“Il segreto del prete a cavallo”, una lotta contro la mafia e per una Chiesa nuova

il segreto del prete a cavalloPARMA – L’Appennino calabro con il suo fascino e mistero fa da sfondo a Il segreto del prete a cavallo (Falco Editore), il romanzo di Natale Vulcano che chiude una trilogia che ha visto l’autore impegnarsi per lanciare un monito e un messaggio ai giovani. Il segreto del prete a cavallo, infatti, è la storia di un giovane prete che si batte per una Chiesa nuova in una terra difficile, martoriata dall’omertà e dalle organizzazioni mafiose. Il libro è dedicato ai preti coraggiosi che, come don Peppe Diana e don Pino Puglisi, hanno lottato e continuano a lottare contro ogni forma di mafia.

 

Don Andrea, fin da quando entrò nella parrocchia di San Domenico fece parlare di se: arrivò come un viandante sul suo cavallo mentre negli occhi aveva un rimpianto. Don Andrea era un prete diverso, scelse di indossare la tonaca rifiutando la carriera che da rampollo della dinastia Lusetti lo attendeva. La sua scelta fu dettata da qualche ferita che negli anni diventò rimpianto e nostalgia di un amore mai vissuto e di un amore sottratto. Tra i banchi di San Domenico e le strade del paese, Andrea dimostrò subito di essere un ottimo ascoltatore, un prete socievole, disponibile e pieno di coraggio. Nelle sue parole, poi, era vivida la voglia di riformare quella Chiesa che nei secoli aveva posto solo dei divieni e di dare, così, forza e sostegno a tutte quelle nuove generazioni che dalla fede scappavano. L’incontro con Lara, con la sua bellezza e il suo mondo saranno per don Andrea un’altra prova, un nuovo monito di fronte alla sua comunità.

 

Il segreto del prete a cavallo tocca tanti temi e tutti delicatissimi che Natale Vulcano intreccia con cura in un tessuto narrativo ricco di spunti e riflessioni. La lotta di don Andrea è una lotta per una Chiesa più moderna in un mondo che corre troppo velocemente, anche quando le organizzazioni criminali cercano di fermarlo o farlo deragliare.

 

 

“La forza della mafia sta fuori dalla mafia: sta in chi collabora e in chi fa finta di niente”. Don Luigi Ciotti

"Casa nostra": sintomatologia d’un paese sofferto.

Giulio Gasperini

ROMA – Sottotitolo: Viaggio nei misteri d’Italia. Niente più Italienische Reise, niente più Grand Tour. Adesso il viaggio, in Italia, non si compie più da una meraviglia all’altra, da uno splendore all’altro, da un gioiello all’altro; l’Italia si percorre da un mistero all’altro: che poi di mistero non ci rimane più niente, perché anche del sommerso tutti sospettano tutto. Camilla Cederna ci fa consapevoli, con la sua raffinata ironia, che tutto ci riguarda, perché tutto è “Casa nostra” (Mondadori, 1983), in quest’Italietta che si dibatte, a poco più d’un secolo dalla proclamazione della sua Unità, tra il secondo boom economico (quello illusorio, dei primi anni ’80) e le strategie (e le tattiche) di quotidiana sopravvivenza. In realtà, mano a mano che l’indagine della grande giornalista si sposta verso il meridione d’Italia, capiamo che si tratta di un libro sulle mafie, una sorta di prodromo del più attuale Gomorra.

Perché la mafia, in ogni sua forma, è storia antica, per l’Italia: una storia anche di folklore, di calore (e colore) umano, persino con qualche risvolto grottesco (perché comico, ahimé, non si può dire).
Quanto costò farne l’Unità, dell’Italia? Quali conseguenze comportò? Quali furono le soluzioni adottate per superare gli ostacoli? La Cederna, con la sua scrittura incalzante di ragionamenti serrati e disarmanti, considera la delicata situazione del sommerso, del parastatale, dello statale che si infetta, dei legami oscuri che si instaurano tra chi approfitta e chi viene sfruttato, tra chi ha i soldi e chi ne ha bisogno, tra chi comanda e chi esegue.
Quello della Cederna diventa un vero e proprio catalogo di morti, di crimini, di cadaveri: un flusso inarrestabile di sangue che non conosce dighe né argini, che si infiltra distruggendo ogni parvenza di legalità, di norma, di sicurezza. La Cederna indaga, creando un giornalismo d’inchiesta che è anche elegante prosa, raffinata costruzione verbale e periodica. Ma l’argomento, per gli italiani, è vecchio come il mondo, la questione dibattuta infinite volte e mai giunta a una conclusione. Perché l’omertà, la reticenza, la diserzione, la latitanza (di uomini e istituzioni) sono atteggiamenti che ci han sempre caratterizzato, anche oltre quel lontano 1848, anno così cruciale e determinante per le vite di coloro che saranno chiamati, a tutti gli effetti, in ogni documento e ogni legge, “italiani”.