ChronicaLibri intervista Corinna Bajocco

Stefano Billi
Roma – ChronicaLibri ha intervistato Corinna Bajocco, autrice del libro “New York. Viaggio nella Grande Mela”. Pubblicato da Polaris, il libro non è solo una guida, è anche l’inizio di un grande viaggio nella metropoli statunitense.

 

 

Come è nato il desiderio di scrivere un libro su New York? 

Dico sempre che la più bella delle routine è comunque sempre una routine. Io per ragioni varie che spaziano dallo studio al lavoro, già da almeno un ventennio ero una aficionada della Grande Mela e la mia vita era scandita da frequenti andirivieni.  Così che mi ero quasi abituata alla città, sembrava non stupirmi più. Poi una mattina, dopo il solito caffè di Starbucks, mi trovo ad osservare una scena di vita comune seduta su una panchina di uno dei tanti community garden dell’East Village e tutto mi è sembrato, ex abrupto, nuovo e diverso. Quel giorno è nata la mia personale e privata New York, quella costruita attorno a me, ai miei avanti e indietro, ai miei amici, alle mie letture, ai libri di altri, alle mie aspettative, al cibo che mi piace mangiare, agli incontri inaspettati, ai volti curiosi,  ai profumi e alle lingue che, pur non essendo genuinamente newyorchesi, per me sono New York. E ho iniziato a pensarla e a scriverla. Qualche mese dopo ero a Firenze a discutere il libro con il mio editore, perché i desideri abbiamo il dovere di realizzarli.

 

Perché un lettore di Chronica Libri dovrebbe assolutamente visitare New York? 

Perché chiunque dovrebbe visitare New York almeno una volta nella vita. Perché con un viaggio se ne fanno in realtà mille. Perché  ad ogni angolo lo attenderebbe una suggestione di pagine che ha amato, di film che ha visto, di piccole scenografie naturali che ha immaginato. Perché il cibo è divino. Perché è incredibilmente veloce, e in continuo cambiamento. Perché è diversa da come ce la immaginiamo prima di arrivare. Perché è marcia, fradicia e affascinante. Perché se fai colazione nell’Upper West, magari mangi seduto allo stesso tavolo di John Berendt, o Yoko Ono.  Perché restituisce la curiosità nelle cose, che un po’ è morta in quest’altra parte del pianeta.

 

Secondo Lei, New York è ancora l’emblema del sogno americano, o sta perdendo la sua magia col tempo?

New York è il posto dove nascono le opportunità.  Certo, c’è la crisi finanziaria. Certo devi lavorare su ritmi tiratissimi che nulla hanno a che fare con la ciclicità del tempo letto alla maniera mediterranea. Certo devi fare il callo ad alcune rigidità dell’uomo americano, e anche ad un po’ di spocchia. Ma se davvero c’è un desiderio da realizzare, quello è il posto dove provarci. Ancora.

 

Qual’è l’aspetto di New York che più l’affascina?

New York è una metropoli, una megalopoli, Gotham. E, come è stato detto di Lei in passato, non una città perfetta, ma un perfetto esempio di città. Eppure questa sua dimensione, dal di dentro, non si percepisce. New York è una trama di villaggi che si intersecano, di lingue che si fondono, di tradizioni che si mescolano e tutto pare tranne che quella proiezione verticale luccicante che affolla l’immaginario del Vecchio Mondo. Di New York mi affascina questa ambivalenza, e le sue crepe. Quelle rughe che se osservate bene sotto ci trovi una città stratificata e meravigliosa.

 

Perché i lettori di Chronica Libri dovrebbero leggere il suo libro?

Ci sono pagine e pagine scritte su New York, e tutte decisamente più autorevoli delle mie. Forse bisognerebbe leggere piuttosto quelle. Però un giorno, un autentico newyorchese di nome Adam Yauch, che era il leader di una band straordinaria (i Beastie Boys), stava bevendo qualcosa in un bar di Brooklyn casualmente seduto al bancone vicino a me. Lo costrinsi ad una breve conversazione, ed ai miei racconti.  Senza conoscerlo, ovviamente. Una mezz’ora dopo mi disse che ero una ficcanaso. Ecco, se a qualcuno dovesse far piacere  leggere una specie di guida turistica scritta da una ficcanaso, allora la mia è quella giusta. E poi sono una appassionata di letteratura, nel libro ne troverete tanta, raccontata proprio negli angoli dove è nata. Infine, se c’è una partenza in programma, prima di fare le valigie, forse fra le mie pagine scoprirete la voglia di un viaggio non preconfezionato.

Viaggio nella Grande Mela

Stefano Billi

Roma – «I wanna wake up in a city that doesn’t sleep»: è così che l’intramontabile Frank Sinatra descriveva New York, ovvero “la città che non dorme”.  Altri definiscono New York come «un carnevale che non delude mai», oppure come una «città verticale all’insegna dei tempi moderni», o ancora «un’isola galleggiante su acqua di fiume come un iceberg di diamante».

Come la vogliate chiamare, New York è semplicemente New York, la megalopoli dei sogni: grande, bella, intensa come un primo amore, così fugace e rapida e sfuggente da lasciarsi chiamare “casa” anche per chi vi ha vissuto solo per pochi giorni.

Per chi non ha ancora scoperto le meraviglie di questa città dei desideri, o per chi c’è stato ma di fretta, o per chi è passato da là tante volte, vale la pena immergersi in “New York, Viaggio nella Grande Mela”, il libro di Corinna Bajocco – edito da Polaris – che svela segreti e storie di questa metropoli statunitense.

Suddivisa in base ai quartieri newyorkesi, l’autrice racconta la città lasciando al lettore il gusto della scoperta dei sapori, dei colori, delle vicende che affollano ogni centimetro di New York.

Passo dopo passo, Corinna Bajocco accompagna il lettore tra i pochi esercizi commerciali rimasti a little italy, in mezzo alle luci abbaglianti di Times square, vicino alle celebri atmosfere del Blue Note,  sotto la silhouette del Rockfeller Center.

Da ogni pagina promana la magia della “Grande Mela”, sapientemente raccolta e regalata al lettore, che anche da miglia e miglia di distanza può gustarsi il piacere di un viaggio che il libro sa narrare con abilità spiccata.

Non solo parole si avvicendano tra le righe dell’opera, perché pregevoli foto immortalano la vera New York, tanto che durante la lettura l’immaginazione spesso vola tra le avenue, oltre i blocks, fino a librarsi tra lo skyline cittadino, inconfondibile e inimitabile.

Lasciatevi guidare allora da Corinna Bajocco tra le emozionanti pieghe newyorchesi.

Vi accorgerete che il cuore starà battendo all’impazzata, perché siete già innamorati della città che non dorme mai.

L’educazione finanziaria già a scuola? Perché no?

Stefano Billi
ROMA – Si chiede molto alla scuola contemporanea. Anzitutto, dovrebbe formare gli studenti ad acquisire conoscenze e competenze fondamentali all’ingresso nel mercato del lavoro. Poi, dovrebbe insegnare una coscienza civica, educando a quei valori che talvolta le famiglie omettono di coltivare coi propri ragazzi. C’è addirittura chi ritiene come la scuola abbia il compito di istruire circa una morale laica.

Tra queste esigenze di formazione, tuttavia, oggigiorno si affianca la necessità di approfondimento dell’educazione finanziaria, una disciplina che non può non essere inclusa nel bagaglio di saperi che la scuola dell’obbligo annovera e impartisce.

“Educazione finanziaria a scuola. Per una cittadinanza consapevole” è dunque il testo adatto per comprendere l’importanza dell’insegnamento di una materia la cui conoscenza è divenuta ormai imprescindibile. A cura di Enrico Castrovilli e pubblicato da Guerini e associati, questo libro racchiude al suo interno una serie preziosa di interventi non soltanto sul concetto dell’educazione alla finanza, del suo rapporto con la crisi e al contempo con lo sviluppo economico, ma anche sulla sua diffusione all’interno degli istituti scolastici, e del ruolo fondamentale che rivestono i docenti nel coinvolgimento dei ragazzi all’apprendimento di questa disciplina.

Insomma, non solo greco, latino, chimica o letteratura d’oltralpe: è opportuno che gli studenti siano formati anche sotto un profilo finanziario. Non certo perché divengano traders professionisti. Piuttosto, si vorrebbe che lo studente possedesse gli strumenti necessari per «risparmiare e investire meglio, o perlomeno in maniera consapevole», per usare le parole di Massimo Fracaro. Ed è proprio il responsabile di CorrierEconomia che ci avverte della “nostra arretratezza finanziaria”, provocata anzitutto «dalla nostra matrice culturale, basata su radici classiche-letterarie, che molto poco hanno a che fare con la cultura finanziaria, tipicamente anglosassone». Senza contare l’affidamento che per decenni si è rivolto allo Stato, incaricato di pensare alle questioni finanziarie dei cittadini per soddisfare tutti i bisogni economici, dietro – ed è lapalissiano – il pagamento di generosi interessi.

Ma insegnare l’educazione finanziaria a scuola significa inoltre, sottolinea Carmela Palumbo, «riportare le questioni economiche nel solco più vasto del senso di appartenenza alla comunità sociale», giacché «diffondere la consapevolezza dei meccanismi che presiedono ai processi economici e finanziari significa non subirli, e ridurre i rischi non solo di un default finanziario, ma di un intero default civile e sociale che  potrebbe verificarsi quando non ci sia controllo e partecipazione sociale dal basso». In estrema sintesi, «introdurre l’educazione economico finanziaria nelle scuole significa contribuire a tutelare i diritti e la libertà della persona».

Un saggio, quello del Castrovilli, che per l’ensemble degli interventi e per l’accuratezza del curatore nel selezionare i contenuti da affrontare risulta di spiccato interesse, su una tematica, quella dell’educazione finanziari a scuola, che proprio in queste pagine può trovare l’innesco per una sua diffusione a largo spettro. Tra le pagine sono inserite anche le conclusioni di personaggi insigni quali Elsa Fornero e Ignazio Visco, affiancate dagli scritti incisivi di numerosi altri eccellenti autori degli interventi, dotati di un acume particolare nell’evidenziare, in maniera spesso sintetica ma sicuramente azzeccata, i lidi su cui la tematica dell’educazione finanziaria a scuola può e deve radicarsi.

Vale la pena concludere sottolineando come la materia de quo potrebbe poi giovare ai genitori degli studenti chiamati ad apprendere l’educazione finanziaria, giacché, come argutamente sottolinea il Castrovilli, «la finanza non è come imparare una volta per tutte ad amare Dante, piuttosto una continua ri-educazione». Così, nel confronto tra esperienze scolastiche del giovane discente ed esperienze di vita del genitore, diviene più agevole disegnare i contorni di una futura società che sappia intendere l’economia e la finanza non soltanto come un insieme di concetti quali risparmio, quotazione dei titoli, debiti sovrani o spread, piuttosto come benessere di tutti i cittadini.

Manager e parole: un libro per capire le “voci” dell’azienda

Stefano Billi
ROMA – “Nuove parole del manager. 113 voci per capire l’azienda“. Ecco il titolo di una recente opera edita da Guerini e Associati e siglata dalla penna di Francesco Varanini.

Ecco il titolo di un utile libro sull’importanza di quelle parole che oggi sono diventate imprescindibili non soltanto per chi esercita attività d’impresa, ma soprattutto per chi voglia comprendere davvero l’ambito aziendale.

Nelle sue dimensioni tascabili, il testo compie il gesto coraggioso di ricordare al lettore come le parole siano importanti, non soltanto per “chiamare le cose col proprio nome”, ma soprattutto per conoscere il vero significato di ogni termine e la creatività umana che l’ha originato. Per dirla alla maniera del Varanini: «porre attenzione alle parole significa tornare a porre l’attenzione al senso», cosicché si possa ancora «riflettere sul nostro modo di agire, sul perché, e sul come lavoriamo».

E certamente non si corre alcun rischio di derive nazionalistiche laddove si voglia evidenziare come molto spesso i ricorsi a forme linguistiche estere, pur se appropriati, potrebbero invece lasciar il passo alla riscoperta di italianissimi sinonimi che esistono, come dimostrato tra le 230 pagine (circa) dell’opera.

Il lavoro certosino del Varanini dimostra perciò un acume fuori dal comune nel rintracciare le origini di alcune parole, siano esse vecchie o nuove, nostrane o straniere (schiera, quest’ultima, che in larga parte annovera elementi anglosassoni).

Inoltre, il libro offre una fruizione particolare, precisamente quella dei dizionari, cosicché non soltanto si può leggere il testo procedendo all’analisi delle singole voci secondo un ordine alfabetico, ma si può inoltre sfruttare un ricco indice analitico che assurge a stella polare di queste pagine dense di storia delle parole.

Sebbene ormai sia chiaro ai più come sovente la forma, specie in ambito aziendale, divenga sostanza, «riscoprire il senso delle parole ci aiuta ad andare oltre le apparenze», tanto che verrebbe da annoverare questo libello a guisa di fendente capace di squarciare il velo di ignoranza che spesso ottunde la comunicazione moderna.

“Nuove parole del manager. 113 voci per capire l’azienda” è un’opera importante per capire davvero il mondo aziendale, pratica e pronta all’uso, come le migliori guide sanno essere.

“Chuck Norris ha un armadio nello scheletro”

Stefano BIlli

Roma – Sì, avete letto bene: “Chuck Norris ha un armadio nello scheletro”. Né errore di battitura, né sintomo di arteriosclerosi precoce del redattore. Piuttosto, si tratta dell’esilarante titolo del terzo volume, curato da Mist e Dietnam (per l’anagrafe, Riccardo Bidoia e Massimo Fiorio) ed edito da Tea, che raccoglie al suo interno cinquecento facts riguardanti il ranger texano più forte, indistruttibile, imperturbabile, impietoso e cattivo che sia mai esistito.

Osate chiedere di chi si stia parlando? Allora mettetevi al riparo, perché Chuck Norris, protagonista dell’intramontabile serie televisiva “Walker Texas Ranger”, vi sta già raggiungendo con un calcio rotante. Infatti, alla sua figura, si associano fatti – denominati appunto facts – che forse sono leggenda, o forse no, perché nessuno dubita più delle titaniche imprese dell’attore statunitense, tanto che Chuck Norris rappresenta ormai un fenomeno umoristico inarrestabile.

La goliardia e la robusta comicità delle gesta del ranger texano assurgono a pilastro incrollabile dell’ironia targata ventunesimo secolo, tanto che il prestigioso quotidiano londinese Times, in un’intervista a Chuck Norris, definisce quest’ultimo un acclarato online cult hero.

Perché, è opportuno che lo sappiate, «Chuck Norris può svuotare la luna piena». Così come è in grado di «riempire un pozzo senza fondo». Vi sembra che stia esagerando? Allora tremate al pensiero che «Chuck Norris può abrogare la legge di gravità».

Questi sono i facts. Pillole di satira così sopraffina da strappare a chiunque una fragorosa risata. Soprattutto contagiosa. Infatti, la loro caratteristica più incredibile è proprio quella di spingere il lettore a voler scoprire incessantemente nuove gesta sempre più incredibili. Senza contare quella voglia febbrile che induce i lettori, infine, a diventare essi stessi creatori di facts. Ecco allora alimentarsi un ciclo comico che sembra non conoscere né crisi né momenti di noia, come testimoniano le molteplici ristampe i volumi inediti che si aggiungono costantemente all’opera di Mist e Dietnam, raccoglitori indefessi – e straordinari – di quest’onda di divertimento popolare e disarmante.

Perciò, se la malinconia da fine ferie è in procinto di abbattersi sul vostro morale, non dimenticate che «Chuck Norris sa cosa hai fatto l’estate scorsa». Perché «Chuck Norris ha affondato uno scoglio col suo gommone».

E ricordate: «Chuck Norris can try this at home».

Scoprire il buon profumo dei libri nei book shops di New York

Stefano Billi

NEW YORK – Sono pochissime quelle librerie che ancora possiedono un fascino naturale e il buon profumo della carta. Sparuti vegliardi dislocati dove meno te l’aspetti, negli angoli di strada sconosciuti, quelli che prendi per sbaglio.
A New York – sulla Broadway avenue, incrocio con l’82ma strada – esiste un posto così, chiamato “Westsider Books”, caratteristico per il suo colpo d’occhio inconfondibile.

Le pareti sono nascoste da altissimi scaffali, inzeppati di libri vintage, soprattutto testi dello scorso secolo, provenienti da quasi tutto il globo.

Letteratura nordamericana, asiatica, europea, si fondono in un crogiolo di lingue che raccontano migliaia di storie.

Già oltre la soglia dell’entrata sale su dallo stomaco un tipo di fame strana, che fa dimenticare l’orario e le chiamate al cellulare e tutto il mondo che sta fuori. L’appetito dell’arte, a cui non basta una vita intera per essere sazio.

I polpastrelli si asciugano sulla carta invecchiata, sulle stampe d’annata, tra le rilegature che si sono arrese al tempo già da tempo.

E ci si sente a casa quando, tra una scorribanda ed un altra in mezzo alle copertine, appare fulgida una copia della Divina Commedia, o un romanzo di un grande scrittore italiano.

Migliaia di titoli stipati in uno spazio piccolo, accogliente, caldo. Un ventre materno della cultura, che avvolge ogni lettore tra le miriadi di fogli di carta e di inchiostro.

Quando arriva il momento di uscire, che nessuno ti aspetta perché sei andato da solo, visto che la maggior parte di eventuali accompagnatori si sentirebbe soddisfatta solo a guardare la vetrina e a dire: «guarda quanti libri usati!», provi la stessa sensazione del risveglio da un bel sogno, dove ci si sforza di ricordarne i particolari, perché i primi minuti della colazione sono in agguato per rubarteli.

Durante il ritorno a casa magari capiterà di incrociare invece una grande libreria, dentro ad un centro commerciale, stracolma di una folla che aspetta lo scrittore famoso di turno per una sigla sul libro appena comprato, dotata di scale mobili e libri sul “fai da te” e giochi da tavolo, insaporita dall’odore di una caffetteria interna che sforna brodaglie annacquate, e poltrone così larghe che più che aiutare la lettura sembrano invogliare un pisolino.

Magari capiterà pure di “fare un salto” in questa libreria così moderna, giusto per dare un’occhiata, appena il tempo per rendersi conto di come all’interno ci sia troppo, e fa capolino una debolezza alle gambe, sebbene siano passati solo quindici minuti dall’ingresso.

Neanche qualche ora fa, invece, si è stati in piedi a lungo, estasiati, leggeri.

Eppure non servivano nemmeno un caffè, in quell’antico book shop. C’era solo un buon profumo di carta.

“Prendila con filosofia!”

Stefano Billi
ROMA – Che cos’è la filosofia? Cosa vuol dire “amore per il sapere”?

Per la maggior parte delle persone la filosofia si manifesta come una materia di studi liceali, che per tre anni si è costretti ad imparare: nozioni, concetti, sforzi mentali – anche ardui – per una disciplina che i più fortunati (o sfortunati, a seconda della prospettiva del lettore!) dovranno approfondire solo per poco tempo della loro carriera scolastica. Dunque, uno sforzo limitato nel tempo, ecco il significato ultimo che taluni potrebbero dare alla filosofia, relegandola ad una sorta di “naya” del pensiero.

Fortunatamente, la filosofia non è affatto questo.

A testimoniarlo, tra gli innumerevoli testi che l’umanità ha conosciuto, c’è l’interessantissimo libello “Prendila con filosofia!”, edito da Il Melangolo, che racchiude al suo interno una serie di massime di pensiero di alcuni tra i più imponenti filosofi greci dell’antichità, tant’è che l’opera riporta – come autori – la dicitura “Socrate & C.”.

L’opera si suddivide in una settantina di tematiche di vita quotidiana – come l’amore, la morte, la virtù, l’odio, la libertà, il tempo – affrontate attraverso il contributo di quel manipolo di pensatori ellenici succitati, come se si chiedesse ad uno di essi la propria risposta in merito alle grandi questioni dell’esistenza.

Così, in poche righe, si conosceranno massime d’esperienza che aiutano a riflettere sul senso profondo delle cose e su come i problemi che ci affliggono spesso possano essere risolti facendo ricorso alla filosofia, che diviene dunque un modus vivendi da coltivare quotidianamente.

Tant’è che le origini della filosofia la tratteggiano, più che come una scienza o un lusso speculativo, piuttosto come una riflessione collegata fortemente alla realtà quotidiana, praticata per le strade, nelle piazze, a riprova della sua “utilità pratica”.

Il libro, perciò, lungi dal voler rappresentare un trattato filosofico o una dissertazione sui massimi sistemi, ha il pregio invece di manifestarsi come una serie di esercizi di pensiero sui temi importanti per la vita di ognuno. Praticando costantemente la filosofia e lasciandosi aiutare dall’imprescindibile contributo di quei filosofi che hanno determinato l’evoluzione culturale dell’umanità, il lettore può davvero plasmare la propria coscienza per arrivare così ad una vera salute dell’animo, indispensabile quanto la salute corporea.

Per dirla alla maniera dei curatori dell’opera, “prendila con filosofia significa dunque: sforzati di prenderti cura della tua vita attraverso gli esercizi filosofici“, col vigoroso incitamento proveniente dai quei maestri greci ad allenare la propria esistenza, per diventare concretamente libero!

Allora cosa aspetti?

“Prendila con filosofia!”

Dylan Dog, tra esistenza, orrore e filosofia

Stefano Billi
ROMA – Se un buon libro si riconosce dalla copertina, allora “Dylan Dog. Esistenza, orrore e filosofiadi Roberto Manzocco (per Mimesis Edizioni) denota subito un appeal accattivante.

Ma oltre ai risvolti grafici, è il contenuto del testo che vanta un merito particolare. Infatti, “Dylan Dog. Esistenza, orrore e filosofia” si propone come una riscoperta filosofica di una tra le serie di vertice della Bonelli Editore, Dylan Dog per l’appunto. Perché le tavole del celeberrimo “indagatore dell’incubo” non si colorano solo di avventura, mistero, passione, umorismo, quotidianità, orrore. Tra le linee di china nera prendono vita orizzonti di pensiero e riflessioni esistenziali che rendono quel centinaio di pagine dell’albo mensile dylandoghiano un appuntamento imperdibile.

Allora, l’opera di Roberto Manzocco è un appiglio validissimo nel rileggere sotto una chiave filosofica i preziosi spunti disseminati da Tiziano Sclavi e colleghi nelle sceneggiature di Dylan Dog.

L’autore, come un moderno Virgilio dantesco, accompagna il lettore tra i significati più reconditi e le sfumature più sottili delle “zone del crepuscolo” ed altri luoghi noti al mondo dylandoghiano, svelando poi le contingenze, le affinità e i numerosi punti di contatto tra il buon vecchio detective dell’incubo e filosofi immensi (Heiddeger e Sartre, solo per citarne alcuni).

Non solo, poiché le avventure dell’inquilino di Craven Road 47 non rimangono un mero punto d’arrivo, ma piuttosto un punto di partenza per considerazioni ulteriori, che rendono il libro di Manzocco un ottimo saggio sul pensiero contemporaneo in merito a tematiche quali ad esempio l’amore, la morte, la verità, il destino.

Complice alla piacevolezza del testo è poi un tratto stilistico semplice e colloquiale, che rende ogni pagina scorrevole e di facile comprensione, caratteristica rara da scovare nei saggi che trattano di filosofia.

Comunque “Dylan Dog. Esistenza, orrore e filosofia” è un libro per tutti i palati, non soltanto per gli appassionati del fumetto bonelliano: anzi, proprio questo libro può essere l’occasione per esplorare una serie fumettistica italiana di notevole pregio come Dylan Dog, sulle scene ormai dal lontano ottantasette ma certamente insostituibile, soprattutto per tutti i suoi fans.

La poesia batte il diritto

Stefano Billi

ROMA – Chronica Libri ogni domenica si occupa di testi scovati in preziose bancarelle, scoperti in librerie secolari, ritrovati nei magazzini di biblioteche poco frequentate. E poi di classici che hanno scritto la storia della letteratura e che hanno forgiato le coscienze; e poi di libri datati, di cui talvolta ci si scorda, ma di cui non ci si dovrebbe dimenticare mai, perché rifulgono ancora per la loro straordinaria bellezza. Queste sono le letture vintage.

Questo è anche l’ “Elogio dei giudici scritto da un avvocatodi Piero Calamandrei (la cui terza edizione, originariamente pubblicata negli anni cinquanta, trova ora una sua ristampa grazie all’editore Ponte Alle Grazie).

Giurista dalla statura elevatissima, Piero Calamandrei ha scritto pagine indimenticabili dove si mette in risalto l’importanza della Magistratura, professione così complicata nel suo aver a che fare, più che con il diritto, col difficile compito di giudicare ricercando una verità, se non altro processuale.

Pensando ad un elogio – soprattutto rivolto ad eccellentissimi signori, quali appunto i giudici – ci si aspetterebbe allora un cumulo di roboanti lodi, dove aggettivi da cerimoniale e frasi ad effetto costituirebbero l’unica impalcatura delle pagine.

In realtà, il libro racconta aneddoti di tanti anni di vita forense, di massime d’esperienza raccolte sul campo, di storture ed umanità di un sistema giudiziario che vede accomunati nella sofferenza del processo giudici e avvocati, entrambi chiamati a fare del diritto qualcosa di veramente giusto.

Umorismo d’altri tempi quello di Piero Calamandrei, che spinge il lettore a divenire consapevole di quanto importante sia la figura di chi per mestiere è chiamato a giudicare, sapendo in cuor suo il peso che deriverà da ogni plausibile decisione.

Singolare, oltretutto, che a tesser queste lodi sia proprio un avvocato: forse, soltanto chi quotidianamente scorge quanto penar comporta l’amministrazione della Giustizia può davvero ringraziare sinceramente la figura del giudice.

Curioso, infine, che attraverso un encomio della Magistratura anche la professione dell’avvocato trovi lustro (lontano dall’azzeccagarbugli di manzoniana memoria), segno evidente di come i destini dei togati siano per certi aspetti simili e coincidenti.

Un libro, “Elogio dei giudici scritto da un avvocato”, straordinario nella sua attualità e nel suo stile signorile e nobile, che andrebbe assaporato quotidianamente per ritrovare una fede, quasi religiosa, nella Giustizia.

Linee di inchiostro indispensabili, quelle del Calamandrei, per chi decidesse di far della professione forense non solo il proprio mestiere, ma il proprio destino, consapevole che solo i cuori caldi, coraggiosi possono servire veramente la causa della Giustizia.

Ecco perché, nell’edizione originale, il fregio del libro mostrava una bilancia dove nel piatto più pesante era collocata una rosa ed in quello più leggero un codice: la poesia batte il diritto.

Diventare un mito, seguendo i dieci consigli di Michele Monina

recensione chronicalibri laurana editore moninaStefano Billi
ROMA – Dieci solitamente è un numero adatto alle classifiche, alle valutazioni. “Da zero a dieci”, e tutto può essere ponderato utilizzando questa forbice.

Ma dieci è anche il numero dei consigli, in particolar modo quelli che Michele Monina propone ai lettori per raggiungere il successo, col suo nuovo libro “10 modi per diventare un mito (e fare un sacco di soldi)”, pubblicato da Laurana Editore.

Perché per diventare ricchi e famosi, per arrivare alla celebrità, ci sono alcuni “passaggi obbligati” da percorrere: ad esempio, scegliersi un nome memorabile, oppure essere designati come giudici di un reality show, fino poi a sfornare una hit musicale che penetri irreversibilmente nelle orecchie di chi l’ascolta.

Così, in maniera divertente, Michele Monina tratteggia dieci tattiche per trasformarsi in miti di prim’ordine, riempirsi di denaro, essere osannati dalle folle e spopolare in tv.

Il periodare giovanile e assolutamente colloquiale rende poi il testo largamente fruibile, pratico da leggere e quasi scomponibile, a mo’ di vademecum sulla celebrità.

Il taglio scanzonato delle pagine non deve comunque distrarre dall’acume dell’autore nel presentare i modi che oggi sono in gran parte efficaci per diventare un mito.

Michele Monina descrive sotto forma di suggerimenti quelle strategie e quelle tattiche che gli artisti e le star maggiormente in voga hanno sfruttato per accaparrarsi la cresta dell’onda.

Dunque, ad una lettura attenta di “10 modi per diventare un mito (e fare un sacco di soldi)”, si può anche capire come funzioni la società contemporanea, quali siano i suoi valori. Si può poi comprendere come, talvolta, il talento possa rivestire un ruolo di secondo piano, perché in fin dei conti ciò che importa è apparire. Perciò, non c’è da stupirsi se, anziché lo studio e l’abnegazione, sia piuttosto l’eccentricità – a volte tendente perfino al ridicolo, all’inopportuno e magari al volgare – il grimaldello che permetta alle giovani leve, aspiranti protagonisti del mondo, di farsi strada nella lunga e faticosa via per diventare qualcuno.

In riferimento al mood frizzante del libro, merita una menzione anche la prefazione di Gianni Biondillo, sarcastica, irriverente, ma forse in fondo vera nei suoi luoghi comuni sul successo e sul chi fa successo.

Perciò, se sognate la fama, se ambite alla celebrità, se vi immaginate come i protagonisti assoluti del domani,  i “10 modi per diventare un mito (e fare un sacco di soldi)” di Michele Monina possono rappresentare il giusto inizio dell’impresa.