Alessia Sità
ROMA – Eventi, persone e pensieri. Sono questi gli elementi fondamentali attorno a cui ruota “Tapinambour”, il romanzo di Ezio Dadone edito da Altromondo nella Collana Iride.
Sullo sfondo di una Torino dalle mille sfaccettature si fondono tre realtà che solo in apparenza non hanno nulla in comune.
L’esistenza di Marcella Montefiorini, giovane ingegnere edile impiegata presso l’ufficio del Comune, si intreccia casualmente con quella di Giacomo Nicolosi, un metalmeccanico dal profondo orgoglio personale. Ben presto nella loro vita si insinua una realtà misteriosa e allo stesso tempo affascinante, un mondo al quale ognuno gurada con occhi diversi, quello Rom.
Nonostante la diversità e la distanza che separa il mondo di Marcella da quello di Giacomo, il lettore riesce comunque ad affezionarsi a entrambi esattamente allo stesso modo.
In “Tapinambour”, non è semplice cogliere il fil rouge che unisce i personaggi e le loro diverse vicende, che da individuali lentamente diventano fatti globali, anzi storici.
Con uno stile elaborato, denso di metafore e attento a ogni sfumatura, Ezio Dadone affronta una tematica delicata e molto attuale, quella del popolo Rom.
“Tapinambour” è un romanzo che smuove le coscienze e che ci offre molti spunti di riflessione su una questione molto dibattuta e talvolta poco approfondita.
Sobrio,linguisticamente elaborato,poiché scorrendo le pagine ritroviamo anche l’uso di allitterazioni e citazioni letterarie,analitico nei dettagli,a volte quasi ermetico per l’abbondanza di metafore,così qualificherei lo stile con cui è scritto Tapinambour,ultima creazione di Ezio Dadone.
A fare da scenario al romanzo è la città di Torino,vista nelle sue mille sfaccettature,da cui emergono tre realtà.
Da un lato quella borghese-perbenista a cui appartiene Marcella Montefiorini,ingegnere edile,impiegata all’ufficio tecnico del comune,persona che dalla vita ha sempre trovato tutto facile,di riflesso quindi egoista per natura e miope verso il resto del mondo.
Dall’altro quella del duro lavoro di fabbrica del metalmeccanico Giacomo Nicolosi,che descriverei come un eclettico curioso,coraggioso ma anche molto orgoglioso,fin dalla nascita.A tal proposito mi torna alla mente la descrizione in cui da piccino,dopo aver ricevuto in dono “Il piccolo elettrico”inizia ad ingegnarsi con zelo e dedizione per creare energia elettrica e quanto la bocciatura del padre per l’esperimento non riuscito gli sia bruciata per anni a conferma di come già allora fosse caratterizzato da una personalità incapace di perdere.
In ultimo,ma non per importanza,troviamo il misterioso mondo Rom,che per certi versi affascina e per altri spaventa.
Apparentemente,ad una prima lettura frettolosa,questi mondi possono sembrare distanti,incongruenti l’uno con l’altro,addirittura può risultare quasi fastidioso cercare il leit-motiv che li leghi,invece con una lettura ragionata si scopre come dopo un fatto drammatico queste vite si intrecciano,si stravolgono talmente tanto a vicenda che,come dice bene l’autore:”…A un certo punto si spalanca una finestra sul mare increspato dal cattivo umore dell’inverno e quell’ubriacatura che fa presumere le cose che si stanno facendo come se fossero piuttosto importanti,come se servissero davvero a molti,è svanita.”
Ogni vita che viene raccontata è psicologicamente densa,deve essere sviscerata nel suo esistere poiché ritengo nasca dalla consapevolezza che la realtà è romanzesca,è un groviglio di causali che debilita la ragione stessa,in cui spesso non si riesce a mettere la parola fine,perché si aggiunge sempre un nuovo tassello,infatti,non a caso,Dadone lascia un finale aperto.
Tuttavia,in un gioco di vorticosa simmetria l’equivalente luogo della scrittura che alleggerisce situazioni e drammatiche,e divertenti è la sua dissoluzione azzarderei a volte quasi parodica.
Per questi aspetti di scrittura e similitudini con la vita del suo autore accosterei Tapinambour ai romanzi del prestigioso e poliedrico Ingegner Gadda,senza però ritrovare in esso espressioni del gergo dialettale.
Queste poche righe non hanno assolutamente la presunzione di fare della critica letteraria,dato che non conosco la poetica di Dadone,vogliono semplicemente lasciare una traccia,magari per qualcuno un po’ noisa,fornire delle impressioni soggettive su un’opera a cui mi sono avvicinata per pura curiosità verso il titolo un po’ buffo e su cui penso fermamente ci sia ancora molto da dire e da scrivere poiché è ancora giovane,”in fieri” nel panorama letterario contemporaneo,ambiente in cui anche le migliori fatiche letterarie non sempre sono capite e apprezzate nell’immediato,ma riscoperte e quindi rivalutate negli anni.
Ad Ezio Dadone il mio sincero augurio di meritato apprezzamento di pubblico.
A tutti coloro che vorranno dare anche solo una sbirciatina al testo il personale consiglio di non limitarsi ad una lettura superficiale tipica del ciarbottar di porta delle comari,ma di assaporare le pagine con calma,solo così riusciranno a coglierne la vera essenza.
Termino con il bel quesito posto nella conclusione dall’autore,che mi auguro smuova le coscienze a riflettere,pur non leggendo Tapinambour:”Chi è che,almeno una volta nella vita,non trova un buon motivo per gettare al vento un luccicone?”
commento interessante, direi una vera e propria recensione! :)è bello sentire il parere dei lettori