Giulio Gasperini
AOSTA – Gli addetti ai lavori dicono che un libro duri non più di sei mesi. Fortunatamente, ce ne sono alcuni che, per loro meriti, durano ben di più. Uno di questi è “Inclini all’amore” di Tijana M. Djerković, edito da Playground nel 2013. Un romanzo già affascinante dal titolo, da quel termine, “inclini”, così poco inflazionato e così tanto, per questo, affascinante. Un romanzo, come la Djerković stessa ha scritto”, pensato e (soprav)vissuto in italiano, “la mia seconda lingua madre”. Ed è forse ancora più sorprendente se si considera che il libro racconta le storie di una famiglia montenegrina, dalle vicende del nonno, Milovan, a quelle della nipote, Arianna, attraversando una parte fondante di storia europea.
Ma la Storia è sfondo, scenario nel quale si dipanano, ben più importanti e decisive, le storie dei personaggi nella loro ricerca continua, strenuamente motivata dell’amore, come unico motore e significante. In particolare, assume contorni densamente romantici la figura del padre, Vladimir, che dopo l’esperienza della guerra diverrà poeta, trovando nella dimensione letteraria un canale preferenziale di impegno e azione. La figura è in realtà quella del padre della scrittrice, Momčilo Djerković, una cui poesia la Djerković ha posto in apertura del volume, come sigillo a questo romanzo breve ma denso, scorrevole e chiaro come un bicchiere d’acqua: “Parla, che la casa non rimanga sorda, / che la pietra non si spacchi, / che l’acqua non perda il suo ritmo. // Che in casa echeggino le voci dei bambini, / che la casa non diventi sorda, / mentre la vita cresce e si dirama”.
È la memoria, il potere più grande che ognuno ha a disposizione. Perché ogni uomo è portatore di una memoria: non soltanto sua personale ma collettiva. Di un immensa ricchezza fatta di ricordi, di emozioni, di vissuti che non possono (e non devono) andare persi, ma devono contribuire a rendere più ricco e più profondo il domani di ogni altro. E “Inclini all’amore” è proprio un lungo racconto di memorie, un rincorrersi e accavallarsi, un sovrapporsi e intrecciarsi di caratteri ereditari, di vicende comuni che si ripetono (anche se in forme leggermente diverse). È anche un percorso personale, un’indagine intima di chi si scopre a voler mettere in ordine i suoi bagagli e a far i conti col suo passato, ingombrante e denso di storie e volti. È il recupero di un’identità (se di identità si può parlare) che non sia soltanto quella familiare ma si caratterizzi anche per la sua unicità e inequivocabilità, per il suo carattere esclusivo. “Inclini all’amore”, con il suo italiano cristallino e quasi intagliato, un italiano scelto come lingua amata (e non come lingua imposta), è una lunga favola, raccontata alla luce calda di un camino, durante una profonda e fredda notte invernale, in mezzo alle persone amate, che ci accompagna ininterrotta fino all’alba, quando ai primi raggi del sole ci si scopre persone migliori.
“Inclini all’amore”: memorie di una famiglia.
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