La poesia tellurica di Claudia Ruggeri

Canto senza voceGiulio Gasperini
AOSTA – Claudia Ruggeri è una poetessa sorprendente. Così poco conosciuta ma dalla voce poetica così potente e perturbante. Le Edizioni Terra d’ulivi, di Elio Scarciglia, l’ha riproposta al pubblico in Canto senza voce, con allegato il documentario intitolato alla poetessa, dello stesso Scarciglia, in un viaggio attraverso componimenti intensi e suadenti, nelle quali la parola è scossa da una forza tellurica di significati e significanti, che squassa e scontorna immagini banali e stereotipate: “Io aspetto che accada / qualcosa di grande / di forte. / E tu accadi ogni notte”.
La poesia di Claudia Ruggeri è uno scavo intimo, di una maniacale precisione chirurgica, nell’intimo delle sue carni e fiato, nella materialità concreta e plastica del suo corpo, fino a raggiungere tutti i luoghi dove il dolore più si addensa e crea sacche di disperazione. La poesia della Ruggeri affronta questioni irrisolte, ponendosi come termine di raffronto e di exemplum per altre esperienze umane e private “È mezzogiorno. / Tra un’ora sarà l’una. / …poi ci vorranno / dieci lunghissimi / minuti / per non vederti a casa / ad aspettarmi. / Terribilmente lunghi”.
Ha dei richiami mistici e religiosi, la poesia di Claudia Ruggeri, in un continuo sovrapporsi e sostituirsi alla figura del Cristo, morto per la redenzione di tutti noi, ma comunque morto nella sua dimensione carnale, fisica, corporea: “Così il mio desiderio di rivolta / rantola nella bruma / e cade nella pira / su cui ho ammazzato Cristo”. Ma ci sono anche suggestioni di antichità classici, di una mitologia umanizzata che trova un confortevole posto nella contemporaneità e attualità: “Sei tu il Lete / amor mio / ché è il mio epitaffio / è già scolpito / tra le tue correnti”. Sottopelle alla poesia di Ruggeri scorre un demone, l’ombra adesiva e aderente della morte, con ogni sua possibile declinazione e conseguenza: “Ancora dibattiamo / i nostri corpi / sulle croci”. Anche nella Natura, nelle sue manifestazione stagionali e nelle sue componenti meno strutturate, si profilano sempre delle sfumature di devastazione e distruzione, se non di disfacimento, come nella poesia “Cancro” in cui la Natura vien colta nella sua più crudele legge: “Forte il corallo / agredì lo scoglio / col suo rosso ricciuto / torto fiorire / ricami sanguigni / devastò la luce / e le strade / e la terra / e gli sguardi grinzosi di donne / in cui il Cancro / gioisce le sue crapule”. In alcuni punti di alto lirismo, però, le manifestazioni naturali subiscono un’impennata se non proprio alla salvezza almeno verso un ideale poetico concreto; ne è un esempio la poesia “Autunno”: “Ma la foglia rotola felice / con la polvere amante / e finalmente / il tuo volto si fa vento”.
Alla radice della poesia di Claudia Ruggeri si colloca la sua terra, il Salento, ma anche una diffusa, diffusissima percezione della devastazione come elemento integrante e costituente ogni singola manifestazione dell’umano e non. La poesia, in questo senso, diventa chiave e strumento per comprendere e saper leggere queste scosse, questi sommovimenti devastanti dell’intimità, e saperli in qualche modo anche affrontare, con reazioni di spietato lirismo: “Dopo quando le catene / si sganciano dal torpore / l’aprirsi di un volto: / il suo sorriso domenicale. / Come un presentimento di sole”.

Informazioni su Giulio Gasperini

Laureato in italianistica (e come potrebbe altrimenti), perdutamente amante dei libri, vive circondato da copertine e costole d’ogni forma, dimensione e colore (perché pensa, a ragione, che faccian anche arredamento!). Compratore compulsivo, raffinato segugio di remainders e bancarelle da ipersconti (per perenne carenza di fondi e per passione vintage), adora perdersi soprattutto nei romanzi e nei libri di viaggio: gli orizzonti e i limes gli son sempre andati stretti. Sorvola sui dati anagrafici, ma ci tiene a sottolinare come provenga dall’angolo di mondo più delizioso e straordiario: la Toscana, ovviamente. Per adesso vive tra i 2722 dello Zerbion, i 3486 del Ruitor e i vigneti più alti d’Europa.
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