Leggi che fanno ridere e sentenze che fanno piangere dal ridere

Stefano Billi
ROMA – Che l’Italia sia un popolo non solo di santi, navigatori e poeti, ma anche di legislatori, questo i cittadini lo sanno bene. Perché in Italia di leggi ne sono state approvate moltissime, così tante che si è addirittura addivenuti a coniare il termine dell’ipertrofia normativa, proprio per indicare l’incredibile ammontare di regole di condotta a cui devono conformarsi i consociati. Ed è quasi lapalissiano riconoscere che tra quella moltitudine di norme, talune manifestino un contenuto irrilevante per la società a fronte dei cambiamenti socio-culturali occorsi nel tempo all’interno della realtà nazionale.

Di questo, e di alcune determinazioni creative della giurisprudenza italiana, si occupa il libro intitolato “Bestiario giuridico 1. Leggi che fanno ridere e sentenze che fanno piangere dal ridere”, scritto da Giuseppe D’Alessandro e pubblicato dalle edizioni Angelo Colla. Questo testo ha la caratteristica di avvolgere l’autore in un raffinato clima umoristico, che lascia sorridere di fronte a leggi e sentenze dai contenuti spesso esilaranti. Dimostrazione questa che il diritto non è una campo del sapere arido e sterile, ma piuttosto assolutamente vivo, dinamico e talvolta divertente. Tra le pagine, dunque, prendono voce numerosi esempi della creatività legislativa e giurisprudenziale italiana, tutti elencati con una precisa attenzione dell’autore nella citazione delle fonti giuridiche inserite nell’opera. Non solo, perché Giuseppe D’Alessandro riporta pure le bestialità che in campo normativo affliggono l’ordinamento europeo.

Insomma, questo “bestiario giuridico” descrive quali e quanti mostri traggono vita nel panorama della creazione del diritto e della sua applicazione, lasciando intendere tra le righe tuttavia che in molti casi, di fronte alla richiesta di giustizia, il cittadino trova solo la dura ed implacabile legge.

Un libro consigliato a tutti, non solo ai cultori delle materie giuridiche, perché – parafrasando un celebre brocardo latino – il diritto è anima e struttura della società in cui viviamo.

Le "parole in un orecchio" di Genuzio Bentini

Stefano Billi

Roma – Nell’epoca dei blog, dei podcast scolastici, e perfino delle lezioni universitarie impartite per via telematica, ritrovare tra gli scaffali un antico libello impolverato, che si prefigga l’obiettivo di dar consigli “alla vecchia maniera”, è davvero cosa rara. Ancor più strano è l’evento, se si considera che il libro in questione vuole suggerire alcuni consigli professionali ad un “giovane collega”: strano, appunto, perché oggi di consigli sinceri è difficile trovarne, in un’epoca dove l’apprendimento dell’etica professionale è rimandata ai soli corsi filosofici o teologici.
Forse, l’arcano trova spiegazione nella circostanza che questo testo è particolarmente datato, addirittura risalente al 1935.
Ai tempi, le generazioni passate spendevano ancora qualche energia per guidare i più giovani ad essere uomini e professionisti migliori.
Così come è testimoniato dall’opera di Genuzio Bentini, intitolata “Consigli ad un giovane avvocato. Parole in un orecchio”, edito – originariamente – dalla casa editrice La Toga e a tutt’oggi rinvenibile in argute ristampe, realizzate da alcuni ordini forensi provinciali.
Queste pagine, indirizzate dunque ad un ipotetico giovane avvocato, se da un lato rappresentano un utilissimo vademecum per chi si avvia ad esercitare una delle professioni più difficili al mondo, dall’altro offrono numerosi spunti di riflessione anche a tutti coloro che non sono appartenenti all’avvocatura.
Difatti l’opera, nel dispensare consigli inerenti la vita professionale forense, regala anche validi suggerimenti su come migliorare le proprie abilità oratorie e di relazione con il pubblico (per citare solo uno dei molteplici temi di interesse).
Parole sussurrate in un orecchio, perché sono “piccole e sottili, che a dirle forte si romperebbero e volerebbero via”, come sottolinea lo stesso Bentini.
Parole che tuttavia sono preziosissime, perché – per dirla alla maniera di Wolfango Valsecchi, autore della prefazione al testo – esprimono una passione “che rompe le file”.
Parole che condensano tutta l’esperienza di una vita spesa a esercitare nei fori, onorando quella toga che è baluardo della difesa, lontana da quella stolta credenza popolare che la riduce a mero straccio per nascondere i fuorilegge.
Poche pagine, per un libro che vale davvero la pena scovare nelle più remote bancarelle letterarie, o negli archivi impolverati delle più lontane biblioteche.
Righe centellinate, da cui estrarre inestimabili valori, difficili da rintracciare – a tutt’oggi – in altre opere contemporanee.
Soprattutto in un momento di crisi, economica ed etica.
Ma (e qui vale sicuramente la briga ricordare il già citato Valsecchi) “le crisi come fanno a venire se ne vanno: in fondo sono come i raffreddori”.
Basta avere con se le medicine giuste.