Luca Vaudagnotto
AOSTA – “Occorre vedere, non inventare”. Con questa citazione precedente il frontespizio si apre La stella del vespro, uno degli ultimi lavori di Colette, tradotto per la prima volta in italiano da Angelo Molica Franco e pubblicato per i tipi di Del Vecchio Editore in un’elegante e raffinata veste grafica, rosa con una punta di nero, reminescenze della migliore Chanel e della sua città-simbolo, Parigi.
Ed è proprio lo sguardo, la capacità di osservare i dettagli, la grande lezione di Colette: la sfumatura particolare di azzurro che tingeva le pareti dell’appartamento di Hélène Picard, la piega della fronte del giornalista che la intervista, l’usura e la consunzione del bracciolo della sedia su cui la scrittrice lavorava e le trame che ne fuoriescono o ancora il guazzabuglio di capelli ribelli in testa a una sua amica. Continua
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