“Lasciami contare le stelle”: il racconto di una vita reale, di Elvia Grazi

Lasciami contare le stelle Alessia Sità
ROMA – “… Ho imparato che qualche volta bisogna mollare il colpo, avere il coraggio di lasciarsi portare …”
I sentimenti possono scardinare le certezze mentali che ci si costruisce per tutta la vita? Si può far cambiare rotta ai viaggi della mente per un’intuizione del cuore? E’ proprio questo l’interrogativo che fa da filo conduttore in Lasciami contare le stelle, il toccante romanzo di Elvia Grazi edito da Tea. Bianca è un’affermata donna in carriera della Milano bene. La sua vita sembra essere perfetta, almeno fino a quando il marito non decide di lasciarla per un’altra. La fine del suo matrimonio però, nonostante la sofferenza, l’amarezza e la delusione, segna al contempo un inaspettato inizio. L’incontro con il ribelle Walter, insofferente ai legami sentimentali e fedele esclusivamente a Tabata, la barca su cui vive, cambierà per sempre l’esistenza della donna. Bianca si abbandona totalmente a una liaison fatta di weekend rubati alla monotonia di una vita solitaria, di attimi di fugace passione, di leggerezza e di libertà. Giorno dopo giorno, impara ad alzarsi in volo, a rischiare, forte della consapevolezza di aver già sperimentato sulla propria pelle le “promesse di chi ti dice «è per sempre» e poi ti volti e non c’è già più”. “Lasciami contare le stelle” non è solo un romanzo di formazione emotiva, ma è un viaggio introspettivo, che spinge a indagare nel profondo della propria coscienza. Fin da subito, Elvia Grazi informa il lettore che quella che sta per leggere è “il racconto di una vita reale”. Inevitabilmente, ci si sente trascinanti nel mare delle emozioni e dei ricordi dei due protagonisti. Ci si sente un po’ come Bianca: fragile, piccola, ma allo stesso tempo determinata a vivere una vita a colori, dove il nero non è assolutamente contemplato; ma ci si sente anche un po’ come Walter: ribelle, “elementare, basico, lineare”. Elvia Grazi ha dato voce e anima a un diario di bordo, custode di un amore sui generis, speciale e unico. “Ognuno di noi, ne sono sicura, ci può trovare qualcosa di personale. Sta in questo la grandezza delle storie d’amore. Ed è il motivo per cui non smettiamo di leggerle e di raccontarle”.

“Chuck Norris ha un armadio nello scheletro”

Stefano BIlli

Roma – Sì, avete letto bene: “Chuck Norris ha un armadio nello scheletro”. Né errore di battitura, né sintomo di arteriosclerosi precoce del redattore. Piuttosto, si tratta dell’esilarante titolo del terzo volume, curato da Mist e Dietnam (per l’anagrafe, Riccardo Bidoia e Massimo Fiorio) ed edito da Tea, che raccoglie al suo interno cinquecento facts riguardanti il ranger texano più forte, indistruttibile, imperturbabile, impietoso e cattivo che sia mai esistito.

Osate chiedere di chi si stia parlando? Allora mettetevi al riparo, perché Chuck Norris, protagonista dell’intramontabile serie televisiva “Walker Texas Ranger”, vi sta già raggiungendo con un calcio rotante. Infatti, alla sua figura, si associano fatti – denominati appunto facts – che forse sono leggenda, o forse no, perché nessuno dubita più delle titaniche imprese dell’attore statunitense, tanto che Chuck Norris rappresenta ormai un fenomeno umoristico inarrestabile.

La goliardia e la robusta comicità delle gesta del ranger texano assurgono a pilastro incrollabile dell’ironia targata ventunesimo secolo, tanto che il prestigioso quotidiano londinese Times, in un’intervista a Chuck Norris, definisce quest’ultimo un acclarato online cult hero.

Perché, è opportuno che lo sappiate, «Chuck Norris può svuotare la luna piena». Così come è in grado di «riempire un pozzo senza fondo». Vi sembra che stia esagerando? Allora tremate al pensiero che «Chuck Norris può abrogare la legge di gravità».

Questi sono i facts. Pillole di satira così sopraffina da strappare a chiunque una fragorosa risata. Soprattutto contagiosa. Infatti, la loro caratteristica più incredibile è proprio quella di spingere il lettore a voler scoprire incessantemente nuove gesta sempre più incredibili. Senza contare quella voglia febbrile che induce i lettori, infine, a diventare essi stessi creatori di facts. Ecco allora alimentarsi un ciclo comico che sembra non conoscere né crisi né momenti di noia, come testimoniano le molteplici ristampe i volumi inediti che si aggiungono costantemente all’opera di Mist e Dietnam, raccoglitori indefessi – e straordinari – di quest’onda di divertimento popolare e disarmante.

Perciò, se la malinconia da fine ferie è in procinto di abbattersi sul vostro morale, non dimenticate che «Chuck Norris sa cosa hai fatto l’estate scorsa». Perché «Chuck Norris ha affondato uno scoglio col suo gommone».

E ricordate: «Chuck Norris can try this at home».

“Romancing Miss Brontë”: il genio delle sorelle Brontë rivive fra le pagine del romanzo di Juliet Gael

Alessia Sità

ROMA – Fin dai tempi del Liceo, ho sempre nutrito un profondo interesse per la letteratura del periodo vittoriano e in particolar modo per le tre sorelle Brontë: Charlotte, Emily e Anne. A soddisfare ulteriormente la mia curiosità  ha contribuito anche “Romancing Miss Brontë”, l’accurata biografia romanzata dell’americana Juliet Gael, pubblicata da Tea. In perfetta armonia fra realtà e finzione, questo straordinario romanzo ripercorre scrupolosamente le tormentate e drammatiche vicende della famiglia Brontë. Figlie di un sacerdote anglicano di origine irlandese, le tre sorelle trascorsero un’esistenza solitaria nella selvaggia natura delle brughiere dello Yorkshire. Dopo la prematura morte della madre e delle due sorelle maggiori, furono allevate dall’inflessibile zia Mrs. Branwell. L’isolamento però non impedì loro di ricevere un’eccellente istruzione, che favorì la creazione di un mondo fantastico e allo stesso tempo crudele. Nonostante le rigide regole e le tipiche consuetudine dell’Inghilterra dell’Ottocento, Charlotte, Emily e Anne sfidarono i pregiudizi di un’epoca e della gente, facendo conoscere al mondo intero il loro straordinario talento letterario, decisamente fuori dal comune.
Infranto il sogno di aprire una scuola presso la parrocchia e nostalgica di rivivere l’adrenalina culturale del periodo trascorso a Bruxelles, Charlotte persuase Anne ed Emily a pubblicare le loro poesie usando gli stessi pseudonimi dell’infanzia. Fu così che nel 1847, i tre fratelli Ellis, Acton e Currer Bell pubblicarono presso due note case editrici di Londra i loro romanzi – Jane Eyre, Cime Tempestose e Agnes Grey – destinati a suscitare l’interesse della critica e a diventare un vero e proprio successo mondiale. L’anonimato tenacemente difeso, soprattutto da Emily, contribuì per molto tempo ad alimentare il sospetto che vi fosse un unico autore per tutte e tre le opere. La grande popolarità suscitata nel mondo editoriale però non cambiò la solitaria esistenza del trio di scrittrici. Lo spettro della morte continuò a far loro visita prematuramente. Prima fu la volta di Branwell, l’unico maschio della famiglia vittima dell’oppio e dell’alcol, la cui degradazione fisica e morale divenne un vero tormento per l’intera famiglia; poi toccò anche alla ribelle Emily e alla dolce Anne, entrambe scomparse alla soglia dei trent’anni. Tenacemente e confidando solo nella forza della fede, la piccola Charlotte proseguì  il suo lavoro di scrittrice nel ricordo delle adorate sorelle. Con straordinaria capacità narrativa e con grande sensibilità, Juliet Gael ricostruisce, attraverso le vicende e le sofferenze di Charlotte Brontë, la storia, le passioni e gli amori di tre donne decisamente in contrasto con l’ideale femminile del periodo vittoriano, in quanto simbolo di coraggio e determinazione. “Romancing Miss Brontë” ha il merito di ricreare l’atmosfera di un’epoca e di commuovere il lettore in modo del tutto inaspettato.

Novità TEA: “Pesca con la mosca”

Silvia Notarangelo
ROMA – L’ex magistrato, Gianni Simoni, non tradisce le aspettative nel suo nuovo giallo dal titolo “Pesca con la mosca”, pubblicato da TEA. Una storia appassionante, una vicenda intricata in cui le indagini, proprio quando sembrano vicine ad una svolta, sono invece prontamente smentite da repentini colpi di scena.

Protagonista, ancora una volta, la squadra mobile di Brescia con il commissario Miceli, “la discrezione fatta persona”, e i suoi fedelissimi collaboratori. All’appello non può, ovviamente, mancare il giudice Carlo Petri che, nonostante una pensione anticipata, continua a restare un insostituibile punto di riferimento.
Ed è proprio lui, un pomeriggio d’estate, l’artefice di una “pesca” che, certo, non può dirsi miracolosa. Il cadavere di una bellissima ragazza riaffiora dalle acque tranquille di un ruscello dove Petri si è recato con la speranza di portare a casa qualche trota di montagna. Inevitabile l’intervento del giudice che, dopo aver condotto a riva il corpo, si precipita a chiedere aiuto.
È la punta di un iceberg, la miccia che innesca una serie di omicidi in cui sono misteriosamente coinvolti tre sacerdoti ed un medico. Ma se per Don Carrino, la prima vittima, si giunge abbastanza rapidamente ad un’ipotesi che sembra plausibile, non altrettanto può dirsi per le altre tre.
Le indagini brancolano a lungo nel buio, le ricerche e i primi riscontri non danno i risultati sperati, la reticenza o la paura prevalgono. L’interrogativo su cui si concentra il lavoro della squadra è essenzialmente uno, scoprire che cosa lega le quattro vittime ed individuare chi può avercela con loro, al punto da trasformarsi in uno spietato assassino. Per la morte di Don Carrino i sospetti ricadono subito sul fidanzato della ragazza, Enrico Beni, un giovane bravo e onesto che il dolore e la rabbia potrebbero aver reso un terribile omicida. La pista, però, viene in parte abbandonata, complice il fatto che il Beni si trova già in carcere quando vengono compiuti gli altri delitti. A questo punto non resta che ripartire da zero, indagare sul passato delle vittime, capire chi può aver acquistato quella 6,35 dalla quale sono partiti i quattro proiettili letali. La verità è più vicina e, forse, anche più scontata di quanto si creda. E saranno nuovamente le intuizioni di due donne, l’ispettrice Grazia Bruni e Anna, la moglie di Petri, a dare un contributo decisivo per la soluzione del caso.

Il Kenya nelle pagine de “Il signore delle pianure”

Silvia Notarangelo
ROMA– L’Africa, terra d’adozione dello spagnolo Javier Yanes, è al centro del suo romanzo d’esordio, “Il signore delle pianure” (Tea). Curro Mencía aveva dieci anni quando ascoltava rapito i racconti del vecchio Hamish, pieni di vegetazione esotica e di esploratori, di cieli sconfinati e di savane, di leoni uccisi e di trofei di caccia. La nonna, l’adorabile e indomabile Uke, era morta da poco, e Hamish, uno scozzese dai capelli rossi scomparso negli immensi spazi africani dopo averla messa incinta, era inaspettatamente tornato per renderle omaggio. Nelle poche settimane in cui si era trattenuto prima di scomparire nuovamente nel nulla, quel nonno che non aveva mai conosciuto era riuscito a instillare in Curro, attraverso i suoi affascinanti racconti, un’insopprimibile e misteriosa nostalgia, chiamata mal d’Africa. Quando, molti anni dopo, viene messa in vendita la residenza nei pressi di Madrid che da generazioni appartiene alla sua famiglia e che insieme a essa sta andando in rovina, in Curro si riaccendono i ricordi sopiti. Perché quella è ben più di una casa, è un universo intero che racchiude i ricordi di un’infanzia piena di avventure, di affetti e di mistero: è lì che Curro ha conosciuto fugacemente il suo bizzarro nonno ed è da lì che intende ripartire alla ricerca di indizi che glielo restituiscano. Un viaggio sulle tracce delle proprie radici che lo porterà fin nel cuore del Kenya, all’appuntamento da troppo tempo rimandato con il «signore delle pianure»…

Le storie del bibliobus di Tundrum in “Galeotto fu il libro”

Silvia Notarangelo
RomaTundrum, una cittadina dell’Irlanda del nord, un bibliobus scarsamente considerato, un giovane di nome Israel Armstrong. Sono questi i tre ingredienti che Ian Sansom continua, sapientemente, a mescolare in una nuova avventura dal titolo “Galeotto fu il libro”, recentemente pubblicata da Tea.
Israel ha quasi trent’anni, vive in un pollaio trasformato in appartamento, di professione fa il bibliotecario e la sua vita non è, esattamente, come la avrebbe immaginata. Sono tante le cose che non vanno, a cominciare da quella strana sensazione di essere diventato l’ombra di se stesso senza sapere che direzione prendere né che cosa aspettarsi dal futuro.
Lavora su un bibliobus percorrendo le strade di Tundrum, un’insolita località irlandese, isolata dal resto del mondo, dove tutto sembra scorrere all’insegna di un’estenuante monotonia. C’è un unico bar, quotidianamente preso d’assalto, c’è la serata fish & chips seguita da un attesissimo quiz biblico, ci sono le lezioni di lettura organizzate per i bambini della scuola. Niente di strano, dunque. L’unica anomalia, se così si può chiamare, è sotto il bancone del bibliobus: lì, infatti, lontani da occhi indiscreti, sono conservati i libri fuori catalogo, libri volutamente non esposti per evitare di impressionare i lettori più giovani. Ed è proprio da questi che, una mattina, Israel attinge per accontentare la richiesta di una misteriosa e taciturna ragazzina. Il testo in questione si intitola “Pastorale americana”. Sembra un normale prestito bibliotecario ma, all’improvviso, le cose cambiano.
La ragazzina, Lindsay, figlia di uno dei candidati alle prossime elezioni, scompare. Nell’occhio del ciclone finisce il giovane protagonista, la sua condotta lavorativa viene messa in discussione, forse è lui la causa della sparizione, forse, all’origine del gesto, c’è quel libro “sconsigliato”, concesso, impunemente, in prestito.

Intenzionato a dimostrare la propria estraneità ai fatti, Israel si mette subito alla ricerca di Lindsay. Non sarà facile sciogliere i nodi della vicenda, scoprire ciò che davvero si nasconde dietro questa fuga apparentemente inspiegabile. Il giovane bibliotecario seguirà una serie di piste fino a quando non riuscirà a risolvere il caso. La sorpresa, però, sarà tale da suggerire un’amara considerazione: le apparenze ingannano, gli indizi possono rivelarsi fuorvianti e la verità, spesso così terribilmente banale, può risultare ancora più difficile da accettarsi.

"Virginia Woolf e il giardino bianco": perché non si dovrebbe scherzare sui santi.

Giulio Gasperini
ROMA –
Stephanie Barron ha la febbre dei gialli letterari: dalla sua pena è nata, da qualche anno, la nuova declinazione di Jane Austen che, senza denaro e non ancora pubblicato The Pride and the Prejudice, si diverte a indagare e risolvere i piccoli misteri delle campagne inglesi. In questo nuovo romanzo, invece, la Barron tiene a riposo l’autrice di Mansfield Park ed Emma, e decide di riesumare alla modernità un’altra autrice cardine di tutta la letteratura del ‘900: niente meno che la Woolf, Virginia Woolf. In “Virginia Woolf e il giardino bianco”, pubblicato da TEA nella Narrativa, si diverte, la Barron, a inventare gli ultimi giorni di vita della grande scrittrice inglese.

Tutti conosciamo la sua morte: il 28 marzo 1941 uscì dalla sua casa nel Sussex, dove viveva con il marito Leonard, raggiunse le rive dell’Ouse, si riempì le tasche del soprabito di pietre e si abbandonò alla corrente. Nella mia fine è il mio principio, scrisse Agatha Christie: e proprio da qui, dalla fine, la Barron principia la sua indagine poliziesca, una sorta di thriller da architettura di giardini.

Il corpo della Woolf fu trovato soltanto molti giorni dopo la sua scomparsa: è possibile che la scrittrice avesse soltanto simulato il suo suicidio per sparire e poi uccidersi molti giorni dopo la data ritenuta ufficiale? Dove aveva passato questo arco di tempo? Da chi si era rifugiata?
La detective improvvisata è, appunto, un architetto del paesaggio, Jo Bellamy, che approda a Sissinghurst Castle per studiare (e ricostruirlo, negli States, per un suo cliente/amante) il famoso White Garden che la scrittrice Vita Sackville-West (raffinata scrittrice, coraggiosa viaggiatrice e appassionata amante anche omosessuale) aveva creato per la sua amata Virginia: un giardino completamente bianco, in ogni dettaglio. Qui, in un casale dimesso della proprietà, la Bellamy rinvenirà un diario, scritto pare da Virginia stessa, che principia con la data successiva a quella, conosciuta e ufficiale, della sua morte.
La saggezza popolare ci ammoniva (e il sagrestano della Tosca lo cantava con sguardo torvo) che coi fanti si può anche scherzare, ma che i santi devono esser lasciati in pace. E se la storia è incalzante e il romanzo scorrevole, alla fine della lettura rimane un po’ l’agrodolce retrogusto (e l’assurdità imbarazzante) di essersi, effettivamente, troppo baloccati coi (e sui) santi. Mentre, al contrario, i santi andrebbero lasciati in pace, soprattutto quando possono (e devono) godere meritatamente della loro letteraria giusta gloria.

TEA: L’amore secondo Torben Guldberg

Silvia Notarangelo

Roma“Tutti i miei viaggi nascevano dallo stesso desiderio. Tutte le storie che andavo raccogliendo le scovavo nel tentativo di trovare una risposta alla stessa domanda”. Queste parole sono di un cantastorie, un cantastorie immortale ma ormai stanco, dalle rughe profonde, che decide di fermarsi, perché è arrivato il momento di smettere di raccontare per cominciare ad ascoltare. Inizia con questa confessione “Tesi sull’esistenza dell’amore”, il romanzo d’esordio di Torben Guldberg, pubblicato da TEA. L’interrogativo che tormenta da sempre il protagonista è uno solo: capire che cos’è l’amore, come si manifesta, quali sono, se ci sono, delle leggi in grado di svelarne gli impenetrabili meccanismi. Cinque secoli di storia sono ripercorsi mediante il racconto di altrettante vicende, intimamente legate, eppure profondamente diverse l’una dall’altra.

Nel Cinquecento l’amore si esprime nella melodia di Frans e Amelie, nel suono della straziante nostalgia evocata dai due innamorati lontani, poi, nel secolo successivo, prende vita nei quadri di Gregarius, uno stravagante avventuriero stregato da un “angelo”, la bellissima Mari, ma incapace di resistere al richiamo del mare. Il desiderio di conoscere è irrefrenabile anche nel giovane Hans, capace di intuire una metafora suggestiva quanto fatale per la sua vita. L’amore è, per lui, come la luce, “invisibile mentre si muove” ma capace di farsi “sentire quando colpisce”. Filosofia, momenti di felicità difficili da decifrare e impossibili da trattenere, uno squallido scambio economico: sono queste le forme assunte dall’amore nelle storie degli ultimi due secoli. Henrik, il protagonista del Novecento, persegue un suo, personalissimo obiettivo, dimostrare che l’amore, al pari di tutte le cose, si può comprare e che il suo prezzo non è una “questione sentimentale”, ma è determinato da semplici e oculati investimenti. Una storia amara, priva di illusioni e senza lieto fine, che sembra prospettare un futuro tutt’altro che roseo.
Al termine di questo incredibile viaggio, i dubbi del vecchio cantastorie non sono ancora sciolti: magari è la domanda ad essere sbagliata, se si chiede cos’è l’amore, si presuppone che esista. Ma forse, come gli suggerisce l’amico Baldur, la risposta è proprio nella domanda, perché è nel momento stesso in cui sorge l’interrogativo che l’idea di amore è già lì, presente in ognuno.

"La scienza del diventare ricchi"

Valerio Martella 

ROMA L’americano Wallace D. Wattles, uno di primi scrittori motivazionali moderni, seguace del cosiddetto “socialismo cristiano” e del movimento “New Though”, scrisse “La scienza del diventare ricchi” nei primi anni del Novecento (recentemente ripubblicato da TEA).
Ispirandosi a una visione monistica del’Universo, dominato da un’unica Sostanza Originaria, e premesso che la ricchezza è un diritto e una legittima aspirazione per ognuno di noi, l’autore sembra voler sostenere che il diventare ricchi sia quasi una missione se non addirittura un dovere. Fatta la distinzione tra ricchezza, che giova a tutti, acquisita su un piano creativo e ricchezza realizzata su un piano speculativo, vista, quest’ultima, in senso negativo, Wattles dà la ricetta per diventare ricchi, che si basa essenzialmente sul nostro atteggiamento mentale: passare da una mentalità competitiva ad una creativa; comportarsi onestamente; pensare ed agire in un Certo modo, con fede in ciò che facciamo, gratitudine, volontà e determinazione.

La ricetta, al di là dei principi solidaristici e di rettitudine che vi sono insiti, non sembra possedere connotati di particolare originalità né appare destinata ad incidere profondamente sul lettore. Sembra essere di diverso avviso Rhonda Byrne, che al libro si è ispirata per il suo film The secret, al cui successo lo scritto deve nuova popolarità, la quale narra, sul suo sito internet: “…E appena ho letto il libro ed interiorizzato il suo semplice sapere la mia vita è immediatamente cambiata…Questo libro è la chiave della prosperità che hai desiderato. Esso cambierà la tua vita…”.

"La morte al cancello", il raffinato noir di Gianni Simoni pubblicato da TEA

Alessia Sità

ROMA – Una donna uccisa crudelmente, due miseri barboni eliminati perché ritenuti pericolosi e una città enigmatica, che nasconde un lato oscuro, troppo inquietante. Sono questi gli ingredienti del nuovo romanzo di Gianni Simoni, “La morte al cancello” edito da TEA nella collana Narrativa Tea.
Per il commissario Miceli, ancora una volta affiancato dall’instancabile ex giudice Petri, e per la sua squadra investigativa c’è un nuovo intricato caso da risolvere.
In una fredda notte bresciana, si consuma il barbaro delitto della moglie di un noto luminare di cardiochirurgia. Pochi giorni dopo, in città si apprende la notizia del ritrovamento dei cadaveri di due senzatetto. In apparenza, gli omicidi sembrano non avere nessun legame, ma andando avanti le indagini si incrociano inevitabilmente.

Il lavoro della polizia si fa sempre più meticoloso, non bisogna tralasciare nessun particolare, perchè anche il più abile killer può commettere errori o leggerezze. La pista principale seguita sembra essere quella di un omicidio su commissione, ma qualcosa nel quadro complessivo della vicenda non torna. Ci sono troppe domande senza risposta. Perché la donna è stata uccisa? E chi poteva avercela con due barboni disgraziati? Le ipotesi e gli indizi aumentano sempre di più e la pazienza, talvolta, sembra venir meno. La coppia Miceli – Petri però non si arrende. Le indagini continuano senza sosta, fino a quando anche l’ultimo tassello del complicato puzzle non trova posto.
Ogni personaggio, ogni evento è descritto passo dopo passo con estrema accuratezza. Gradualmente la soluzione prende finalmente forma. Attraverso una scrittura diretta, talvolta ricorrendo anche all’uso della lingua dialettale, l’ex magistrato riesce a coinvolgere il lettore in una complessa vicenda che nasconde un retroscena di tradimenti e infinito degrado. Il raffinato giallo di Simoni tiene col fiato sospeso fino all’ultima pagina, finché la giustizia non avrà fatto il suo corso.