“Eurodeliri” targati Giorgio Forattini

Stefano Billi

Roma – Ogni anno porta con se nuovi appuntamenti, nuovi eventi, ma anche belle tradizioni che si ripetono da tempo e che vale la pena possano ripetersi ancora per molto.

Ad esempio, i libri di Giorgio Forattini sono un piacevolissimo appuntamento letterario che gli amanti della satira, e non solo, non possono proprio perdere.

Perciò, “Eurodeliri” – uscito da poco in tutte le librerie per le edizioni Mondadori – firmato appunto da Giorgio Forattini, è un condensato di umorismo, simpatia e arte che non ci si può davvero lasciar scappare.

Tra le pagine del libro, infatti, spiccano numerosissime tavole che aiutano a far sorridere sugli eventi allegri e tristi della storia recentissima di questo stivale nostrano, sempre più avvolto dal gelo e dalla crisi.

La matita del mirabolante vignettista disegna così le facce di quei personaggi che caratterizzano l’attualità e proprio attraverso il tratto inconfondibile dell’artista romano prendono vita caricature capaci di raccontare più di ogni altro editoriale da carta stampata.

Insomma, Forattini è un narratore d’Italia, fotografo puntuale e raffinato di ciò che accade e del perché accade.

In fin dei conti, satira vuol dire ironizzare e polemizzare con astuzia sottile, perché forse è tra un sorriso a pieni denti che trovano spazio le verità più sincere.

Sicuramente “Eurodeliri”, col suo sguardo spiritoso sulla politica e sui fatti quotidiani, sarà una deliziosa lettura per tutte le età, da gustare ripetutamente per la sua freschezza e vivacità.

Lunga vita alle vignette!

La pace nel fiume

sidStefano Billi

ROMA – Alcuni sono convinti che esistano libri belli e libri brutti. O meglio, che alcuni libri siano più belli di altri. Come dar loro torto?

E’ innegabile che ci siano dei testi che sanno emozionare ogni uomo nel suo io più profondo, e che inoltre sappiano far aprire gli occhi al lettore. Perché l’individuo del nostro tempo spesso non vede, o vede male. E anche se osserva il mondo, spesso non lo capisce.

Ecco che allora la letteratura – quella che eleva lo spirito – diviene il faro che rischiarai giorni bui, il grimaldello che scardina la volgarità culturale che accompagna questo tempo di crisi di valori.

All’interno di quella letteratura, fulgido esempio è “Siddharta”, insostituibile romanzo di Herman Hesse, edito in Italia da Adelphi.

A voler dare una descrizione sommaria del libro, si potrebbe riassumerlo nella storia di un giovane indiano che fatica a trovare il senso della propria esistenza. Ma questa sarebbe davvero una descrizione sommaria, e sicuramente riduttiva.

“Siddharta” è qualcosa di più: è la narrazione dei profondi travagli interiori di un uomo, che scopre la fragilità della sua purezza giovanile, che sperimenta il dolore provocato dalla perdizione morale.

Adolescente in cerca del sapere profondo, il protagonista della vicenda – il cui nome rispecchia il titolo del racconto – lascia la casa del padre per diventare adulto, ma al passare degli anni non corrisponde una simultanea crescita della coscienza, e così Siddharta assaggia il sapore amarissimo del fallimento, della mancata realizzazione di quello che si sarebbe voluti essere.

Ma proprio sull’orlo del declino, il protagonista ritroverà se stesso, segno che il cammino verso la saggezza è lungo ma raggiungibile, al volenteroso che lo intraprende.

Herman Hesse crea così un romanzo indimenticabile, la cui lettura riesce a forgiare soprattutto gli animi dei giovani. Difatti, attraverso le pagine immortali di “Siddharta”, proprio i ragazzi possono capire tutto il disagio di chi ha smarrito se stesso, in cerca di un’emancipazione che poi si è rivelata soltanto un abbandono della propria purezza. E così “Siddharta” può educare il lettore a comprendere se stesso, ascoltando il rumore del fiume e del mondo, che poi è il senso della rinnovata meditazione del protagonista della storia. Allora davvero si fa chiaro come anche un barcaiolo, un umile personaggio fluviale, possa diventare un maestro che spinge alla profonda meditazione sul senso della vita.

Asciutto nei dettagli, ma chiarissimo nella sua scrittura, questo libro merita comunque di essere letto, a qualunque età, perché ha il grande merito di lasciare una sensazione di appagante serenità. Quella stessa letizia che è cardine delle filosofie orientali e in particolar modo della religione buddista, sottofondo di tutta la vita del protagonista.

“Siddharta” è uno di quei bei libri che andrebbero assolutamente letti, ed auspicabilmente riletti, come una tappa fondamentale nella vita di ogni uomo. Perché non ci si improvvisa adulti, né tantomeno si cresce solo dal punto di vista anagrafico. Proprio per questo Herman Hesse ha regalato all’umanità una storia di crescita interiore. Proprio per questo, tra le tante cianfrusaglie che circondano i vasi degli alberi di Natale, “Siddharta” può rappresentare il dono più straordinario che si possa ricevere.

Pietre scartate che diventano testate d’angolo

Stefano Billi
ROMA – Cadono i governi, le crisi economiche vengono e vanno, ma il problema della pena e della detenzione è una tematica che, ciclicamente, viene all’attenzione della società tutta. Perché il male esiste, e tanto più esiste la possibilità di commettere errori, magari anche gravi. L’umanità ha conosciuto tanti modi di affrontare quelle situazioni in cui un consociato decideva di allontanarsi dal rispetto dei valori sociali per commettere azioni illecite. Nelle notti più buie della storia sono state erette forche e ghigliottine, nel nome di un ignobile contrappasso che non ha mai tenuto conto della dignità della persona – anche laddove commetta comportamenti turpi – e che, inevitabilmente, non ha mai risolto seriamente la “questione criminale”. Però da un po’ di tempo – secoli oramai – la maggior parte dei cittadini crede di dormire sonni tranquilli, perché grazie alle carceri i personaggi più pericolosi della società sono ben allontanati da qualsivoglia contesto civile. Insomma, “chi sbaglia deve pagare” – così come piace dire ad una certa borghesia – e tanto meglio se i criminali vengano rinchiusi lontano dal mondo. Questa logica, dove il recupero del detenuto è del tutto assente (in barba anche al dettato costituzionale!), deve essere combattuta, in una società che voglia dirsi rispettosa dei diritti umani e delle intime spettanze dell’individuo. E l’opera lungimirante di Marco Rizzonato “L’incontro tra la persona disabile e il detenuto” Armando Editore – racconta di un’avventura riabilitativa che ha dell’incredibile. Infatti, il libro di Rizzonato offre numerosi spunti di riflessione su come il tempo che i detenuti debbano “scontare” in un penitenziario possa essere investito in maniera utile e formativa.

Al di là di utopistiche aspettative, Rizzonato regala ai lettori il resoconto di un’esperienza concreta avvenuta tra detenuti e disabili, che partita dalla casa circondariale di Torino ha poi toccato anche altri istituti di pena italiani. Cosa possono offrire le persone disabili ai carcerati? E, a loro volta, cosa possono offrire i carcerati alle persone affette da disabilità? In entrambi i casi non si tratta di una semplice esperienza di volontariato, ma piuttosto di un progetto che vuole trasformare due categorie di individui esclusi dalla società in uomini nuovi, dove sia riacquistata a pieno la consapevolezza dei valori sociali e l’importanza dell’altro. In fin dei conti, non serve a nulla scartare un uomo, renderlo un reietto, e poi ributtarlo nella società senza alcun investimento sulla sua personalità. Piuttosto, è l’impegno costante,la fiducia che gli altri ripongono in chi è scartato, che fanno di quest’ultimo un homo novus.

Attraverso il progetto descritto da Rizzonato, i disabili hanno potuto sperimentare cosa significhi essere d’aiuto al prossimo (ad esempio, insegnando ai reclusi il L.I.S. – linguaggio internazionale dei segni – e il Braille, ovvero l’alfabeto per i non vedenti). Dal canto loro, i carcerati hanno provato cosa significhi entrare in contatto con la purezza e il candore di cui i disabili sono portatori, e sopratutto quanto sia importante ricevere fiducia dagli altri. E così quelli che per tutti erano scarti, quelli che non rappresentavano nulla se non emarginazione, posso divenire o tornare ad essere “testate d’angolo”, come recita il Salmo 118 della Bibbia.
Pietre angolari per una nuova società, capace di  reinserire gli esclusi e di vantare una profonda sensibilità verso l’individuo, e verso una seria rieducazione.

Toni Servillo legge Napoli

Stefano Billi

ORVIETOPer questa festa di Ognissanti, alle ore 18:00 è stato allestito al teatro Mancinelli di Orvieto (TR) “Toni Servillo legge Napoli”, una lettura – da parte del celeberrimo e straordinario attore campano – sulla perla partenopea così come è raccontata dai suoi autori più noti ed emblematici. Il suo è un viaggio nelle parole di Napoli, da Salvatore Di Giacomo a Ferdinando Russo, da Raffaele Viviani a Eduardo De Filippo, fino alle voci contemporanee di Enzo Moscato, Mimmo Borrelli, Maurizio De Giovanni e Giuseppe Montesano.
Un excursus attraverso gli scritti di poeti e grandi uomini di teatro in una lingua estremamente viva. Uno spettacolo davvero speciale nel suo genere, un appuntamento da non perdere per tuffarsi nel ventre di Napoli, città dai mille volti e dalle mille contraddizioni, per scoprire (e riscoprire) pagine memorabili della nostra letteratura e lasciarsi stupire dal fascino, difficile quanto irresistibile, della città del Vesuvio.
Per informazioni su orari e costi, si consiglia di consultare il sito web www.teatromancinelli.com

"Sostiene Pereira" e l’importanza di essere liberi

Stefano Billi

ROMA – Immaginatevi un’aula di tribunale.
Oppure immedesimatevi in una sala atta agli interrogatori di polizia. O ancora, pensate ad una situazione in cui si è costretti a riferire qualcosa, con un dialogo impostato a mo’ di resoconto in terza persona.
Non appena inquadrata questa situazione strana e a dir poco spersonalizzante, dove ogni cosa è forma e burocrazia, avrete l’idea dello straordinario e originalissimo strumento letterario usato da Antonio Tabucchi per il suo romanzo – forse, il più bello – intitolato “Sostiene Pereira”, edito da Feltrinelli.
Caratteristica fondamentale del testo è un periodare svelto, asciutto, dove la compostezza però non ingrigisce le descrizioni dei luoghi e delle atmosfere.
Insomma, un modus scrivendi innovativo, che per certi aspetti sembra consono più ad una pagina di cronaca nera, che alle pagine di un best-seller.
Ma di “Sostiene Pereira” va apprezzata soprattutto la commovente vicenda narrata al suo interno: un esperto giornalista e un giovane neolaureato a confronto, entrambi travolti dagli accadimenti storico-politici di fine anni trenta, in un Portogallo diviso tra chi condivide e supporta l’ideologia salazarista, e chi invece si ribella ad ogni forma di totalitarismo di matrice fascista.
Pereira, giornalista di lungo corso e protagonista della storia, fatica a scegliere da che parte stare.
Poi, di fronte ai soprusi legittimati dalla vicinanza nazionale portoghese al franchismo, assumere una posizione netta di denuncia politica diventa indispensabile, per poter ancora convivere con la propria coscienza.
Nel libro domina una straordinaria umanità, innalzata dalla convinzione che un’ideologia non può mai sopraffare la persona, così come la libertà di essere e di pensare ciò che si vuole non può essere calpestata.
Questo romanzo mette in risalto l’assoluta dignità dell’individuo, al di fuori di una sterile dialettica tra destra e sinistra.
Perché ciò che conta è l’essere umano, non la tessera di un partito.
In fin dei conti, è proprio questa convinzione che sta alla base dello stato di diritto.
Al di fuori di essa, può soltanto valere il brocardo latino homo homini lupus, tanto temuto da quel grande pensatore che va sotto il nome di Thomas Hobbes.
E comunque, “Sostiene Pereira” è soprattutto una storia piacevolissima da leggere, dove con estrema facilità ci si lascia emozionare dai personaggi e dalle vicende.
Per lo meno, così sostiene questo umile redattore.

Chronica Libri intervista Matteo Fini, autore de "Non è un paese per bamboccioni"

Stefano Billi

ROMAChronicaLibri ha intervistato Matteo Fini, autore insieme a Alessandra Sestito dell’interessantissimo libro “Non è un paese per bamboccioni” pubblicato da Cairo Editore.
Attraverso risposte sagaci e sincere, il suo libro diventa ancor di più un vademecum essenziale per tutti coloro che, nel centocinquantesimo anniversario dell’Italia, hanno bisogno di riscoprire le eccellenze e i talenti nascosti tra le pieghe del patrio “scarpone”.

Qual è stata l’ispirazione che ti ha portato a raccogliere le storie scritte nel tuo libro?
Più che un’ispirazione, un’esigenza. Personale prima di tutto. Ossia capire se tutti là fuori erano sfigati come noi!
Leggendo i giornali e guardando la tv sembra così e allora ci siamo chiesti se invece in giro non ci fossero ragazzi in gamba che contando sulle proprie forze e nonostante il Paese nel baratro fossero riusciti a trovare una loro strada.

In “Non è un paese per bamboccioni”, certe vicende sono contraddistinte dalla circostanza per cui alcuni traguardi raggiunti dai protagonisti delle storie sono

realizzati attraverso collaborazioni tra giovani.
Sto pensando, per esempio, all’incredibile avventura di Federico Grom e di Guido Martinetti. Ecco, la scrittura a “quattro mani” di questo libro, quanto ha influito sulla riuscita finale del libro?
In realtà il discorso qui è un po’ strano. Poichè io e Ale benchè fossimo rinchiusi sul balconcino di casa mia non abbiamo scritto insieme bensì ognuno aveva le sue storie e infatti se uno avesse voglia di metterci attenzione può notare due stili di scrittura molto differenti. Però ovviamente ce le siamo lette e commentate e non son mancate le stilettate! Io credo di averle cassato completamente una storia che non mi convinceva per nulla e lei più di una vo
lta ha criticato alcune mie scelte stilistiche. Siamo completamente differenti: lei solare, entusiasta, io pessimista, cupo, lei ama l’Italia, io la odio, lei però intanto è a Londra…. e io al Santa Rita a Milano. Lei ama le parole, i colori, io il ritmo e gli accenti. Ma ci stimiamo così profondamente che ogni critica e ogni sfumatura era vista in un’ottica costruttiva e comunque ancora oggi ce ne diciamo di tutti i colori!


Come sono state selezionate le storie di talenti italiani da inserire all’interno di “Non è un paese per bamboccioni”?
Beh, dopo una prima ricerca (non banale visto che nessuno parla di storie se non sei perlomeno reduce dal GF….) tra google, gli amici e qualche magazine non standard, abbiamo selezionato un po’ di ragazzi provenienti da tutta Italia e divisi in vari campi della vita e del lavoro. E siamo andati a conoscerli, ovunque fossero! Volevamo rappresentare il più possibile un ampio spettro di mestieri. Abbiamo dovuto cassare anche qualche storia! Non perchè fosse meno valida dal punto di vista del valore, ma debole dal punto di vista letterario.

Hai già in programma qualche nuovo libro?
Sì, mi sono ripresentato da Cairo con una dozzina di idee. Il direttore dieci le ha cestinate, ma un paio gli son piaciute per cui sto cominciando a metterci la testa. Non posso dire di più però sarà una cosa completamente diversa e, diciamo, legato alla mia vita precedente.
Però l’onda di “Non è un paese per Bamboccioni” non si è ancora fermata e potremmo avere ancora delle sorprese…

Perché i nostri lettori dovrebbero leggere il tuo libro?
Non so se è un buon motivo per leggerlo però io ogni volta che finivo l’intervista con uno dei protagonisti del libro mi dicevo: “Ma cacchio guarda che bravo questo qui! Ma allora ce la posso fare anche io!!” e me ne tornavo a casa con una carica incredibile. Mi è successo anche con ragazzi lontanissimi dal mio mondo lav
orativo, penso a Ruggiero Mango, il cardiologo, o Massimo Fubini, l’informatico, o Laura Torresin, la cuoca trevigiana. E tutti gli altri.
E sai cos’è la cosa bella? Che magari trovi proprio nelle storie più distanti un suggerimento, un input, un flash, un’intuizione che poi ti torna utile nella costruzione del tuo di percorso.

Italiani che ce la fanno, nonostante tutto.

Stefano Billi

Roma – Cosa ci fanno undici storie di italiani, inserite in un libro? Sembrerebbe l’inizio di una barzelletta, e invece la domanda è serissima.
Perché questi undici racconti sono il cuore dell’opera di Matteo Fini e Alessandra Sestito, intitolata “Non è un paese per bamboccioni”, per le edizioni Cairo. Un libro dove si parla di italiani che ce l’hanno fatta, che ce la fanno. Nonostante tutto. Nonostante un paese ancora restio allo youth power, che invece all’estero è ormai divenuto il motore pulsante per affrontare quest’immane crisi globale. Nonostante un paese dove, se sei giovane, vieni guardato con indifferenza, o peggio ancora con diffidenza, da chi è più adulto di te, perché – secondo questo vegliardi – i giovani sono ancora “troppo piccoli” per fare le cose da grandi.
Insomma, undici
italiani che ce l’hanno fatta, nonostante questa Italia.
Le storie che si leggono in questo saggio, sono raccontate con uno stile svelto e accattivante, consono di quelle nuove generazioni che hanno la straordinaria capacità di veicolare – in maniera immediata – messaggi forti, attraverso l’uso di pochi caratteri e di concetti semplici.
E la semplicità è proprio il leitmotiv che rende omogenee le vicende dei protagonisti delle pagine in questione: difatti questi ragazzi e ragazze sono tutte persone semplici, spontanee, accomunate dalla debordante volontà di riuscire a realizzare le proprie idee e i propri sogni. Che poi, se ci riflette a fondo, magari rileggendo la costituzione italiana, si scopre che compito della Repubblica, tra i tanti, dovrebbe essere la promozione del pieno sviluppo dell’individuo (art. 3 Costituzione).
Né politica, né tanto meno demagogia: l’opera, piuttosto, in maniera saggia e molto oggettiva, focalizza l’attenzione su un sistema – quello lavorativo – che nel nostro benamato stivale è in crisi. Verrebbe voglia allora di lasciarsi stare, di non impegnarsi a fondo, perché tanto riuscire è difficilissimo, anzi, quasi impossibile.
Poi però leggi “Non è un paese per bamboccioni”, e allora viene voglia di stringere i denti, di rimboccarsi le maniche, di provare a far valere le proprie idee. Tra l’altro, uno dei padri costituenti, l’onorevole Giorgio La Pira, affermava che “le buone idee camminano da sole”.
Chi non fosse d’accordo con ciò, legga la storia di Federico Grom e Guido Martinetti, che stanno conquistando il mondo con i loro gelati di pregevole qualità; oppure, scorra la vicenda di Alessandro Fogazzi, che ha vestito i polsi di milioni di individui con i suoi inimitabili orologi in plastica; o ancora, faccia un giro per gli impianti di autolavaggio di Riccardo Moroni, carwasher giovanissimo e geniale.
Incredibile?
Affatto.
Perché le vite e i sogni di quegli undici talenti sono assolutamente veri, anzi, realizzati.
Forse, la sola cosa incredibile è farcela, nonostante tutto.

Le "parole in un orecchio" di Genuzio Bentini

Stefano Billi

Roma – Nell’epoca dei blog, dei podcast scolastici, e perfino delle lezioni universitarie impartite per via telematica, ritrovare tra gli scaffali un antico libello impolverato, che si prefigga l’obiettivo di dar consigli “alla vecchia maniera”, è davvero cosa rara. Ancor più strano è l’evento, se si considera che il libro in questione vuole suggerire alcuni consigli professionali ad un “giovane collega”: strano, appunto, perché oggi di consigli sinceri è difficile trovarne, in un’epoca dove l’apprendimento dell’etica professionale è rimandata ai soli corsi filosofici o teologici.
Forse, l’arcano trova spiegazione nella circostanza che questo testo è particolarmente datato, addirittura risalente al 1935.
Ai tempi, le generazioni passate spendevano ancora qualche energia per guidare i più giovani ad essere uomini e professionisti migliori.
Così come è testimoniato dall’opera di Genuzio Bentini, intitolata “Consigli ad un giovane avvocato. Parole in un orecchio”, edito – originariamente – dalla casa editrice La Toga e a tutt’oggi rinvenibile in argute ristampe, realizzate da alcuni ordini forensi provinciali.
Queste pagine, indirizzate dunque ad un ipotetico giovane avvocato, se da un lato rappresentano un utilissimo vademecum per chi si avvia ad esercitare una delle professioni più difficili al mondo, dall’altro offrono numerosi spunti di riflessione anche a tutti coloro che non sono appartenenti all’avvocatura.
Difatti l’opera, nel dispensare consigli inerenti la vita professionale forense, regala anche validi suggerimenti su come migliorare le proprie abilità oratorie e di relazione con il pubblico (per citare solo uno dei molteplici temi di interesse).
Parole sussurrate in un orecchio, perché sono “piccole e sottili, che a dirle forte si romperebbero e volerebbero via”, come sottolinea lo stesso Bentini.
Parole che tuttavia sono preziosissime, perché – per dirla alla maniera di Wolfango Valsecchi, autore della prefazione al testo – esprimono una passione “che rompe le file”.
Parole che condensano tutta l’esperienza di una vita spesa a esercitare nei fori, onorando quella toga che è baluardo della difesa, lontana da quella stolta credenza popolare che la riduce a mero straccio per nascondere i fuorilegge.
Poche pagine, per un libro che vale davvero la pena scovare nelle più remote bancarelle letterarie, o negli archivi impolverati delle più lontane biblioteche.
Righe centellinate, da cui estrarre inestimabili valori, difficili da rintracciare – a tutt’oggi – in altre opere contemporanee.
Soprattutto in un momento di crisi, economica ed etica.
Ma (e qui vale sicuramente la briga ricordare il già citato Valsecchi) “le crisi come fanno a venire se ne vanno: in fondo sono come i raffreddori”.
Basta avere con se le medicine giuste.

Dylan Dog tocca quota 300 !!!

Stefano Billi
Roma – In un lontano e desolato futuro, qualcuno sta scrivendo l’ultima avventura dell’Indagatore dell’Incubo. Una storia che comincia molto, molto lontano, in un passato nel quale il nostro era solo un bambino felice, ignaro di ciò che il destino aveva in serbo per lui.
Da un’altra parte, in un altro tempo, intanto, l’inquilino di Craven Road decide che è giunto il momento di partire per un viaggio che lo riporterà là dove tutto ha avuto inizio, durante una terrificante “alba dei morti viventi”…



Ecco la trama del trecentesimo albo di Dylan Dog, ormai storico protagonista dell’italianissima casa editrice Sergio Bonelli Editore.

Per tutti gli appassionati del celeberrimo indagatore dell’incubo, l’appuntamento dall’edicolante di fiducia è fissato per Sabato 27 Agosto, con “Ritratto di famiglia”, una storia a colori dalla trama avvincente, come pochi altri fumetti sanno offrire.

Non dite che poi che questa non è un’estate da urlo!

Giuliana Lomazzi presenta squisite ricette "gluten – free"

Stefano Billi

Roma – Spesso si pensa erroneamente che i celiaci e gli intolleranti al glutine non possano mangiare bene o che comunque la loro alimentazione sia monotona e priva di piatti gustosi.
Il concetto del dover seguire una dieta priva di glutine viene infatti associato alla sua accezione più negativa, ma non è vero che il celiaco non può mangiare nulla e soprattutto nulla di buono!
Spesso bastano poche attenzioni per intrecciare indissolubilmente cucina sana e cucina saporita.
Il glutine è una proteina contenuta nel grano e in altri cereali e chi non la tollera deve necessariamente eliminarla dalla dieta.
Ma quella che può sembrare una restrizione faticosa può diventare un’ottima occasione per riscoprire cerali dimenticati o per conoscerne altri giunti solo di recente sul mercato italiano.
Ad indicare la via verso questa nuova riscoperta dei sapori è Giuliana Lomazzi, autrice del libro “Cucina senza glutine” (per le edizioni Red), ma anche giornalista e docente presso i corsi “cucina è salute”, che promuovo in Italia la diffusione del metodo Kousmine.
Il testo presenta dunque squisite ricette gluten-free con le indicazioni indispensabili e tutti gli accorgimenti per fare la spesa e cucinare sfuggendo alle insidie del glutine.
Un’opera, quella della Lomazzi, che svela quanto appetitoso possa essere il mondo degli alimenti privi di glutine; perché se è vero le intolleranze alimentari sono una gabbia che limita chi ne è affetto, è altrettanto vero che oggigiorno esistono validi strumenti per scardinare queste restrizioni imposte dall’organismo, godendosi la buona tavola, uno fra i numerosi piaceri della vita.
Mangiare meglio per vivere meglio, e provare ad essere veramente felici.