ROMA – “Chi è mio padre?”. Questa domanda ha un potere indescrivibile, potrebbe smuovere mari e monti. È questa la domanda che si pone Emanuelle, nel momento in cui si rende conto che il mistero potrebbe non essere mai svelato. È lei la protagonista de “L’ordine di Babele” di Flavio Villani, edito da Laurana.
Sua madre, Isabelle, sta per morire, e lei, solo lei potrebbe rispondere a quell’unica domanda che non lascia riposare la figlia. Ma quella donna morente pare determinata a mantenere il suo segreto, con la stessa caparbietà che l’ha fatta tacere per tutti questi anni.
Solo una foto potrebbe aiutare la donna a ritrovare una traccia del suo passato, quella che ritrae Isabelle con due uomini: Vincent e Pierre. Due uomini legati da un’antica, torbida storia di spionaggio e tradimenti.
Vincent è un detective, inviato nella Saigon degli anni ’50 per trovare e uccidere il misterioso Babel, una geniale spia che è riuscita ad ingannare l’intelligence francese. Ma una volta lì, diventa anche lui vittima di ossessioni, manie, in un circolo di follia che lo porterà a perdere la moglie incinta. Quella moglie è Isabelle, fuggita con la bimba in grembo. E la bimba è Emanuelle.
Ma è davvero Vincenti il padre? O il padre si chiama Pierre? L’altro uomo della foto, psichiatra, sospettato di avere una relazione con Isabelle. Sospettato di essere Babel.
Emanuelle riuscirà a contattarli entrambi, ricostruendo per quanto possibile, gli avvenimenti di quegli anni oscuri e concitati. Nessuno le darà risposte esplicite, nessuno le dirà nulla. Nessuno dirà nulla di chiaro neanche al lettore, ma gli indizi sono molti e forse è meglio così. Emanuelle capirà, potrebbe capire anche il lettore.
Flavio Villani fa parte di quelle persone coi piedi per terra che hanno un mestiere, oltre a quello di scrittore. Lui è un neurologo, ma nonostante il suo mestiere sia complesso e faticoso, trova il tempo e la voglia di scrivere. E, nota bene, scrivere con qualità.
Perché tengo a specificare questo punto? Troppo spesso ci troviamo di fronte a persone illuse, che immaginano che il mestiere di scrittore possa mantenerci dio alla pensione e magari, farcene accantonare una. Nel mondo editoriale di oggi, questo è molto poco probabile. Quindi se amate la scrittura davvero, se volete davvero diventare scrittori, senza rotolare nell’autocommiserazione perché nessuno vi offre centinaia di migliaia di euro per i vostri romanzi, fatelo. Cercate un lavoro, impegnatevi. E la sera stanchi, scrivete. Vi stupireste di sapere quanti scrittori storici, entrati nella grande letteratura, pubblicavano a proprie spese i loro romanzi.