Giornata Mondiale del Libro 2015: #paginecondivise, la lettura è una passione che va condivisa

paginecondiviseGiulia Siena
OVUNQUE – La Giornata Mondiale del Libro per noi è un giorno normale, perché parliamo di libri ogni giorno ormai da anni. Per questo non dovremmo permettere i tranelli del tempo o i dettami delle feste comandate; ma si sa, siamo fatti di curiosità e di voglia di scambio. Il sapore della condivisione è, infatti, racchiuso in questa giornata leggendaria che affonda le proprie radici in un passato fatto di draghi e cavalieri. Noi, come tutti i sognatori, vogliamo allora credere alla leggenda e festeggiare questo giorno speciale. La festa è fatta di incontro – seppur virtuale – di tutto il buono e il bello che nei giorni o negli anni ci ha appassionato, coinvolto, catturato, incuriosito, segnato. Con l’intento di scambiarci idee, spunti e suggerimenti è nato #paginecondivise, un progetto nato per stimolare la curiosità. Aprite un libro, noi vi aiutiamo solamente a scegliere quale!

 


“Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”.

da “Anna Karenina”
Lev Tolstoj suggerito da Gianluca Mantelli

 

“Figurati che nella fretta di scappare lasciò sul comodino perfino i denti finti”.

da “L’oro di Napoli”
Giuseppe Marotta suggerito da Flavio Pagano



“In quella Macondo dimenticata perfino dagli uccelli, dove la polvere e il caldo si erano fatti così tenaci che si faceva fatica a respirare, reclusi dalla solitudine e dall’amore e dalla solitudine dell’amore in una casa dove era quasi impossibile dormire per il baccano delle formiche rosse, Aureliano e Amaranta Ursula erano gli unici esseri felici, e i più felici sulla terra”.
da “Cent’anni di solitudine”
Gabriel García Márquez suggerito da Federico Ligotti 

 

“Ma almeno, questo sì almeno, vorrei rivederti. Sia quel che sia, noi staremo insieme in qualche modo, e troveremo la gioia. Non importa se di giorno o di notte, d’estate o d’autunno, in un paese sconosciuto, in una casa disadorna, in una squallida locanda. Mi basterà averti vicina”.

“Inviti superflui”
da “Sessanta racconti”
Dino Buzzati suggerito da Giulia Siena

 

“Sig. Papini:
Mi devo alzare dal letto e scriverle – la mia benedizione. Maledette siano tutte le lodi che avrà ascoltate o lette prima di questa, perché veramente mi fa male l’anima, e vorrei che lei lo sapesse – che mi stesse a sentire – per saperlo. Ma non è una lode. E’ un ringraziamento. E’ un ringraziamento. E’ un ringraziamento al fatto che lei vive, e che posso scrivere a lei quel che un giovane vorrebbe dire (…) Sono felice. So io che vivo. In cinque milioni di persone qua, ci sono io e c’è due amici miei, non più che vivono. E’ che sono felice. Perché, per ora, per una e due ore sono certo che vivo. A cagione di quello che scrisse lei di Whitman, di Dostoevskij e di Nietzsche. Ecco cosa le volevo dire – Che l’amo molto, molto, ed amo di rado, e quando amo bisogna che faccia un mucchio di storie”

da “Lettere a Benedetto Croce, Giovanni Papini e Carlo Linati – Carnevali”
Emanuel Carnevali suggerito da Luca Buonaguidi

 

“Tante persone che conoscevamo di vista erano morte o scomparse durante quelle settimane – incidenti di macchina, Aids, omicidio, overdose, travolte da camion, cadute o forse spinte dentro vasche piene di acido -, al punto che l’ammontare delle cifre spese in corone funebri sulla Visa di Chloe si aggirava sui cinquemila dollari. lo ero bellissimo.”

da “Glamorama”
Bret Easton Ellis suggerito da Angelo Biasella

“Nella regione rossa e in parte della regione grigia dell’Oklahoma le ultime piogge erano state benigne, e non avevano lasciato profonde incisioni sulla faccia della terra, già tutta solcata di cicatrici. Gli aratri avevano cancellato le superficiali impronte dei rivoletti di scolo. Le ultime piogge avevano fatto rialzare la testa al granturco e stabilito colonie d’erbacce e d’ortiche sulle prode dei fossi, così che il grigio e il rosso cupo cominciavano a scomparire sotto una coltre verdeggiante. Agli ultimi di maggio il cielo impallidì e perdette le nuvole che aveva ospitate per così lungo tempo al principio della primavera. Il sole prese a picchiare e continuò di giorno in giorno a picchiar sempre più sodo sul giovane granturco finché vide ingiallire gli orli d’ogni singola baionetta verde. Le nuvole tornarono, ma se ne andarono subito, e dopo qualche giorno non tentarono nemmeno più di ritornare. Le erbacce si vestirono d’un verde più scuro per mascherarsi alla vista, e smisero di moltiplicarsi. La terra si coprì d’una sottile crosta dura che impallidiva man mano che il cielo impallidiva, e risultava rosa nella regione rossa, bianca nella grigia”.

da “Furore”
John Steinbeck suggerito da Luca De Antonis

 

“C’era poco tempo. Tutti e due lo sapevano. Doveva lasciargli un dono, il più grande possibile, oltre la felicità o l’infelicità, l’amore o il disamore, il destino o Dio, la casualità inspiegabile di nascere e morire, oltre, oltre tutto questo che è un frullar d’ali in una melodia alta, più alta, immensa, che ci portiamo dentro al di là dei margini del tempo dato. E il dono è l’orgoglio di essere uomini e di vivere in questa rivelazion; perchè non importa quanto si vive, ma con quanta luce dentro, senza rimpiangere e senza piangere. Ma come, dove trovare una luce così potente da svergognare il buio?”

da “Il mercante di Luce”
Roberto Vecchioni suggerito da Alessia Sità

 

“Una sera me ne stavo a sedere sul letto della mia stanza d’albergo, a Bunker Hill, nel cuore di Los Angeles. Era un momento importante della mia vita; dovevo prendere una decisione nei confronti dell’albergo. O pagavo o me ne andavo: così diceva il biglietto che la padrona mi aveva infilato sotto la porta. Era un bel problema degno della massima attenzione. Lo risolsi spegnendo la luce e andandomene a letto”.

da “Chiedi alla polvere”
John Fante suggerito da Marco Innocenti

 

“Ma davvero la pesantezza è terribile e la leggerezza meravigliosa? Il fardello più pesante ci opprime, ci piega, ci schiaccia al suolo. Ma nella poesia d’amore di tutti i tempi la donna desidera essere gravata dal fardello del corpo dell’uomo. Il fardello più pesante è quindi allo stesso tempo l’immagine del più intenso compimento vitale. Quanto più il fardello è pesante, tanto più la nostra vita è vicina alla terra, tanto più è reale e autentica. Al contrario, l’assenza assoluta di un fardello fa si che l’uomo diventi più leggero dell’aria, prenda il volo verso l’alto, si allontani dalla terra, dall’essere terreno, diventi solo a metà reale e i suoi movimenti siano tanto liberi quanto privi di significato.
Che cosa dobbiamo scegliere allora? La pesantezza o la leggerezza?”

da “L’insostenibile leggerezza dell’essere”
Milan Kundera suggerito da Marianna Abbate

 

“Con un sacco di rape invernali sulla schiena, Lov Bensey si trascinava a fatica, affondando fino alle caviglie nella sabbia bianca della via del tabacco, devastata dalle piogge. Per rimediare quelle rape aveva dovuto sgobbare, e non poco; andare e tornare a piedi da Fuller era una faccenda lunga e faticosa”.

da “La via del tabacco”
Ersine Caldwell suggerito da Carmen Pellegrino

“La signora Dalloway disse che li avrebbe comprati lei, i fiori”.

da “Mrs. Dalloway”
Virginia Woolf suggerito da Giulio Gasperini 

“Tutti gli anni, verso il mese di marzo, una famiglia di zingari cenciosi piantava la tenda vicino al villaggio, e con grande frastuono di zufoli e tamburi faceva conoscere le nuove invenzioni. Prima portarono la calamita.
Uno zingaro corpulento, con barba arruffata e mani di passero, che si presentò col nome di Melquìades, diede una truculenta manifestazione pubblica di quella che egli stesso chiamava l’ottava meraviglia dei savi alchimisti della Macedonia. Andò di casa in casa trascinando due lingotti metallici, e tutti sbigottirono vedendo che i paioli, le padelle, le molle del focolare e i treppiedi cadevano dal loro posto, e i legni scricchiolavano per la disperazione dei chiodi e delle viti che cercavano di schiavarsi, e perfino gli oggetti perduti da molto tempo ricomparivano dove pur erano stati lungamente cercati, e si trascinavano in turbolenta sbrancata dietro ai ferri magici di Melquìades. “Le cose hanno vita propria,” proclamava lo zingaro con aspro accento, “si tratta soltanto di risvegliargli l’anima.”

da “Cent’anni di solitudine”
Gabriel Garcìa Màrquez suggerito da Maria Teresa D’Annibale

“C’è un momento in cui sei solo quando sei arrivato in fondo a tutto quello che ti può capitare. E’ la fine del mondo. La stessa pena, la tua propria, non ti risponde più e bisogna tornare indietro allora, tra gli uomini, non importa quali. Uno non fa il difficile in quei momenti perché anche per piangere bisogna ritornare là dove tutto ricomincia, bisogna ritornare con loro”.

da “Viaggio al termine della notte”
Louis-Ferdinand Céline suggerito da Antonio Lorenzo Falbo

 

“Il sentimento d’attesa si addice alla sola primavera. Prima e dopo di lei, anticipiamo sul raccolto, valutiamo la vendemmia, speriamo nel disgelo. Non aspettiamo l’estate, essa si impone; temiamo invece l’inverno. Soltanto per la primavera diventiamo simili agli uccelli sotto una tettoia di tegole, simili al cervo nella foresta invernale quando, in una notte precisa, respirerà l’inopinata nebbia intiepidita dall’approssimarsi della nuova stagione”.

da “La stella del vespro”
Colette suggerito da Luca Vaudagnotto

“Si può osservare la strada stando dietro il vetro della finestra: i rumori ne vengono attutiti, i movimenti diventano fantomatici e la strada stessa appare, attraverso il vetro trasparente, ma saldo e duro, come un entità separata, che pulsi in un “al di là”.
Oppure si apre la porta: si esce dall’isolamento, ci si immerge in questa entità, vi si diventa attivi e si partecipa a questo pulsare della vita con tutti i propri sensi”.

da “Punto, linea, superficie”
Wassily Kandinsky suggerito da Stefania Robusto

 

“Al sole il tuo vestigio non fa ombra,
meno di un fumo azzurro sei, nemmeno una foglia che cade.
Non trascina catene il tuo fantasma, né m’infonde il tuo spirito furie o profezie.
Ciò che eri rimani: un’acqua limpida che non chiede nemmeno di specchiare il cielo e qualche rondine.
Ma dove, se non in te, dovrebbero specchiarsi per cogliersi più veri, incensurati come agli occhi di Dio?”

Maria Luisa Spaziani per Enzo Siciliano suggerito da Martina Bartolozzi

 

 

“Non è facile camminare
Per queste vie di Cambridge
Migliori tappeti lo rendono difficile

Ma travestito m’infilo inosservato nella parata
E il mio passo si fa più sciolto.
Che bello camminare con davanti gli araldi!

Ma la finzione imbarazza l’andatura.
Fuori passo, la mia identità è scoperta.
Le sentinelle piè-di-cenere
Ritte a ogni angolo di Cambridge
Sono troppo severe;
I loro segnali a tromba stonano
I ritmi che sto inseguendo.

2
Ma Cambridge non è tutta maestà e stendardi,
Sui fianchi
Guardo l’ambasciata ritmica –
Brattle e tutti i suoi accessori –
Abbandonare i loro rigidi temi
Lasciare la marcia dominante,
Riavvolgere i tappeti,
Rincasare.

A casa, e le strade sono anormali.
Camminando, colgo Cambridge in una rara festa: –
Vivaldi, Getz, Bach e Dizzy
In una melodia compresi tutti insieme,
Emergono, come volute di fumo,
Da salotti e cantine,
Scavalcando i castagni in Longellow;
Avventurandosi giù per Hawthorne,
Vagando lungo Lowell,
E volando a tutta birra sopra Dana.

3
Mattina, ed è terribile camminare.
Le sentinelle sono appostate di nuovo;
Le loro trombe di pifferaio sonato
Spazzano dalla via le festose matricole della notte,
E subito i migliori tappeti s’aprono.

4
Mentiva il vecchio bastardo che mi disse che Melville
Ebbe tante visioni camminando
La mattina presto,
Senza tappeti né parata, per Brattle.
In questi giorni ho percorso tanto spesso Brattle,
E mai una volta ho colto dal buio
Un tratto di luce.

Diceva: – Vai, amico, vai in quella bizzarra via della Rivoluzione, la vecchia Brattle;
Avrai le visioni più incredibili;
Amico, Melville vide Moby Dick proprio a Brattle!
Proprio nel mezzo della strada!

5
Stanco di camminare,
Stanco di non veder niente,
Guardo fuori da una finestra
Che appartiene a qualcuno
Gentile abbastanza da lasciarmi guardare.

E da una finestra Cambridge non è poi tanto male.
Dà coraggio sapere
Che da una finestra
Posso arrivare a libri a lattine di birra a passati amori,
E da questi racimolare sogni a sufficienza
Per sgattaiolare da una porta sul retro”.

Cambridge, prime impressioni da “Poesie”
Gregory Corso suggerito da Eleonora Tiliacos

 

“Ma cosa devo fare allora?”
“Danzare” rispose “continuare a danzare, finchè ci sarà musica. Capisci quello che ti sto dicendo? devi danzare. Danzare senza mai fermarti. Non devi chiederti perchè. Non devi pensare a cosa significa. Il significato non importa, non c’entra. Se ti metti a pensare a queste cose, i tuoi piedi si bloccheranno. E una volta che saranno bloccati, io non potrò più fare niente per te. Tutti i tuoi collegamenti si interromperanno. Finiranno per sempre. E tu potrai vivere solo in questo mondo. Ne sarai progressivamente risucchiato. Perciò i tuoi piedi non dovranno mai fermarsi. Anche se quello che fai può sembrarti stupido, non pensarci. Un passo dopo l’altro, continua a danzare. E tutto ciò che era irrigidito e bloccato piano piano comincerà a sciogliersi. Per certe cose non è ancora troppo tardi. I mezzi che hai, usali tutti. Fai del tuo meglio. Non devi avere paura di nulla. Adesso sei stanco. Stanco e spaventato. Capita a tutti. Ti sembra sbagliato. Per questo i tuoi piedi si bloccano”.
Alzai gli occhi e guardai la sua ombra sul muro.
“Danzare è la tua unica possibilità” continuò “devi danzare, e danzare bene. tanto bene da lasciare tutti a bocca aperta. Se lo fai, forse anch’io potrò darti una mano. Finchè c’è musica, devi danzare!”

da “Dance Dance Dance”
H. Murakami suggerito da Giorgia Sbuelz
“Una lampadina che si svita lentamente per via del traffico là fuori e che comincia a lampeggiare a intermittenza. Qualcuno che sbaglia piano e viene a bussare alla mia porta. L’amichevole e benevolo glu glu del termosifone. Il telefono che squilla e una dolce voce di donna, molto allegra, che mi dice: «Jeannot? Sei tu,tesoro?» e io che resto in silenzio per un lungo momento, a sorridere, senza rispondere, giusto il tempo di essere Jeannot, e tesoro.”

da “Mio caro pitone”
Romain Gary suggerito da Nicola Pezzoli

 

“Ancora l’ultimo riflusso
i ciottoli morti
il mezzo giro poi i passi
verso la città illuminata.

2
Seguo questo corso di sabbia che scorre
tra i ciottoli e la duna
la pioggia d’estate piove sulla mia vita
su me la mia vita che sfugge mi insegue
verso il suo inizio, verso la sua fine

Caro istante ti vedo
la mia pace è là nella nebbia che indietreggia
dove non dovrò più calpestare quelle lunghe soglie mobili

e vivrò il tempo di una porta
che si apre e si richiude.

3
Che farei senza questo mondo senza faccia né domande
dove essere non dura che un attimo dove ogni istante
si versa nel vuoto nell’oblio di essere stato
senza quest’onda dove alla fine
il corpo e l’ombra sprofondano insieme
che farei senza questo silenzio dove i bisbigli muoiono

ansimante furioso verso il soccorso verso l’amore
senza questo cielo che si alza
sulla polvere delle sue zavorre

che farei farei come ieri come oggi
spiando dalla mia feritoia se c’è qualcun altro
a errare come me a girare lontano di ogni vita
in uno spazio convulso
che affollano la mia reclusione
chiuse con me

4
Vorrei che il mio amore morisse
che piovesse sul cimitero
e sui vicoli per cui vado piangendo
la prima e l’ultima ad amarmi”

“Dieppe”
Samuel Beckett suggerito da Marilena Giulianetti
“E’ difficile da spiegare. Ma certo tu hai, tutti hanno l’idea che ci deve essere, fuori di noi, un’esistenza che è ancora la nostra.
A che scopo esisterei, se fossi tutta contenuta in me stessa?
I miei grandi dolori, in questo mondo, sono stati i dolori di Heathcliff, io li ho tutti indovinati e sentiti fin dal principio.
Il mio gran pensiero, nella vita, è lui.
Se tutto il resto perisse e lui restasse, io potrei continuare ad esistere; ma se tutto il resto durasse e lui fosse annientato, il mondo diverrebbe, per me, qualche cosa di immensamente estraneo: avrei l’impressione di non farne più parte.
Il mio amore per Linton è come il fogliame dei boschi: il tempo lo trasformerà, ne sono sicura, come l’inverno trasforma le piante. Ma il mio amore per Heathcliff somiglia alle rocce nascoste ed immutabili; dà poca gioia apparente ma è necessario.
Nelly, io sono Heathcliff!
Egli è stato sempre, sempre nel mio spirito: non come un piacere, allo stesso modo ch’io non sono sempre un piacere per me stessa, ma come il mio proprio essere”.

da “Cime tempestose”
Emily Brontë suggerito da Chiara Giacobelli
“Una donna che sembra nutrire di bontà la sua bruttezza dolce e quasi contagiosa fu abbandonata dal marito. Spietatamente ragionevole divenne amica della propria pena. Non si stupì nemmeno che egli cercasse di comporre una nuova famiglia, tanto era persuasa d’aver tradito le immagini d’un sorridente e facile esistere casalingo, per via di quella bruttezza che, mantenuta schietta dall’umiltà, cresceva, cercandole sul viso i confini della remissione; né si lamentò: non avesse l’uomo che ella amava tuttavia a rimproverarsi il momento in cui scelse lei per moglie, una donna che affatica chi la guarda.”

da “Tempo innamorato”
Gianna Manzini suggerito da Ninetta Caiazza
“Ecco dove accadde. Lei è stata qui. Questi leoni di pietra, ora senza testa, l’hanno fissata. Questa fortezza, una volta inespugnabile, cumulo di pietre ora, fu l’ultima cosa che vide. Un nemico da tem po dimenticato e i secoli, sole, pioggia, vento, l’hanno spianata. Immutato il cielo, un blocco d’azzurro intenso, alto, distante. Vicine, oggi come ieri, le mura ciclopiche che orientano il cammino: verso la porta dal cui fondo non fiotta più sangue. Nelle tenebre. Nel macello. E sola.

Con questo racconto vado nella morte.

Termino qui, impotente, e niente, niente di quello che avrei potuto fare o non fare, volere o pensare, mi avrebbe condotto a una meta diversa. Più profondamente di ogni altro moto dell’animo, più profondamente persino della mia paura, mi impregna, mi corrode, mi avvelena l’indifferenza dei celesti verso noi terreni. Naufragata l’audace impresa di opporre il nostro debole calore alla loro freddezza”.

da “Cassandra”
Christa Wolf suggerito da Rosalia Catapano 
“La donna e l’uomo sognavano che Dio li stava sognando.
Dio li sognava mentre cantava e agitava le sue maracas, avvolto in fumo di tabacco, e si sentiva felice e insieme turbato dal dubbio e dal mistero…”

da “Memoria del fuoco”
Eduardo Galeano suggerito da Lucia Valcepina

 

“Si vedrà da queste pagine se sarò io o un altro l’eroe della mia vita. Per principiarla dal principio, debbo ricordare che nacqui (come mi fu detto e credo) di venerdì, a mezzanotte in punto. Fu rilevato che nell’istante che l’orologio cominciava a battere le ore io cominciai a vagire.
Dalla infermiera di mia madre e da alcune rispettabili vicine, alle quali stetti vivamente a cuore parecchi mesi prima che fosse possibile la nostra conoscenza persona – le, fu dichiarato, in considerazione del giorno e dell’ora della mia nascita, primo: che sarei stato sfortunato; secondo: che avrei goduto il privilegio di vedere spiriti e fantasmi; giacché questi due doni toccavano inevitabilmente, com’esse credevano, a quegli sciagurati infanti dell’uno o dell’altro sesso, che avevano la malaugurata idea di nascere verso le ore piccole di una notte di venerdì.
Sulla prima parte della loro predizione non è necessario dir nulla, perché nulla meglio della mia storia può dimostrare se sia stata confermata o no. Sulla seconda osservo soltanto che, giacché in fasce non mi avvenne di veder gli spiriti, a quest’ora sono sempre in attesa d’una loro visita. Ma non mi lagno di non aver goduto questo onore; e se c’è qualcuno che presentemente lo gode e se ne compiace, buon pro gli faccia, e senza invidia!”

da “David Copperfield”
Charles Dickens, suggerito da Giacomo Cardaci.

 

“Nella coscienza degli uomini è ancora vivo il ricordo di ciò che un tempo era l’amore. Era qualcosa di più, e di diverso da quel che è diventano nella nostra società – cioè una sorta di contratto di compravendita, un passatempo e un gioco al pari del bridge e dei balli…E’ ancora vivo il ricordo di come, un tempo, a ogni essere vivente fosse imposto un compito temibile: l’amore, vale a dire la piena espressione della vita,… Ma lo si scopre solo molto avanti nella vita. Amare significa semplicemente conoscere appieno la gioia e poi morire. Ma milioni di persone sperano soltanto in un po’ di aiuto, si aspettano dai loro innamorati rimedi caritatevoli, un briciolo di tenerezza, di pazienza, di indulgenza, qualche moina…E non sanno che quel che ottengono è così insignificante, e che bisogna sapersi donare, in maniera incondizionata, perché il senso del gioco consiste in questo.”

da “La donna giusta”
Sándor Márai, suggerito da Aurora Santioni

 

“Un libro è stato sempre per me più d’una cosa stampata, è stato una passione. La passione non si può spegnere”.
da “Parma 1944 – prove di giornalismo”
Baldassarre Molossi suggerito da Massimo Beccarelli 

 

“Non far crescere mai nel tuo giardino i salici che mettono germogli verdi all’arrivo della primavera. Non legarti a una persona dal cuore volubile, I salici crescono subito ma non resistono al primo soffio del vento d’autunno; le persone volubili si legano con facilità ma se ne vanno presto e se i salici rinnovano il loro colore a primavera, una persona infedele non farà più ritorno”.
da “Racconti di pioggia e di luna”
Ueda Akinari suggerito da Teresa Silvestris 
“Mai ho conosciuto amore che non fosse un bacio in mezzo alla battaglia, una difficile tregua tra olio e acqua, torce e notti scure, colline e valli, tra il sole ardente e la fredda mutevole e sfuggente luna: un breve indulgere tra opposti stati, in un conflitto da un’era tre volte più remota di quella che formò questa antica terra”.

da “Il ciclo di Cuchulain”
William Butler Yeats suggerito da Luigi Scarcelli 

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Un commento

  1. Sto leggendo Murakami e incuriosito da Glamorama di Bret Easton Ellis…in linea con voi!!!!!! 🙂

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