"Patologie"- male di vivere nella poesia della Maremma

Marianna Abbate
ROMA Lo conosco troppo bene questo poeta per essere veramente oggettiva. E’ mio amico. 
Lo conoscono, seppure forse un po’ meno, anche i più affezionati lettori di ChronicaLibri: è l’autore più proficuo della nostra rubrica vintage. 

Il suo libro ce l’ho da mesi. E da mesi non ho il coraggio di recensire le sue parole, pubblicate nella collana Nuovi talenti della casa editrice Dreams Entertainment. 
Pertanto, pur di ritardare il fatidico momento, spenderò qualche riga nel raccontarvi di lui.
Giulio è un poeta. Per questo motivo è veramente insopportabile-lunatico e folle. Perennemente sofferente, di qualche “patologia” ormai cronica e decisamente inguaribile. Eppoi è un ragazzo intelligente, solare e di nuovo completamente folle, che lo rende una delle persone più belle che io conosca.
Ebbene sì, il poeta lo sopporto poco, anche per questo temevo di leggere le sue poesie. E soprattutto temevo di recensire questo volume. 
Ma poi mi basta leggere la dedica in prima pagina, per sorridere e lacrimare. C’è scritto: perché ti adoro. Sappiate che non è del tutto vero (certe volte penso che gli smiley entreranno a forza nei miei articoli, perché in questo punto ci sta veramente benissimo una linguaccia), e che a volte mi odia anche lui. Come diceva Catullo: odi et amo.
Ma torniamo a noi. Il libro si presenta bianco e fino, provvisto di immagini, i dipinti di Paolo Cimoni, compaesano caldanese dell’autore.
E poi ci sono le poesie. 
Tra le prime una dedicata alla sua terra, Caldana, una cittadina medievale della provincia di Grosseto. La poesia profuma.
Poi una dedica a Sandro Penna, con una speranza che non c’è mai stata fuori dalle sue righe. 
E poi c’è della poesia aggressiva, delle righe volgari e altre malinconiche. Alcune parlano d’amore, e forse neanche lo sanno.
Ci sono persino delle rime, e qualcosa che assomiglia alla Szymborska nell’immagine di una coppia presa da un cellulare in un bar.
Ma quello che mi è piaciuto di più è l’enjambement precipitoso, che spezza il senso e il tono così in linea con il tema in “Io goccio”, e che distrugge ogni equilibrio nella poesia che inizia con le parole “Piove l’ultimo autunno…”. Un senso di precarietà che ricorda molto la poesia che Ungaretti dedicò ai soldati.
I brani migliori sono quelli che rasentano la prosa poetica, in un linguaggio colto, musicale, ma accessibile. 


Solitudine
Sto solo – 
appoggiato a un precipizio
di suono.

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