“Adua”, il nuovo libro di Igiaba Scego racconta un sogno

adua_recensione ChronicalibriGiulia Siena
PARMA – Adua porta con sé la sua Somalia. Lo fa ogni giorno anche senza saperlo; lo fa anche ora, ferma, in piedi di fronte a una statua di pietra nel centro di Roma. Ora Adua racconta a quell’elefante scolpito nella pietra dal Bernini della sua casa a Magalo e della possibilità di tornarci dopo molti anni trascorsi in Italia, in una città eterna che le ha rubato il cuore e tutti i sogni.

Adua è la storia di una migrazione, di più vite e storie che si intrecciano raccontate con maestria e consapevolezza dalla giornalista e scrittrice Igiaba Scego. Continua

Un viaggio all’insegna della solidarietà

 Silvia Notarangelo

ROMA – I motivi per intraprendere un viaggio sono tanti. Si può partire spinti dalla curiosità di conoscere luoghi e culture diverse, per puro divertimento, per fuggire o evadere dalla routine quotidiana. Tra le ragioni più nobili c’è, senza dubbio, il desiderio di aiutare chi ha più bisogno. Un’aspirazione condivisa anche da Mariella Carimini e Silvia Gottardi, due amiche inseparabili, unite dalla passione per i viaggi ma soprattutto dalla stessa sensibilità verso chi è meno fortunato.
donne al volante TRANSAFRICA” (Polaris) è il resoconto dettagliato e appassionante della loro ultima avventura, un’avventura sostenuta e incoraggiata dalla Gazzetta dello Sport.
Quando, più di due anni fa, le ragazze si sono presentate al quotidiano rosa con un progetto tanto lodevole quanto ambizioso, il giornale di Andrea Monti ha creduto in loro, conquistato da un sincero entusiasmo e dalla voglia di misurarsi con una “missione impossibile”. Da allora, da quel primo incontro, le due amiche hanno portato in giro per il mondo il nome della Gazzetta e del suo indimenticabile direttore Candido Cannavò.
Nel 2011 è scoccata l’ora della seconda missione: un viaggio attraverso l’Africa, da Milano a Cape Town, per un totale di 16.000 km. Destinazione ultima, la Casa del Sorriso Cesvi di Philippi, una struttura dove sono accolte donne vittime di violenza e malate di AIDS. È a loro che Silvia e Mariella hanno donato il ricavato del viaggio.
Dopo una crociera di otto giorni per raggiungere l’Egitto, ecco che il 1° agosto la nave sbarca ad Alessandria: per la rosa Land Rover Discovery, prontamente ribattezzata Gazzamobile2, è il momento di iniziare la Transafrica. Come ogni viaggio che si rispetti, non sono mancati imprevisti, contrattempi, incomprensioni ma anche piacevoli sorprese. Le giornate, lunghe e faticose, sono state dense di incontri ma anche di occasioni per riflettere e confrontarsi con realtà molto diverse.
A completare questo piacevole volume un ricchissimo apparato fotografico e alcune utili schede di approfondimento con notizie, curiosità e suggerimenti per ognuno dei sette Paesi attraversati dall’instancabile Gazzamobile e dalle due inarrestabili amiche.

Il Kenya nelle pagine de “Il signore delle pianure”

Silvia Notarangelo
ROMA– L’Africa, terra d’adozione dello spagnolo Javier Yanes, è al centro del suo romanzo d’esordio, “Il signore delle pianure” (Tea). Curro Mencía aveva dieci anni quando ascoltava rapito i racconti del vecchio Hamish, pieni di vegetazione esotica e di esploratori, di cieli sconfinati e di savane, di leoni uccisi e di trofei di caccia. La nonna, l’adorabile e indomabile Uke, era morta da poco, e Hamish, uno scozzese dai capelli rossi scomparso negli immensi spazi africani dopo averla messa incinta, era inaspettatamente tornato per renderle omaggio. Nelle poche settimane in cui si era trattenuto prima di scomparire nuovamente nel nulla, quel nonno che non aveva mai conosciuto era riuscito a instillare in Curro, attraverso i suoi affascinanti racconti, un’insopprimibile e misteriosa nostalgia, chiamata mal d’Africa. Quando, molti anni dopo, viene messa in vendita la residenza nei pressi di Madrid che da generazioni appartiene alla sua famiglia e che insieme a essa sta andando in rovina, in Curro si riaccendono i ricordi sopiti. Perché quella è ben più di una casa, è un universo intero che racchiude i ricordi di un’infanzia piena di avventure, di affetti e di mistero: è lì che Curro ha conosciuto fugacemente il suo bizzarro nonno ed è da lì che intende ripartire alla ricerca di indizi che glielo restituiscano. Un viaggio sulle tracce delle proprie radici che lo porterà fin nel cuore del Kenya, all’appuntamento da troppo tempo rimandato con il «signore delle pianure»…

"Lettere dall’Africa. 1914-1931": se l’Africa ti sceglie come suo figlio prediletto.

Giulio Gasperini
ROMA –
La sua è una delle grandi fiabe del ‘900; una delle più grandi storie di avventura e determinazione, di caparbietà e lungimiranza, resa ancor più celebre dalla trasposizione cinematografica e da una superba interpretazione, con Meryl Streep nei suoi “ingombranti” panni.

Tutti noi sappiamo che Karen Blixen scrisse della sua attività imprenditoriale in Kenya nel suo spietatamente autobiografico Out of Africa, con quel magnifico e folgorante inizio: I had a farm in Africa, at the foot of the Ngong Hills. Avevo una fattoria in Africa, ai piedi delle colline Ngong. Forse pochi altri sanno, però, che il materiale più genuinamente autobiografico e crudelmente intimo e personale si trova in abbondanza nel corpus delle “Lettere dall’Africa”, che in Danimarca, molti anni dopo la morte della scrittrice, fu riorganizzato e editato. In Italia è stata una grande casa editrice, dalla solida tradizione intellettuale, la Adelphi, a farsi carico della pubblicazione di questo materiale di non facile accesso; ma di una bellezza struggente, e di un’eccellente profondità intellettuale.

Karen arrivò in Africa nel 1914; ne ripartì, definitivamente, nel 1931, senza più tornarci: queste lettere, scritte soprattutto alla madre, Ingeborg, ma anche al fratello Thomas e alla zia Bessie, edificano un cammino di profonda indagine personale e, insieme, tessono il più intenso (e fors’anche inatteso, per una bianca del profondo nord d’Europa) canto d’amore per una terra, quella africana, non certo accogliente e premurosa coi suoi conquistatori e colonizzatori.
Le lettere che accompagnarono questo suo viaggio africano sono frementi di passione, di orgoglio del proprio vivere, anche quando trasudano il dolore e la sofferenza prodotti sia dalla gestione fallimentare dell’attività, sia dai tanti problemi fisici che straziarono la sua esistenza (prima fra tutti: la sifilide). C’è anche una motivata e solida critica al fenomeno del colonialismo: Karen accusa, senza maschere né timori reverenziali, l’uomo bianco di star estinguendo la vera Africa, appropriandosi delle terre degli “indigeni” e cancellando, con una presunzione immotivata e sregolata, le loro tradizioni nel nome di una, chissà perché, presunta superiorità culturale (come non trovare delle tangenze con le amare considerazioni della Cialente sul fenomeno del levantinismo, nell’Africa mediterranea?).
Karen Blixen s’è salvata, con la scrittura: si è riscattata da un destino contrario e incattivito. Il peso della disfatta non l’ha gravata: perché non di disfatta si trattò. Ma di una lunga pagina di vita, approdata alla consapevolezza d’esser stata, per l’Africa, uno dei suoi figli prediletti. Tanto che (ancora oggi) un intero quartiere di Nairobi è stato battezzato Karen, col suo indimenticato nome.