“I sogni di Clara”
GIOVANNI MISTRULLI – Attendono che Clara esca da scuola, la sorprendono sempre in quella stradina stretta. La deridono, la spintonano, e prima di andarsene dicono quelle parole, che fanno più male degli spintoni e degli schiaffi. Tornatene al tuo paese, sporca negra.
Ma loro non sanno che Clara un paese non ce l’ha più, o forse non ce l’ha mai avuto. Lei e sua madre sono arrivate su uno di quei barconi che si vedono in televisione, uno di quelli carichi di quelle facce stravolte e di quegli occhi terrorizzati. Non vogliono togliere niente a nessuno, ma solo vivere una normale vita in pace, e per fare questo faticano ogni giorno. La madre di Clara fa le pulizie nei condomini. Mentre si asciuga il sudore dalla fronte pensa che forse ce l’ha fatta, è riuscita a dare a lei e sua figlia una vita migliore, ma poi arriva la signora del terzo piano, che sputa per terra, passa sul bagnato e le ride in faccia, obbligandola a rilavare. E allora per un attimo, ma solo per un attimo, la madre di Clara pensa che un futuro degno per lei e sua figlia non ci sarà mai.
La sera, a cena, Clara ha spesso gli occhi lucidi, ma non dice il perché. Non si lamenta mai, cerca di far finta che quelle brutte cose non siano successe, che presto quegli stupidi si stancheranno. Si chiude quindi nella sua stanza e si mette a studiare l’italiano. Ormai lo parla abbastanza bene, e questo la rende felice, anche perché ormai non ricorda quasi più il dialetto africano. La madre ha smesso di parlarlo, in parte per obbligarla ad integrarsi, in parte perché quel dialetto rievoca ricordi di violenze che entrambe vogliono dimenticare.
Clara sogna di diventare una dottoressa, più precisamente una pediatra, così da poter curare i bambini malati. Accanto a lei, sul gommone durante la traversata, ne sono morti due. Erano molto piccoli, stremati dal caldo e dalla fame. Le madri non volevano separarsene, poi sono state costrette ad affidarle al mare.
Clara sogna anche di fidanzarsi con un bel giovane alto e con gli occhi azzurri, proprio come quel cantante che vede in quel talent show. Spesso, chiusa nella sua camera, si abbandona alla fantasia. Immagina di essere una cantante famosa circondata da migliaia di fan adoranti che gridano il suo nome.
Ma poi il sogno finisce, Clara riapre gli occhi e deve fare i conti con la realtà. E nella realtà ci sono difficoltà che paiono insormontabili. E poi ci sono quei tre, che un giorno sì e uno no le ripetono quelle parole. Tornatene al tuo paese, sporca negra. Non ti vogliamo. Quando succede, Clara scoppia a piangere. Va a farlo in un giardino vicino casa, perché non vuole assolutamente che la madre la veda, non vuole farla diventare triste.
Una notte l’ha sentita lamentarsi nel sonno. Non saremo mai libere, ripeteva nel loro vecchio dialetto. Ora quelle parole tornano a risuonare nella sua mente. Forse la mamma ha ragione.
A questo pensa Clara mentre le sue mani le stringono la corda attorno al collo. Ma sono davvero sue, quelle mani? No. Quelle sono le mani di coloro che la disprezzano e la offendono ogni giorno. E mentre le mani continuano ad operare, le parole non smettono di risuonare.
Non ti vogliamo… Tornatene al tuo paese, sporca negra…Fanno un male indicibile, quelle parole, e pesano come piombo.
E’ salita sulla sedia, Clara. Si lascia cadere, ma si rende conto che invece di precipitare ha iniziato a volare. Ormai non sente più alcun dolore, Clara, e finalmente sorride, perché sa che sta per diventare una stella.
Una stella piena di sogni, che nelle notti che verranno consoleranno i giusti e tormenteranno i malvagi.
© Racconto di Giovanni Mistrulli per “VOLEVAMO SOLO RIDERE”, iniziativa di ChronicaLibri.
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