“La felicità sta in un altro posto”, sempre.

1706723_0Marianna Abbate
ROMA
 La vita ha la brutta abitudine di cambiare rotta repentinamente, senza avvertire, per poi farti guardare allo specchio e vedere un’altra persona. È così che Caterina, da educanda delle suore calabresi, in una sola notte di terremoto naturale e interiore, è diventata Mimì, la puttana di un infimo bordello napoletano. È lei, in entrambe le vesti, la protagonista di “La felicità sta in un altro posto” di Sara Loffredi edito da Rizzoli.

 

Siamo nel 1908 e in questo bordello ha luogo l’iniziazione al mestiere, un evento traumatico che segnerà per sempre la sua esistenza. Ma Caterina non si piange addosso, le ambizioni non l’hanno abbandonata. La ragazza, che ancora non si riconosce nel ruolo assunto, capisce presto che rimanere in una casa di piacere di pessima qualità non potrà giovarle in alcun modo. Decide, così, di iniziare una scalata sociale nel mondo della prostituzione, incontrando Donna Luisa, la maitresse di una casa di piaceri di alto livello.

Mimì non è ancora adatta a intrattenere clienti di un certo tipo, per questo passa una complessa formazione – che ricorda un po’ quella dell’Imperatrice Orchidea di Min Anchee – grazie alla quale qualcosa cambierà, sarà in grado di gestire al meglio non soltanto le relazioni con i clienti, ma soprattutto le proprie emozioni.

Prima Donna Luisa e poi Mariasole, la guideranno come dei Pigmalione modello, insegnandole tutto quello che sanno. Ma sarà poi la stessa Mimì a dover comprendere a fondo quali siano le scelte giuste, e se dar retta al proprio cuore sia proprio così sbagliato.

Sara Loffredi, al suo esordio letterario, ha dato vita a una storia in cui desiderio e bisogno di sopravvivenza si mescolano. “La felicità sta in un altro posto” è ben scritto, a tratti introspettivo, a tratti drammatico, sempre inevitabilmente rosa, senza mai essere volgare. Un interessante dipinto di un’epoca lontana, pur sempre molto attuale, nella tematica morale della compravendita del sesso.