“Un mondo a parte”, quando il lager si chiama gulag.

Marianna Abbate
ROMA – Ho pensato a Gustaw Herling questa mattina a Napoli. Un autore che mi è particolarmente caro, dal momento che viene dalla mia amata Kielce, la città d’origine di mia madre. L’ho pensato a Napoli, perché dopo il dramma della sua vita è venuto proprio a Napoli, dove ha sposato la figlia di Benedetto Croce e ha avuto una figlia, vivendo i suoi anni felici circondato dagli intellettuali napoletani.

Ho avuto l’occasione di conoscere sua figlia in un incontro per la dedica della scuola polacca di Roma alla memoria del padre, e con mio immenso sgomento scoprii che non parlava il polacco.

Ma in questa mattina di sole, il mio ricordo va a quelle pagine che lessi con sgomento e disagio, anni fa. Una lettura obbligatoria, durante i miei studi di polacco- pubblicata in Italia da Feltrinelli, per la prima volta nel 1958, con il titolo “Un mondo a parte“, anche se la traduzione letterale dovrebbe essere: un altro mondo, o un mondo diverso.

Non sto qui ad enumerarvi i singoli fatti che non mi lasciarono dormire per lungo periodo. Vorrei soltanto condividere quel disagio appunto, quella tristezza che ho provato nel comprendere come i sentimenti umani siano fragilissimi e soggetti all’estinzione.

L’autore ammette di non aver descritto realmente tutti i fatti di cui è stato testimone, ma di aver mantenuto il rispetto per il verosimile. A mio avviso, aver romanzato alcuni elementi nel suo racconto, gli ha permesso di esorcizzare immagini che lo avrebbero comunque perseguitato fino alla morte.

Atti disumani, come la violenza di gruppo, compiuta su una donna con il tacito assenso dell’amante, che non voleva mostrarsi debole davanti al gruppo, erano all’ordine del giorno. E, ora, con il senno di poi – non mi stupisce che Herling non abbia voluto insegnare alla figlia il polacco, la lingua che lo ricollegava al dolore – a quella patria perduta per sempre, a quelle ferite putride dell’anima che quel mondo a parte ha lasciato in crudele eredità.

Leggete, fate leggere e raccontate; è l’unica arma che abbiamo contro il mondo che ama dimenticare.