“Le mani sull’anima”, Raffaella Mammone interpreta Volevamo solo Ridere

“Le mani sull’anima” 
RAFFAELLA MAMMONE“Pronto un cazzo! Brutta stronza, sei ancora viva?” – urlò la voce maschile all’altro capo del filo. Federica interruppe immediatamente la telefonata. Tremava, in preda ad un’agitazione che le arrestava il respiro, mentre annaspava tra emozioni che si accavallavano più velocemente di quanto lei stessa riuscisse a generarne. Era letteralmente sopraffatta da una valanga di pensieri che lentamente si trasformavano in paure, in sentimenti che si muovevano frenetici dentro lo scrigno di ricordi che credeva riposti per sempre ma che invece vivevano come milioni di formiche in piena attività, a sua totale insaputa. La mente percorse spazi immensi in pochi attimi cercando di mettere a fuoco quel che accadeva mentre il “numero privato” continuava a richiamare ininterrottamente, scagliandosi con furia verso di lei che aveva scelto di rispondere col silenzio. Mentre cercava di capire la ragione di tanta e tale acredine, il suo corpo si piegava come infilzato da migliaia di aghi contemporaneamente, al pensiero di quella creatura che inaspettatamente la stava aggredendo e minacciando. Con ogni cellula del suo corpo, infatti, Dario aveva deciso, adesso che era fuori dalla sua vita, di direzionare tutto il malessere interiore che lo attanagliava contro l’unica persona perfetta per essere il suo capro espiatorio. Individuo tossico dai tratti vendicativi e psicopatici aveva sofferto e soffriva, forse già da bambino e, dopo, nei suoi rapporti sociali, condannato ad una vita ingiusta da persone ingiuste. Ma non era un buon motivo, questo, per distruggere un altro, non era un buon motivo per prendersela con lei. Federica si sentì gelare all’idea degli occhi di Dario iniettati di sangue come quelli di un lupo, mentre continuava a ripetersi come era potuto balenarle per la testa che canali virtuali come quelli del “People like you” potessero contenere un mondo nel mondo, popolato da gente vera che non usasse la tecnologia invece per nascondersi e riempire il contenitore vuoto del proprio essere con le bugie più astruse e fuorvianti. Ci si potrebbe perdere il sonno interrogandosi su quanto l’evoluzione tecnologica abbia interferito sulle devianze mentali, alimentandole, su tutto quel che scaturisce, di terribile, alle volte, da questo mondo che parallelamente viaggia e si annoda, a volte annidandosi, nelle vite ordinarie di gente normale che onestamente si propone e condivide non consapevole di relazionarsi col disagio o le devianze di qualche bugiardo sociopatico. Infatti lei non avrebbe mai pensato che Dario potesse rivelarsi l’uomo meschino, subdolo e squilibrato che stava dolorosamente scoprendo che fosse. Avviandosi verso la cucina, Federica prese un respiro e, cercando di tranquillizzarsi, mise su un caffè, lo versò nella sua tazza preferita e decise di dare una sbirciatina a facebook. Un’altra amara sorpresa l’attendeva: il suo profilo era completamente vuoto. Perfino il controllo delle pagine, quale amministratrice, le era stato sottratto. Federica non riusciva a credere ai suoi occhi, investita da uno stupore paralizzante. “Pronto, Paola?” – disse furiosa al cellulare, parlando con la sua amica Commissario di Polizia. “Qualcuno ha violato il mio account di posta impossessandosi del profilo facebook con l’evidente intenzione di farmi del male. Non so cosa si aspettasse di trovare, perché ho idea precisa dell’autore del misfatto, visto che poco fa mi ha aggredita telefonicamente nascondendosi dietro numero anonimo. Ma io ho riconosciuto la voce. Era Dario. Dimmi che puoi aiutarmi”.
Da parte sua, Paola non poté che dire a Federica di recarsi in Polizia Postale per depositare denuncia contro ignoti, pur rendendosi perfettamente conto di quanto defraudata lei si sentisse in quel momento. I suoi occhi rimanevano fissi sul display del cellulare in preda a quell’inquietante sconcerto che amplificava il battito martellante del suo cuore. In quel momento si sentì come la piccola Cappuccetto Rosso nel bosco, ingenuamente fiduciosa, pronta ad essere divorata fissando esterrefatta la bocca spalancata del lupo. Rabbrividì, mentre le sembrava di sentire scricchiolare il suolo al suono di quei passi minacciosi nel bosco fitto e buio. Più ci pensava più le pareva assurdo che da un momento all’altro quell’uomo le si fosse rivoltato contro, per giunta escogitando piani diabolici per farle del male anche trasversalmente, cercando di minare la sua reputazione e allontanarla da chiunque potesse volerle bene. Continuando a scorrere il suo profilo, notò, infatti che Dario non si era risparmiato contattando, spacciandosi per lei, alcune delle amicizie maschili di cui era a conoscenza allo scopo di estorcere informazioni che sperava potesse usare per manipolare la situazione di cui aveva preso il controllo.
In quell’istante stesso si sentì pervasa da una rabbia senza nome, da un dolore e un gelo abissali che lentamente si trasformarono in autentico panico. Si era intrattenuta con la “belva”, in quel bosco, troppo a lungo, intrecciando con lui un legame che aveva riempito di aspettative fiabesche, completamente ignara dell’ambiguità di cui invece lui riempiva il contenitore di quella storia, ponendo i presupposti del tragico finale. In quel preciso istante si chiuse dietro una maschera di durezza, si vestì e corse al Commissariato più vicino.
“Sta bene, signora?” – chiese l’impiegato interrompendo i suoi pensieri che, evidentemente, disegnavano espressioni cupe sul suo viso. “In verità non molto. – rispose Federica mentre deponeva il soprabito fradicio di pioggia sulla prima sedia di quella sala d’attesa posta al pianterreno. – Devo sporgere denuncia. A chi devo rivolgermi?” – chiese impaziente all’agente. “Si accomodi, appena possibile, l’Ispettore la riceverà”. Ringraziò infreddolita e si mise a sedere scoprendo che la sua mente era vuota, ma piena di detriti, come uno spazio disabitato dopo un tornado. Era come se la pioggia avesse lavato via i pensieri. Sentiva solamente, e forte, quella sensazione di freddo interiore che la paralizzava e non poteva fare a meno di chiedersi come avrebbe fatto a vivere adesso che era costretta a misurare tutti i suoi spostamenti, guardandosi costantemente alle spalle, pur consapevole che vivere nella paura significava concedergli quel che proprio non avrebbe mai voluto dargli: la sua libertà. Una voce decisa spezzò il fluire di quei pensieri, invitandola ad entrare; scosse il capo per scostare i capelli dal viso e abbozzò un sorriso di circostanza. Si avviò verso la stanza sapendo che, da quel momento in poi, per sopravvivere, avrebbe chiuso col virtuale e con l’amore e non sarebbe mai più stata la stessa.

 

© Racconto di Raffaella Mammone per “VOLEVAMO SOLO RIDERE”, iniziativa di ChronicaLibri.
Tutti i diritti riservati.
© Foto di Francesca Woodman

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