“La strega di Baratti” e un mistero lungo i secoli

La Strega di BarattiGiulio Gasperini
AOSTA – A Baratti, località a strapiombo sul mare nel parco archeologico di Populonia, in provincia di Livorno, fu rivenuta dagli archeologi dell’Università dell’Aquila, in mezzo ad altre tombe di epoca medioevale, una sepoltura anomala ed enigmatica, tra le più famose d’Italia: quella denominata S64, che custodiva la “strega” di Baratti. Stelio Montomoli, in La strega di Baratti edito da Ouverture Edizioni, tenta la strada dell’invenzione narrativa per spiegarci chi sia stata, questa presunta strega, e quale sia stata la storia che l’ha condotta in quella tomba così inquietante.
Ma perché strega? Perché condannata a una sepoltura così crudele? Le risposte, purtroppo, non ce ne sono; ci sono soltanto ipotesi e illazioni. Le uniche certezze sono le condizioni in cui è stato ritrovato questo scheletro: era una donna, tra i 45 e i 55 anni, alta circa 1 metro e 60, vissuta nel tardo 1300, con cinque chiodi, di cui tre ricurvi, infilati in bocca. Altri chiodi, invece, ben nove!, tenevano attaccato il corpo alla terra, probabilmente serviti per fissare i vestiti al suolo. Uno di questi si trovava nello spazio, oramai vuoto, del cuore. Nessuna bara a contenerla, soltanto uno scavo di terra e l’intenzione di non volerla far muovere da lì.
La materia ovviamente non può non scatenare la fantasia di narratori e appassionati del caso. Le domande sono infinite, così come presumibilmente introvabili sono le risposte. Una storia, insomma, che è completo terreno di caccia per gli inventori di narrazioni. Come è stato Stelio Montomoli nel suo tentativo di saldare due epoche diverse: una presente, dove una coppia di curiosi ragazzi si avvicina per caso alla notizia di questo ritrovamento, e una antica, lontanissima nel tempo, che racconta l’avventura di Iade e Gradulfo, di Lorica e di Agigulfo, in un crescendo di intensità che è anche accelerazione alla tragedia finale, spietata nei suoi risultanti.
Con uno stile semplice ma esauriente, Stelio Montomoli caratterizza i suoi personaggi chiaramente, delineandone i bisogni più profondi e distinguendo nettamente tra giusto e sbagliato, tra male e bene. Un male che sceglie persino dei monaci per manifestare la sua cieca furia; un bene più modesto e più riservato, che trema di fronte al male e spesso non ottiene riscatto pronto. La nomea di strega, per Iade, deriva nella brillante ipotesi di Montomoli, dalla casuale scoperta del magnetismo, in una zona al centro di un antico traffico di minerali di ferro, fin dall’epoca dagli Etruschi, tra l’isola d’Elba e la terraferma dove venivano lavorati. Divertente, insomma, il tentativo di Montomoli di ipotizzare le ragioni di una questione ancora aperta e dibattuta, per la quale forse non si arriverà mai a una soluzione ma a un continuo e indefesso proliferare di teorie e misteri.

Informazioni su Giulio Gasperini

Laureato in italianistica (e come potrebbe altrimenti), perdutamente amante dei libri, vive circondato da copertine e costole d’ogni forma, dimensione e colore (perché pensa, a ragione, che faccian anche arredamento!). Compratore compulsivo, raffinato segugio di remainders e bancarelle da ipersconti (per perenne carenza di fondi e per passione vintage), adora perdersi soprattutto nei romanzi e nei libri di viaggio: gli orizzonti e i limes gli son sempre andati stretti. Sorvola sui dati anagrafici, ma ci tiene a sottolinare come provenga dall’angolo di mondo più delizioso e straordiario: la Toscana, ovviamente. Per adesso vive tra i 2722 dello Zerbion, i 3486 del Ruitor e i vigneti più alti d’Europa.
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