell’Argentina, col suo carico di dolore e sangue, mi ha investito in modo traumatico, proprio come accade al mio personaggio Eugenio.
Ho voluto condividere la mia esperienza formativa veicolandola nella forma narrativa che trovavo più congeniale e più fruibile: quella del romanzo.
In questo senso può essere considerato un romanzo storico, anche se non propriamente detto, giacché ho fatto largo ricorso agli anacronismi e ad elementi fantastici.
In fondo sia io che Eugenio siamo l’emblema dell’italiano, dell’europeo, e più in generale dell’occidentale che ben poco ha saputo dell’ultima dittatura militare argentina e quel poco lo ha appreso troppo tardi, come dice il titolo.
Quali sono gli autori che più hanno influenzato il tuo modo di scrivere?
Dal punto di vista della tecnica narrativa, diciamo così, mi sento particolarmente debitore di quella scrittura che ha in Antonio Tabucchi e massimamente in José Saramago i suoi modelli più alti.
Una prosa piana e franca, senza magniloquenze, ma ponderata, con il registro proprio della “deposizione al tribunale del lettore”, per usare parole di Tabucchi.
Perciò nel mio libro ho adottato la voce narrante del protagonista, che racconta in prima persona e al presente, mescola dialoghi immaginari a pensieri intimi e riflessioni di più ampio respiro.
Inoltre il mio romanzo abbonda di passi originali di Rodolfo Walsh (parecchi dei quali traduzioni inedite) che ho trascritto in forma di virgolettati attribuiti al personaggio Walsh (che nel corso del libro prende i nomi di Daniel Hernández, Rodol Fowalsh, Norberto Pedro Freire, ed altri).
Inoltre il mio romanzo abbonda di passi originali di Rodolfo Walsh (parecchi dei quali traduzioni inedite) che ho trascritto in forma di virgolettati attribuiti al personaggio Walsh (che nel corso del libro prende i nomi di Daniel Hernández, Rodol Fowalsh, Norberto Pedro Freire, ed altri).
Le parti in cui tale personaggio invece parla con la mia voce sono il frutto della ricerca di una prosa che cerca di somigliare a quella originaria di Rodolfo Walsh: asciutta e tagliente, tesa a raggiungere la maggior efficacia con la massima economia espressiva.
Insomma: avverto le influenze ma cerco di affrancarmi dai modelli, peraltro irraggiungibili, alla continua ricerca della mia voce personale.
Insomma: avverto le influenze ma cerco di affrancarmi dai modelli, peraltro irraggiungibili, alla continua ricerca della mia voce personale.
Un cammino lungo e laborioso dove non esiste un “traguardo”, si può solo percorrere molta o poca strada.
Perché i nostri lettori dovrebbero leggere il tuo libro?
Perché la storia recente d’Argentina è un paradigma della storia mondiale del secondo Novecento, perché le derive come quella che ha conosciuto l’Argentina sotto l’ultima dittatura militare rischiano di ritornare sotto altre forme e in altri luoghi e allora bisogna avere gli strumenti per poterle riconoscere quando sono ancora in embrione. Il mio libro da solo non basta, ovviamente, ma può dare un piccolo contributo sul fronte della conoscenza della stagione della dittatura militare argentina.
Infine può essere un piccolo compendio per conoscere meglio l’Argentina e la sua ricchissima letteratura, anche al di là della storia della dittatura militare: spero di contagiare chi lo legge con la mia passione per l’Argentina e per Buenos Aires.