“Il signore è servito”: storia di un ménage-à-cinq.

Il signore è servitoGiulio Gasperini
AOSTA – È la storia di un ménage-à-cinq, questo “Il signore è servito” di Barbara Alberti, edito nel 1983 da Arnoldo Mondadori Editore. Un ménage-à-cinq, in realtà, più complesso di quanto la definizione non faccia intendere. Perché oltre alla sfera sessuale, piuttosto sublimata, presunta, comunque descritta in sottrazione, ci sono masochismo e sadismo, violenza e sottomissione, sublimazione e affascinazione, malia e magia.
A raccontare la vicenda è il “servitore”, alla maniera di un Leporello contemporaneo che tiene aggiornato il catalogo delle conquiste del suo padrone. Un servo fedele, che solo in vecchiaia decide di dedicarsi alla stesura dei suoi ricordi, per non farli finire nell’oblio e rassegnarli alla dimenticanza. Il servo, in realtà, è da sempre innamorato del padrone, del grande attore Ruggeri; ma non ottiene nulla da lui, se non la possibilità di rimanergli vicino occupandosi dei suoi affari. Assistenza che ben presto diventa morbosa curiosità, quella un po’ tipica di tutti i maggiordomi. Grazie alle sue capacità di voyeur, il servo riesce a non farsi scappare (quasi) nulla di quello che accade nella villa. E (quasi) nulla della complessa storia di amore-persecuzione che tra quelle mura si squaderna prepotente.
Il signore è omosessuale, con una predilezione per i giovani ragazzi. Che arrivano in grande quantità, nelle sue stanze. Ruolo di primo piano lo avrà il ragazzino Tom, che tiranneggia il signore e lo piega a tutti i suoi progetti. Ma poi entra in scena “la russa”, che ha un marito tiranno e geloso. Lei si innamora di Tom, ma Tom si diverte a non amarla, soltanto per tenerla in ostaggio con l’idea di un amore che sia solo tensione attrattiva ma mai compimento dell’atto. E, sullo sfondo, si muove Enrico, il nuovo “passatempo” del signore, che tutti considerano una nullità ma che sarà il più potente tra tutti. Perché amerà tutti, dell’amore più crudele, che è quello che si utilizza per usare gli altri. E poi c’è il servitore, sempre di sottofondo, che si concede le sue scappatelle, le sue imboscate d’amore, ma che segretamente è attratto da tutti, e ne fa pensieri impuri. Ma non c’è nulla di impuro, in questa storia. È un percorso di nobilitazione e sublimazione degli impulsi più primitivi e primordiali, che nella maggior parte dei casi gli uomini reprimono e finiscono per ammalarsene.
Barbara Alberti è scrittrice che ama raccontare l’amore nelle sue sfaccettature più recondite, anche più spaventose. Non la fenomenologia più diretta ma quella più abissale, più ripida, più oscura. Converte le atmosfere più prevedibili in mosaici non disordinati ma inusuali, creando nel lettore uno straniamento che infierisce, crudelmente, sul buonismo della pianificazione preconcettuale. Un gioco semplice, che lei riesce a portare avanti con estrema perizia e abilità, e con uno sguardo divertito, con un sorriso ironico sulle labbra, come a dire al lettore “guarda un po’ cosa ti combino adesso!”. Ed è questo, senza dubbio, il motivo che ce la fa amare.