“Oriana Fallaci e così sia. Uno scrittore postmoderno”.

Oriana Fallaci e così siaGiulio Gasperini
AOSTA – La diffidenza della critica nei confronti di Oriana Fallaci è evidente. Sempre contesa tra giornalismo e letteratura, sono soprattutto gli ultimi anni della scrittrice ad averle attratto lo scetticismo di critici vari. E la sua strabiliante e stra-ordinaria carriera le ha, da sempre, attratto invidie e risentimenti. Nessuno se n’è ancora occupato in maniera sistematica e concreta, quasi a non voler correre il rischio di riconoscere i suoi meriti. Franco Zangrilli nel suo “Oriana Fallaci e così sia. Uno scrittore postmoderno”, edito nel 2013 da Felici Editore, è uno dei primi critici che con sistematicità offre la sua chiave di lettura dell’opera fallaciana, soffermandosi soprattutto sui cinque prodotti che secondo lui possono rientrare nel genere del romanzo, in particolare postmoderno, da “Penelope alla guerra” a “Un cappello pieno di ciliege”.
L’assunto di partenza è chiaro: i prodotti narrativi della Fallaci sono un chiaro (e sorprendete) esempio del romanzo postmoderno, in particolare di quella non-fiction novel che affonda le sue radici nel mutamento del giornalismo avvenuto intorno alla metà del ‘900, quando si affermò (anche un po’ disordinatamente) la corrente del New Journalism (quello, per intendersi, di Capote, Wolf, Talese). Sicché la Fallaci narratrice, sin dalle sue prime esperienze (con “Penelope alla guerra”), non sarebbe da rapportare alle esperienze italiane del neorealismo né della neo-avanguardia, ma più sicuramente ai tentativi del postmodernismo statunitense, rendendola in tal senso una grande sperimentatrice. Il merito della Fallaci è stato quello di saper rappresentare “con raffinato stile letterario la notizia giornalistica”: un lavoro sempre al confine, pertanto. Giornalismo e narrazione diventano due diversi comportamenti che la scrittrice utilizza quasi interscambiandoli, rendendo il giornalismo narrazione e la narrazione giornalismo.
Pochi sono gli esempi testuali che Zangrilli cita a sostegno delle sue tesi, e forse in alcuni punti le sue critiche alla Fallaci potrebbero essere rimodulate e ricalibrate, senza sconfinare nell’esagerazione. I “mezzi iterativi”, “le forzature, stonature e digressioni, divagazioni e deviazioni, elucubrazioni fluviali”, che Zangrilli individua come punto debole, potrebbero al contrario essere riconosciuti come una sua cifra distintiva peculiare, come un costrutto valido e potente, sempre incentrato sulla musicalità e il ritmo della frase, che mai cede né si fa vuota o zoppicante. Molto interessanti sono, all’opposto, i riferimenti meta-letterari e meta-narrativi che Zangrilli offre come strumenti per la decifrazione della Fallaci scrittore, dal confronto con gli esempi più luminosi di giornalismo femminile italiano fino a rimandi intertestuali con i grandi capolavori della letteratura italiana (“I Promessi sposi” sopra tutti). Il saggio di Zangrilli diventa uno strumento interessante per cominciare a realizzare come l’importanza della Fallaci sia comunque indiscutibile nel panorama letterario, se non italiano, sicuramente internazionale, in una prospettiva che la vede tra i pochi scrittori nostrani ad aver saputo cogliere un afflato e una potenza dal chiaro respiro extra-mediterraneo.