Roma: Writing Solidarity, due giorni di scrittura per la solidarietà

Calcio e letteratura a sostegno di Nawal Soufi, l’attivista italo marocchina che ha dedicato il suo impegno a rifugiati, profughi e richiedenti asilo

ROMA – Italia, Germania, Svezia e Inghilterra: queste le quattro Nazionali Scrittori che si sfideranno per l’evento charity Writing Solidarity, in programma a Roma il 2 e 3 settembre 2023; fuori dal campo scrittori e scrittrici da tutta Europa terranno masterclass il cui ricavato sarà interamente devoluto per sostenere 100 famiglie di profughi. L’evento – organizzato da “Come si scrive una grande storia”, la scuola di scrittura e sceneggiatura di Francesco Trento – è volto a sostenere il progetto di Nawal Soufi, l’attivista italo marocchina che ha dedicato il suo impegno a rifugiati, profughi e richiedenti asilo. Scrittori e scrittrici da tutta Europa, registi e registe, sceneggiatori e sceneggiatrici, ma anche attori e attrici, si alterneranno sul palco del Teatro Garbatella per due giornate di talk e lezioni di scrittura, a cui si potrà partecipare in cambio di una donazione.

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Auxilia Onlus porta in libreria “La bambina con il fucile”, quando i ragazzi fanno la guerra

la-bambina-con-il-fucile_recensione-chronicalibriGiulia Siena
PARMA – Arriva in libreria La bambina con il fucile, storia vera di Pratheepa, ex bambina-soldato tamil restituita alla vita. Il libro è una testimonianza intensa – raccolta e rielaborata dalla scrittrice e ghostwriter Susanna De Ciechi – ed è stato voluto dall’associazione no profit Auxilia Onlus.

Doctor Max, Massimiliano Fanni Canelles, incontra Pratheepa in Sri Lanka. E’ il 2010 e questa donna dallo sguardo da bambina alla quale è stato tolta l’adolescenza insieme a qualsiasi sogno è detenuta in carcere. Ferita da quella guerra che doveva combattere, Pratheepa ha affrontato il dolore, ha guardato la morte negli occhi, le carcasse, le macerie, il dolore. Ha visto morire ogni cosa. Continua

Un viaggio all’insegna della solidarietà

 Silvia Notarangelo

ROMA – I motivi per intraprendere un viaggio sono tanti. Si può partire spinti dalla curiosità di conoscere luoghi e culture diverse, per puro divertimento, per fuggire o evadere dalla routine quotidiana. Tra le ragioni più nobili c’è, senza dubbio, il desiderio di aiutare chi ha più bisogno. Un’aspirazione condivisa anche da Mariella Carimini e Silvia Gottardi, due amiche inseparabili, unite dalla passione per i viaggi ma soprattutto dalla stessa sensibilità verso chi è meno fortunato.
donne al volante TRANSAFRICA” (Polaris) è il resoconto dettagliato e appassionante della loro ultima avventura, un’avventura sostenuta e incoraggiata dalla Gazzetta dello Sport.
Quando, più di due anni fa, le ragazze si sono presentate al quotidiano rosa con un progetto tanto lodevole quanto ambizioso, il giornale di Andrea Monti ha creduto in loro, conquistato da un sincero entusiasmo e dalla voglia di misurarsi con una “missione impossibile”. Da allora, da quel primo incontro, le due amiche hanno portato in giro per il mondo il nome della Gazzetta e del suo indimenticabile direttore Candido Cannavò.
Nel 2011 è scoccata l’ora della seconda missione: un viaggio attraverso l’Africa, da Milano a Cape Town, per un totale di 16.000 km. Destinazione ultima, la Casa del Sorriso Cesvi di Philippi, una struttura dove sono accolte donne vittime di violenza e malate di AIDS. È a loro che Silvia e Mariella hanno donato il ricavato del viaggio.
Dopo una crociera di otto giorni per raggiungere l’Egitto, ecco che il 1° agosto la nave sbarca ad Alessandria: per la rosa Land Rover Discovery, prontamente ribattezzata Gazzamobile2, è il momento di iniziare la Transafrica. Come ogni viaggio che si rispetti, non sono mancati imprevisti, contrattempi, incomprensioni ma anche piacevoli sorprese. Le giornate, lunghe e faticose, sono state dense di incontri ma anche di occasioni per riflettere e confrontarsi con realtà molto diverse.
A completare questo piacevole volume un ricchissimo apparato fotografico e alcune utili schede di approfondimento con notizie, curiosità e suggerimenti per ognuno dei sette Paesi attraversati dall’instancabile Gazzamobile e dalle due inarrestabili amiche.

Pietre scartate che diventano testate d’angolo

Stefano Billi
ROMA – Cadono i governi, le crisi economiche vengono e vanno, ma il problema della pena e della detenzione è una tematica che, ciclicamente, viene all’attenzione della società tutta. Perché il male esiste, e tanto più esiste la possibilità di commettere errori, magari anche gravi. L’umanità ha conosciuto tanti modi di affrontare quelle situazioni in cui un consociato decideva di allontanarsi dal rispetto dei valori sociali per commettere azioni illecite. Nelle notti più buie della storia sono state erette forche e ghigliottine, nel nome di un ignobile contrappasso che non ha mai tenuto conto della dignità della persona – anche laddove commetta comportamenti turpi – e che, inevitabilmente, non ha mai risolto seriamente la “questione criminale”. Però da un po’ di tempo – secoli oramai – la maggior parte dei cittadini crede di dormire sonni tranquilli, perché grazie alle carceri i personaggi più pericolosi della società sono ben allontanati da qualsivoglia contesto civile. Insomma, “chi sbaglia deve pagare” – così come piace dire ad una certa borghesia – e tanto meglio se i criminali vengano rinchiusi lontano dal mondo. Questa logica, dove il recupero del detenuto è del tutto assente (in barba anche al dettato costituzionale!), deve essere combattuta, in una società che voglia dirsi rispettosa dei diritti umani e delle intime spettanze dell’individuo. E l’opera lungimirante di Marco Rizzonato “L’incontro tra la persona disabile e il detenuto” Armando Editore – racconta di un’avventura riabilitativa che ha dell’incredibile. Infatti, il libro di Rizzonato offre numerosi spunti di riflessione su come il tempo che i detenuti debbano “scontare” in un penitenziario possa essere investito in maniera utile e formativa.

Al di là di utopistiche aspettative, Rizzonato regala ai lettori il resoconto di un’esperienza concreta avvenuta tra detenuti e disabili, che partita dalla casa circondariale di Torino ha poi toccato anche altri istituti di pena italiani. Cosa possono offrire le persone disabili ai carcerati? E, a loro volta, cosa possono offrire i carcerati alle persone affette da disabilità? In entrambi i casi non si tratta di una semplice esperienza di volontariato, ma piuttosto di un progetto che vuole trasformare due categorie di individui esclusi dalla società in uomini nuovi, dove sia riacquistata a pieno la consapevolezza dei valori sociali e l’importanza dell’altro. In fin dei conti, non serve a nulla scartare un uomo, renderlo un reietto, e poi ributtarlo nella società senza alcun investimento sulla sua personalità. Piuttosto, è l’impegno costante,la fiducia che gli altri ripongono in chi è scartato, che fanno di quest’ultimo un homo novus.

Attraverso il progetto descritto da Rizzonato, i disabili hanno potuto sperimentare cosa significhi essere d’aiuto al prossimo (ad esempio, insegnando ai reclusi il L.I.S. – linguaggio internazionale dei segni – e il Braille, ovvero l’alfabeto per i non vedenti). Dal canto loro, i carcerati hanno provato cosa significhi entrare in contatto con la purezza e il candore di cui i disabili sono portatori, e sopratutto quanto sia importante ricevere fiducia dagli altri. E così quelli che per tutti erano scarti, quelli che non rappresentavano nulla se non emarginazione, posso divenire o tornare ad essere “testate d’angolo”, come recita il Salmo 118 della Bibbia.
Pietre angolari per una nuova società, capace di  reinserire gli esclusi e di vantare una profonda sensibilità verso l’individuo, e verso una seria rieducazione.

"Papà Mekong", dove ancora si può scommettere sull’intima bontà dell’uomo.

Giulio Gasperini
ROMA –
Arduo è scrivere un romanzo che abbia come argomento i viaggi. Perché si rischia di essere pedanti, di scrivere inutili glosse, di voler dare troppe informazioni che pertengono più a una guida turistica che non a un prodotto di finzione narrativa. Corrado Ruggeri, consumato giornalista ed esperto viaggiatore, ha pubblicato per
Infinito Edizioni, casa editrice dalla vocazione del sociale, “Papà Mekong” (2011, collana Grandangolo), un libro che su questi due fronti (guida vs. romanzo) si dondola con misura e sobrietà.
È una storia, quella di “Papà Mekong”, che si orchestra tramite l’allacciarsi e l’intersecarsi di tante altre storie: tante individualità che, spesso gravate da un passato ingombrante e prepotente, si trovano a toccarsi, anche solo a sfiorarsi, in una progressione alla casualità che pare piuttosto un disegno geometrico del destino.

Silvia è la donna che trova un messaggio del padre, morto da anni, e principia a indagare nell’Oriente sulla vera persona del padre; Amina è la ragazza che attraversa un’infanzia difficile e spietata e trova conforto spirituale nel lavoro a Kalighat, dalle Missionarie della Carità, e conforto sentimentale tra le braccia del giovane dottore Peu; Pietro è l’uomo d’affari italiano con un passato oscuro, e un ancor più oscuro avvenire; Wong è la donna che si prostituisce per vivere, e rimane vittima innocente del suo primo e vero (quanto magari involontario) amore. Tutte storie nelle quali la lontananza gioca un ruolo fondamentale, e nelle quali in qualche caso si trasforma in un crudele addio, in altre sa evolversi e coniugarsi in un’attesa più pura e proficua.

Corrado Ruggeri né giudica né valuta. Soltanto, si fa burattinaio, abile tessitore di fili – in qualche caso fors’anche troppo prevedibili o esasperati – d’una vita che sa rifiorire anche in luoghi di dolore e di sofferenza, tra i lebbrosi della mitica Kolkata o tra i bambini orfani d’una terra martoriata da guerre inspiegabili. Su tutti questi travasi di sorte e su tutti questi frammenti di dolore domina quella che una giovane donna, ostaggio dell’odio immotivato, definì “l’intima bontà dell’uomo”: la capacità, cioè, di rendersi partecipi del dolore degli altri (la nobile compassione!) e di attivarsi affinché il dolore non rimanga soltanto una fotografia, una denuncia sterile, ma possa significarsi in un domani migliore, in un altro giorno che non sia manifesto di propaganda né pura retorica. E tutto questo Ruggeri lo fa mai scivolando nel sentimentalismo, in cui così facilmente si può sprofondare descrivendo storie come questa.
Forse l’autore esagera troppo le casualità, che sono chiamate a edificare un destino; ma il risultato (e il messaggio finale) si smarcano decisamente dalla fiction narrativa, per rappresentarsi indipendenti e per veicolare il messaggio più nobile di tutti: il rispetto d’ogni vita e d’ogni dignità, a ogni latitudine e longitudine.