Lunga è la notte, il romanzo di una storia vera
Giulia Siena
PARMA – “Alla fine, la mia vita è stata serena. Semplice, forse persino banale, ma serena. Non ho bisogno di andare a rivangare vecchie storie. Alla mia età, non chiedo altro che di vivere in pace gli ultimi anni che mi restano. Pochi, a dire il vero, molto pochi. Ho settantotto anni. Non posso viverne molti di più”. Una storia sepolta dalla polvere degli anni; un paese lontano, un vociare confuso, donne e uomini votati al lavoro e al sacrificio; una sera come tante, un bambino come tanti. “Ora ricordo. Ricordo perfettamente quello che avvenne quella sera”. Un barlume di consapevolezza e lucidità attraversa Mimmo, lui che a quella faccenda non aveva più pensato, lui che era solo un bambino a cui vennero sottratte le carezze che sua madre amava serbargli. Eppure quella vicenda torna alla sua memoria come un boomerang, come un calcio sferrato a tradimento.
Marinette Pendola in Lunga è la notte (Arkadia Editore) intesse un romanzo basato su una storia vera, un femminicidio, avvenuto negli anni Trenta a Bir Halima, un piccolo paese dell’Africa Settentrionale. L’autrice, nata in Tunisia da genitori siciliani, conosce la ruvidezza e le difficoltà di chi è dovuto emigrare per lavoro e necessità in un paese straniero. Da questo paese Marinette ci porta un aneddoto divenuto romanzo: tra le piccole case del villaggio, una donna viene uccisa. Da allora Mimmo non ha più pensato alla vicenda, ora si trascina solo nella sua casa di Bologna; sono passati molti anni, non ha più nulla da chiedere alla vita, eppure quella vecchia scatola contiene qualche immagine del tempo che fu. Era un bambino quando un colpo da arma da fuoco colpì quella donna e cambiò le sorti di una famiglia, di una comunità. Carmelina piangeva disperata, suo padre era nei campi, sua zia Tanina lo aiutò a crescere, ma la vicenda rimase un mistero. Tutto divenne dimenticanza. Fino ad ora.
Lunga è la notte è il tentativo di rimettere insieme i pezzi della memoria, concludere una storia di lacerazione e perdita. Una corsa a ritroso mentre il tempo ha costruito distanza, cinismo, rassegnazione. Marinette Pendola, con una scrittura delicata e concitata, percorre gli anni, i sentimenti, i luoghi; il lettore è accanto a lei, segue le dinamiche e ne ripercorre le evoluzioni.
Di mia madre non ricordo niente. Non so di che colore avesse gli occhi, come portasse i capelli, se corti com’era di moda allora o lunghi e stretti in un concio come usavano le donne all’antica, se indossasse abiti scuri o le piacessero quelli allegri. Non so dire se era taciturna o loquace, gentile nei modi o sbrigativa. Nessuno mai mi ha parlato di lei, nessuno che abbia tenuto vivo il suo ricordo. E’ come se, insieme al suo corpo, fosse stato sepolto tutto quello che la riguardava. Scomparsa dal nostro mondo, cancellata per sempre. E ora, solo ora, per la prima volta dopo tutti questi anni, ecco che mi torna in mente.