Oroonoko, il nobile schiavo della letteratura inglese

OroonokoGiulio Gasperini
AOSTA – Aphra Behn è una scrittrice che in ben pochi, se non amanti e cultori della letteratura inglese, conosceranno. Assente dalle librerie dei più, anche perché i suoi libri difficilmente reperibili. Fino ad oggi, quando la coraggiosa casa editrice Rogas Edizioni, nata “come ‘sorella minore’ (ma solo per età…) della libreria Marcovaldo (come recita il sito stesso), ha deciso di ripubblicare, in un’edizione con testo a fronte (tradotto da Adalgisa Marrocco), il suo romanzo più significativo: Oroonoko, nobile schiavo, edito nella prima edizione nel 1688. La collana inaugurata è “Darcy”, dedicata a capolavori della letteratura inglese “(non) dimenticati, fino a ieri introvabili”.
Aphra Behn, definita da Virginia Woolf la prima scrittrice inglese professionista (perché visse con la sua attività di poeta, scrittrice e drammaturga), ha avuto una vita che potrebbe parere un vero e proprio romanzo, anche per via delle poche notizie certe che se ne hanno. Probabilmente nel 1663, quando lei aveva circa 23 anni, la famiglia si trasferì nella Guyana olandese, dove rimase per circa un anno. Questa esperienza fornì la base e il materiale per il romanzo che l’ha resa celebre ed è considerato il suo capolavoro, “Oroonoko”. Il romanzo, il cui sottotitolo originario recitava “A true history”, racconta la storia di un principe, nipote di un sovrano africano, e Imoinda, stupenda donna figlia di un valoroso condottiero. L’amore dei due giovani viene ostacolato dal nonno dell’impavido principe, che sposa con l’inganno la giovane. A questo punto, i due si ribellano, finendo schiavi e trovando, dopo una serie di sfortunate peripezie, una morte gloriosa.
Il romanzo, che si fonda sull’affermarsi un esotismo che in quegli anni cominciava a prendere forma e sostanza letteraria, pur se breve, è denso di elementi significati, anche legati alla società del tempo, non ultimo lo schiavismo e il significato che aveva per gli europei; atteggiamento legato anche alla religione e alla sua diffusione tra gli “indigeni”, che Aphra Behn descrive con occhio benevolo ma persino un po’ compatente. Sicuramente, splendida è la descrizione di questa terra lontana, il Suriname, di cui la Behn ne aveva saputo cogliere il potenziale, a differenza della Corona inglese, che la cedette all’Olanda. La scrittura della Behn è deliziosa, ben calibrata, essenziale nel dire, senza superfluo. I personaggi, in particolare Oroonoko, dai tratti eroici e fortemente tragici, sono quasi sculture antiche, perfette nella loro statuaria comportamentale e caratteriale, che parlano con un’eloquenza tipica dei grandi condottieri antichi, tutti calati in questo “nuovo mondo” che, in quella lontana fine di ‘600, faceva sognare e fantasticare senza limiti.

30 grandi miti (sfatati e no) su Shakespeare

30 grandi miti su ShakespeareGiulio Gasperini
AOSTA – Shakespeare è, da sempre, uno scrittore che ha alimentato leggende e fantasie, particolarmente nel cinema, con una serie di film che hanno contribuito ad alimentare la leggenda su alcuni aspetti della sua vita umana e professionale. Nel saggio 30 grandi miti su Shakespeare, appena pubblicato da ObarraO Edizioni nella collana agli-estremi dell’Occidente, la docente Laurie Maguire e la ricercatrice Emma Smith analizzano 30 grandi “leggende metropolitane” che riguardano il Bardo, affrontandole con una preparazione attenta e puntuale e riferimenti bio-bibliografici altrettanto mirati e significativi.
Le studiose partono dal tratteggiare il concetto di mito, che spesso viene usato a sproposito e senza cognizione di causa. La parola mito, dal greco mythos, significa semplicemente “qualcosa che viene raccontato”, una narrazione. Sono gli uomini che hanno bisogno di qualcosa da raccontare, senza preoccuparsi troppo dove termini la verità e dove inizi l’abbellimento, la credenza, la leggenda. Perché spesso di leggende l’uomo ha bisogno, come fossero modelli rassicuranti; diventa una forza misteriosa che scorre sottopelle.
Shakespeare continua a essere uno dei grandi miti letterari (e umani). In questo testo, le scrittrici si soffermano su miti piuttosto diffusi e noti, a cominciare dalla vera o presunta esistenza di William Shakespeare o, addirittura, del sospetto che le sue opere siano state scritte effettivamente da lui o da qualchedun altro, come il recente film Anonymous (2011, diretto da Roland Emmerich e scritto da John Orloff). La lettura del testo è scorrevole e appassionante, nonostante si affrontino argomenti complessi per chi magari non ha una conoscenza così approfondita di Shakespeare e della sua poetica. Praticamente tutte le opere vengono affrontate, per vari aspetti, e tutte sono prese in esame, offrendo al lettore tante curiosità e dettagli che sorprendono e appassionano, spingendosi in qualche caso addirittura fino all’indagine investigativa delle fonti, delle tracce materiali, dei documenti che riservano ancora sorprese, a distanza di anni (come il suo testamento e lo svogliato e sbrigativo riferimento alla moglie Anne Hathaway).
Il volume è arricchito anche dalle notizie di alcune messe in scena delle opere shakespeariane, a sostegno o meno di particolari tesi: la messa in scena diventa la chiave interpretativa per cogliere le intenzioni del regista (significativa, ad esempio, in questo senso, la partecipazione di Judi Dench nel ruolo di Titania nell’allestimento di Peter Hall nel 2010 di Sogno di una notte di mezza estate, in cui la Dench assume caratteristiche più simili alla regina Elisabetta interpretata di Shakespeare in Love che non di una “semplice” regina delle fate).
“30 grandi miti su Shakespeare” è uno strumento preziosissimo per chi, incuriosito dall’opera immortale del Bardo (che sia il teatro o che siano gli altrettanto preziosissimi sonetti), vuole cominciare a indagare il complesso mondo di verità e finzione sulla sua opera e la sua altrettanto incuriosente personalità.