“Fratelli”, se le strade possono dividersi

fratelli
Silvia Notarangelo

ROMAElisabeth e Uli sono fratello e sorella. Sono cresciuti insieme in un paesino della Germania Orientale, si sono sostenuti a vicenda, hanno condiviso momenti difficili e creduto negli stessi ideali. La vita li ha messi di fronte alla Guerra, alla divisione del loro Paese in due mondi incompatibili, dove, inevitabilmente, si deve scegliere da che parte stare.
Fratelli”, il romanzo di Brigitte Reimann (Voland), racconta la loro storia. Una storia appassionata, poetica, a tratti malinconica, che corre sul filo sottile dei sentimenti.
Il rapporto tra i due protagonisti è fatto di complicità, battibecchi, gelosie e tensioni che la Reimann riesce sapientemente a ricostruire. Intensa e incalzante, la narrazione procede sovrapponendo presente e passato.
È Elisabeth, in prima persona, ad abbandonarsi ai ricordi, quando lei e Uli giocavano a Hänsel e Gretel, quando le strade erano attraversate dai carri armati, quando per la prima volta aveva varcato le soglie del kombinat per dedicarsi alla sua vera passione, la pittura.
Il presente, invece, ci porta al 1960, alla Pasqua di quell’anno. Come sempre, fratello e sorella si ritrovano nella loro vecchia casa per trascorrere insieme le feste.
L’atmosfera è allegra, forse troppo. E, infatti, proprio come “un’ombra che il pomeriggio d’estate oscura il sole”, ecco che su Elisabeth piomba un’inaspettata confessione. Uli ha deciso: si trasferirà a Ovest, ad Amburgo. Per lei è un colpo durissimo. Quella che, almeno superficialmente, potrebbe sembrare una reazione prettamente emotiva, in realtà nasconde tanto altro. A poco a poco, tra i due, si apre una voragine. Lo scontro è duro, serrato. Allo sconcerto e alle emozioni dell’una si oppongono le lucide e rassegnate argomentazioni dell’altro.
Elisabeth è un’idealista, una “piccola sognatrice incallita”, ma anche una giovane donna combattiva, pronta a difendere le sue idee e quelle del socialismo. Uli non crede più a niente, è arrabbiato e deluso, nella sua vita vuole costruire navi ma si sente “a pezzi, prigioniero dietro una grata di stupidità e burocrazia”.
Così si va avanti tra accuse, forti e concitate, e momenti di tenerezza che sembrano poter rimettere tutto in discussione. Il contrasto non si esaurisce nel semplice tentativo di Elisabeth di ridestare nel fratello i vecchi ideali condivisi, ma finisce per scavare in profondità, nell’intimo dei due personaggi, riuscendo a portare alla luce dubbi e insicurezze sepolti sotto un apparente equilibrio.
L’interrogativo finale può essere solo uno: meglio andarsene con la dolorosa consapevolezza di avere “la coscienza sporca” o restare sperando di “armare di nuovo la barca e veleggiare in mare aperto”?

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