“Piccolo Bestiario Indiano”: diario di un viaggio dal fascino esotico

Piccolo bestiario indiano_exorma_ChronicalibriGiulia Siena
PARMA – Tenetevi pronti, sta per cominciare un viaggio. Andremo in India e, per farlo, torneremo a qualche secolo fa per farci accompagnare da una guida d’eccezione, John Lockwood Kipling, padre di un celebre figlio, Joseph Rudyard, Premio Nobel per la Letteratura nel 1907. Il padre in questione, svolse un ruolo cruciale per la formazione – prima – e la produzione narrativa – dopo – dell’autore de Il libro della giungla. Insegnante d’arte, curatore museale (così come viene descritto in “Kim”, romanzo di J.R.), attento osservatore, pittore, decoratore d’interni e appassionato di scrittura, John L. Kipling si trasferì a Bombay nel 1865 e visse, poi, nell’attuale Pakistan, a stretto contatto con le tradizioni, il paesaggio, il popolo e gli animali del luogo. Continua

India d’avventura che affascina e incanta

Amica GangaGiulio Gasperini
AOSTA – La collana “Dentro l’avventura” diretta da Ambrogio Fogar per Rizzoli Junior aveva una caratteristica, sottolineata anche in quarta di copertina: “Questa collana nasce esperta, perché esperti sono i suoi autori. Chi scrive un libro di ‘Dentro l’avventura’ ha una caratteristica comune con gli altri autori della collana: è stato protagonista, almeno in parte, di quanto racconta”. Paola Fallaci è stata veramente in India, in particolare nella città di Benares – oggi chiamata Varanasi – per cogliere veramente la magia di quel luogo, così tanto di moda negli anni Settanta del secolo scorso.
E ha cercato di raccontarla ai lettori più giovani in questa avventura intitolata Amica Ganga (1980), in cui un ragazzino italiano, Antonio, che segue la madre in India alla ricerca del fratello maggiore scomparso, si trova al centro di un’avventura inconsapevole, durante la quale, accompagnato passo passo da una splendida ragazza che si fa chiamare Ganga, incontrerà e scoprirà tanti luoghi e tante fascinazioni di questa città santa, costruita rivolta ad est, sulla linea divina del fiume Gange. Continua

“Un barbaro in Asia”, in un Oriente di segni e devozioni

Un barbaro in AsiaGiulio Gasperini
AOSTA – Era il 1931 quando Henri Michaux, direttore della rivista “Hermès” e grande amico di vari surrealisti che frequentavano Parigi, compie un viaggio in Asia, toccando diversi paesi, dall’India a Bali, dal Giappone alla Cina. La sua esperienza di viaggio la possiamo oggi leggere in Un barbaro in Asia, edito da OBarraO Edizioni, con una prefazione di Marco Dotti.
Quelle di Michaux non sono considerazioni di semplice viaggio, ma sono annotazioni antropologiche ed etnografiche, sono osservazioni puntuali e profonde che ci restituiscono un’immagine inedita e spesso “diversa” di quella a cui siamo soliti pensare quando parliamo di Oriente. Un’India, una Cina, un Giappone, ma anche un Ceylon e una Malesia che Michaux ha osservato con l’emozione viva di uno “scopritore”, con l’entusiasmo di chi, per la prima volta, dovrebbe assegnare un nome agli eventi, ai comportamenti, in una sorta di battesimo che ha persino, in qualche caso, l’afflato fremente della creazione. Continua

“Sotto i ponti di Yama” per trovare (e capire) la vera India.

Giulio Gasperini
AOSTA – Calcutta – oggi Kolkata – è forse la città più emblematica dell’India: modernità e tradizione, cultura e morte, degrado e libri, lebbrosari e scintillanti palazzi di multinazionali la rendono una città dalle contraddizioni estreme e dai conflitti dilanianti. Il grande grattacielo della TATA Motors e il fiabesco grand hotel Oberoi si affiancano, con stridente contrasto, agli ultimi rickshaw-men, che cercando di guadagnare poche rupie contando solo sulla forza delle loro gambe e sulla resistenza dei polmoni, e ai malati e lebbrosi che vivono sui marciapiedi, che muoiono tra i passi distratti della gente.
Come si può capire l’India? La domanda è feroce, violenta; è una domanda che non ha immediata risposta, perché l’India è un caleidoscopio di violente contrapposizione, geografiche e sociali, linguistiche e etniche, sociali e culturali. È un complesso sistema di equilibri e maturazione, di evoluzione e antichi riti di tempi remoti.
Salvatore Bandinu ci ha trascorso alcuni mesi, nell’India dalle molte anime. E ha raccontato la sua esperienza e considerazioni in un volume edito da Arkadia editore nel 2012: “Sotto i ponti di Yama” è più del resoconto della sua esperienza da occidentale a Kolkata, ma vuole diventare un tentativo di discutere e meditare alcuni considerazioni sulle facce del sub-continente indiano, che col suo miliardo abbondante di esseri umani sta diventando il paese più popolato al mondo e col suo aumento del 7 % del PIL nel 2011 si sta affermando come una delle potenze economiche del pianeta, anche se un po’ anomala.
Salvatore Bandinu è partito per l’India con l’obiettivo di fare il volontario, in una delle strutture create a Kolkata da Madre Teresa e oggi gestite dalle Missionarie della Carità, le suore in sari bianco orlato di blu. L’incontro con l’India è allucinato e allucinante: lo spaesamento si affianca a conoscenze profonde e situazioni emozionanti, nelle quali la componente intima e umana viene costantemente e profondamente sollecitata, nelle quali entra in conflitto, nelle quali spesso corre il rischio di contraddirsi e di inficiarsi. La logica umana, spesso, in India, viene messa a dura prova, soprattutto una logica che non ha esperienze né coraggio e non tiene conto delle differenze di mondo e di società.
La scoperta dell’India, per Salvatore Bandinu, corrisponde a una scoperta dei meccanismi che la muovono e la regolano. La volontà del fare si scontra con le domande, coi dubbi, con la crisi personale che sempre ci coglie quando ci si accorge che, tutto sommato, siamo più che superflui, e che le nostre azioni rischiano di perdersi nell’inutilità. Sicché la ricerca, per Bandinu, si fa più aspra e difficile, fino a rendersi conto, quasi in un’illuminazione, che non è possibile far fruttare la sua esperienza sul suolo indiano se non cercando di dare una grammaticalizzazione alla “sovra-struttura” indiana. Ma il dubbio – se si possa conoscere l’India, passandoci per di più solo poche settimane – alla fine del libro non ha ancora trovato risposta.

La pace nel fiume

sidStefano Billi

ROMA – Alcuni sono convinti che esistano libri belli e libri brutti. O meglio, che alcuni libri siano più belli di altri. Come dar loro torto?

E’ innegabile che ci siano dei testi che sanno emozionare ogni uomo nel suo io più profondo, e che inoltre sappiano far aprire gli occhi al lettore. Perché l’individuo del nostro tempo spesso non vede, o vede male. E anche se osserva il mondo, spesso non lo capisce.

Ecco che allora la letteratura – quella che eleva lo spirito – diviene il faro che rischiarai giorni bui, il grimaldello che scardina la volgarità culturale che accompagna questo tempo di crisi di valori.

All’interno di quella letteratura, fulgido esempio è “Siddharta”, insostituibile romanzo di Herman Hesse, edito in Italia da Adelphi.

A voler dare una descrizione sommaria del libro, si potrebbe riassumerlo nella storia di un giovane indiano che fatica a trovare il senso della propria esistenza. Ma questa sarebbe davvero una descrizione sommaria, e sicuramente riduttiva.

“Siddharta” è qualcosa di più: è la narrazione dei profondi travagli interiori di un uomo, che scopre la fragilità della sua purezza giovanile, che sperimenta il dolore provocato dalla perdizione morale.

Adolescente in cerca del sapere profondo, il protagonista della vicenda – il cui nome rispecchia il titolo del racconto – lascia la casa del padre per diventare adulto, ma al passare degli anni non corrisponde una simultanea crescita della coscienza, e così Siddharta assaggia il sapore amarissimo del fallimento, della mancata realizzazione di quello che si sarebbe voluti essere.

Ma proprio sull’orlo del declino, il protagonista ritroverà se stesso, segno che il cammino verso la saggezza è lungo ma raggiungibile, al volenteroso che lo intraprende.

Herman Hesse crea così un romanzo indimenticabile, la cui lettura riesce a forgiare soprattutto gli animi dei giovani. Difatti, attraverso le pagine immortali di “Siddharta”, proprio i ragazzi possono capire tutto il disagio di chi ha smarrito se stesso, in cerca di un’emancipazione che poi si è rivelata soltanto un abbandono della propria purezza. E così “Siddharta” può educare il lettore a comprendere se stesso, ascoltando il rumore del fiume e del mondo, che poi è il senso della rinnovata meditazione del protagonista della storia. Allora davvero si fa chiaro come anche un barcaiolo, un umile personaggio fluviale, possa diventare un maestro che spinge alla profonda meditazione sul senso della vita.

Asciutto nei dettagli, ma chiarissimo nella sua scrittura, questo libro merita comunque di essere letto, a qualunque età, perché ha il grande merito di lasciare una sensazione di appagante serenità. Quella stessa letizia che è cardine delle filosofie orientali e in particolar modo della religione buddista, sottofondo di tutta la vita del protagonista.

“Siddharta” è uno di quei bei libri che andrebbero assolutamente letti, ed auspicabilmente riletti, come una tappa fondamentale nella vita di ogni uomo. Perché non ci si improvvisa adulti, né tantomeno si cresce solo dal punto di vista anagrafico. Proprio per questo Herman Hesse ha regalato all’umanità una storia di crescita interiore. Proprio per questo, tra le tante cianfrusaglie che circondano i vasi degli alberi di Natale, “Siddharta” può rappresentare il dono più straordinario che si possa ricevere.