Quando il mondo crolla “Salta, corri, canta!”

Marianna Abbate
ROMA Un campo di concentramento dal nome impronunciabile e maledetto. Capelli, scarpe, valigie e ricordi. Solitudine, terrore, fame. E poi, quando non sai più cosa fartene, la salvezza. La Libertà.

Il ritorno al tuo paese; e magari un figlio.

“Salta, corri e canta!”, il nuovo romanzo di Lizzie Doron per La Giuntina è anche questo. Ne ho letti veramente tanti, di libri sulla vita nei campi di concentramento. Ma veramente pochi sulla vita dopo i campi. Come se tutto quello che c’è da raccontare finisse lì, dietro il filo spinato. Come se quella auspicata libertà, non fosse valida nemmeno a occupare una riga delle memorie di una vita.

Eppure la vita è arrivata. I cancelli si sono aperti e ci sono stati quelli che sono tornati alle proprie tiepide case. Ma quelle case non erano più tiepide, non erano più sicure. Nella notte comparivano davanti agli occhi i capelli biondi delle SS. Ogni grido, ogni rumore improvviso, faceva balzare dal letto. E ogni tanto tornavano i ricordi delle persone amate. Polverizzate.

La vita dopo il campo, non ce la racconta un sopravvissuto. Ce la racconta sua figlia. Una bambina degli anni ’50 a Tel Aviv.

Una bambina col desiderio di giocare, di essere uguale agli altri- di avere un papà; o almeno di avere una storia da raccontare su di lui.

Ma quel papà è stato nel posto innominato, e poi se ne sono perdute le tracce per sempre.

 

L’autrice ci accompagna nel percorso della sua memoria, per rintracciare quei segni, quei segnali impercettibili, che la aiuteranno a comprendere e a scoprire il dolore degli adulti di ieri.

Un viaggio avvolto di mesto mistero, di triste allegria infantile e di rimpianti. Nel sottofondo aleggia ancora quell’aria di terrore che ricompare nelle maledizioni gettate al vento. Con quelle ferite putride nell’animo, che non guariranno mai.

Non ne ho letti molti di libri sulla vita dopo i campi.

Peccato.