Giulia Siena
ROMA – 1999. Valentino Zeichen, uno dei maggiori poeti di fine Novecento, figura istrionica e anticonvenzionale, raccoglie i suoi giorni in un diario. Parole, riflessioni, recensioni, confidenze, pensieri, noia, ironia, malinconia e quotidianità: gli scritti di Valentino Zeichen sono occhi schietti sul mondo che si appresta a chiudere il secolo. Con il Novecento stanno andando via le ultime certezze, i tanti amici, le serate mondane, e il freddo, tra le lamiere di una baracca che per Zeichen è casa, si fa più pungente. Il senso di solitudine accompagna un pensiero ricorrente: “Dove sta il mio fallimento? Nel fatto che sono un poeta, anche stimato, ma povero. Se avessi avuto la costanza di sopportare una moglie noiosa e tiranna, ma capace di praticare l’editing sul romanzo, avrei potuto conquistarmi una notorietà che non ho. Pur non mancandomi la vena narrativa, ne ho scritto uno solo, perché non sopporto di avere una tutrice. (27 ottobre 1999)” Eppure quello del poeta fiumano non è un rimorso, ma la consapevolezza di non esser riuscito mai a barattare la propria libertà per una vita agiata e convenzionale.
Diario 1999 – pubblicato da Fazi Editore con il sottotitolo di romanzo – romanzo non è; è una raccolta che narra senza filtri né mediazioni il mondo di Zeichen. Qui la parola non sempre è poesia, piuttosto tramite tra l’interiorità e l’esterno, il peso dei doveri e la volontà fiacca, l’esigenza di osservare, dire e confrontarsi e il bisogno di essere fedeli a sé stessi, al proprio ruolo. Ma Valentino Zeichen – all’anagrafe Giuseppe Mario Zeichen, fiumano classe 1938 e trasferitosi a Roma negli anni Cinquanta, dove morì improvvisamente il 5 luglio 2016 – non ha mai amato i ruoli. Le convenzioni non sono mai appartenute a quest’uomo onesto e disilluso, ironico e irabondo, scontroso verso la società consumistica, verso gli intellettuali altezzosi e gli standard capitalistici.
Diario 1999 ci presenta ogni giorno uno sguardo critico in attesa che il poeta riesca a scrivere un libro su Roma, riesca a rimediare una cena o la compagnia di qualche amico mettendo da parte la tanto amata solitudine. Ogni giorno di questo 1999, per Zeichen, è un barcamenarsi verso la fine, troppo sopravvalutata o discussa. La sua arriverà in quel giaciglio povero e familiare di via Flaminia.
“Cos’è la fine della vita?
E’ un facsimile
di penna biro
che fino a poco prima
scriveva benissimo.
E in un subitaneo improvviso
finisce il suo inchiostro
lasciando sulla carta
un ultimo segno esangue
simile al frego d’unghia”.
(6 aprile 1999)