“Sempre sì”
DANIELA DI STEFANO – E’ guardando una vetrina che ti ho scoperto.
Non avevi che due occhi, un naso diritto, capelli stampigliati, un alone di tenerezza, poi ti sei presentato.
Dicevi di essere questo, di fare quell’altro, di occuparti di alcune cose, di partecipare ad altre, mi hai conquistata. Ero stata promossa in Amore. E San Valentino era dietro l’angolo.
Perfetta armonia tempistica.
Otto anni sono tanti o pochi, per me sono diminuiti, volevo crescere professionalmente, tu eri una compensazione placida.
Dolci alla frutta, torte montagnose, crostate elaborate… Sei un po’ ingrassato, ti sta bene la pancetta, ma io coltivo altre passioni. Mi piace correre, allenarmi in palestra, ho un corpo modellato, tonico, scalpitante. Sembriamo goffi insieme, mi dici.
Io sorrido, e ti bacio mentre ci scattiamo un selfie. E’ ora di viaggiare. E’ estate, è tempo di mettere a mollo le idee, di scaricare i nostri malesseri di coppia.
Tu dici di sì, tu dici sempre sì. Qualunque cosa io chieda mi stai appiccicato con la tua bocca gonfiabile, con i tuoi occhi oramai spenti.
Non ti specchi più nel mio riflesso, siamo diversi. Da qualche anno ancora di più.
Allora è deciso, cioè io ho deciso che si va al mare, a trovare Rosa e Paolo, alloggeremo in un Bed and breakfast, mi insegnerai a tuffarmi, non ne sono mai stata capace.
Mi dirai sì, sempre sì. Poi ti volterai, e camminerai a testa in giù perché è il tuo carattere, perché è il tuo ruolo, perché non ti riesce proprio essere come me che sono dinamica, fast, curiosa, ginnica, esuberante, diversa.
Arriviamo a sera inoltrata, Rosa e Paolo ci accolgono nella loro casa a due passi dalla spiaggia.
E’ una serata stellare, e tu mi stai incollato per non sprofondare nel menu a base di pesce fresco.
Domani andremo al largo col gommone, mi dimentico di appartenerti perché ti sento addosso come fossi tua madre. E infatti fai la parte del figlio ribelle, non mi aiuti mai quando ci sono da svolgere mansioni casalinghe.
Mentre torniamo al nostro alloggio, ti prendo la mano e camminiamo così per due, tre metri, sei stanco. Io accelero l’andatura, tu hai il fiatone.
Oltrepassiamo la nicchia di una Madonna col Bambino, ti guardo, mi chiedo se un giorno avrò figli, se dovrò averli con te, se lo vorrò.
Eri dolce la prima volta che ti ho visto, eri un altro la seconda volta.
E’ notte, e prego, non mi capita mai, non so perché. E perché oggi lo faccio. Tu sei già nel mondo onirico, sembri in letargo, ma domani ti sveglierai e ricomincerà la nostra azione teatrale, mentre la vita di tutti è viva, io mi sento fuori posto.
Io sono altrove, sono in giro per il globo, vedo gente di ogni razza, lingua, aspetto, sono come un temporale che arriva e scaccia l’arsura estiva, mi butto l’occhio su uno specchio che spaccia felicità, sono sana, sono entusiasta.
E noi due insieme sembriamo una metà.
Cosa devo fare, cosa pensare, come agire. Non si può andare avanti così, però oggi c’è il gommone, ci sono Rosa e Paolo che sono felici di vederci come una coppia solida.
E’ mattina, è ora di preparare panini per il pranzo a sacco, tu sei di buonumore, sto eseguendo io tutto il lavoro di routine logistica.
Vabbé, ti aiuto, dici. Era ora, faccio io. Prendi i panini, li dividi a metà, prendi prosciutto, formaggio, e li disponi a casaccio. Poi fai cadere le briciole sul tavolo, sul pavimento.
Ti guardo di spalle, hai un rivolo di sudore che ti attraversa la schiena, mi disgusta questa immagine mattutina. Ti rimbecco, guarda cos’hai fatto, tutte queste briciole ora chi li raccoglie.
Sei sempre il solito, ti comporti come un bambino menefreghista. Mi ascolti, mi senti adesso, adesso, adesso.
Tu mi fai sempre pena quando ti sgrido, non oggi, non in questo momento, non so perché hai preso quel coltello se non ti serve più per tagliare i panini.
Non ho mai saputo prima d’ora quant’è facile morire, quant’è mostruoso se avviene per delle briciole di pane.
© Racconto di Daniela Distefano per “VOLEVAMO SOLO RIDERE”, iniziativa di ChronicaLibri.
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